Il presidente della Regione Veneto, Zaia, ha fatto una proposta per affrontare e risolvere il problema del debito pubblico. Anche questa volta Zaia è stato risolutivo e determinato e, come sempre, ha infiocchettato il suo discorso con le solite “generose” valutazioni sul peso dell’ingordigia meridionale, sulla dinamicità del Nord ed in particolare del suo Veneto. Dividiamo il debito regione per regione in base a reddito e ad abitanti e, da quel momento, ognuno, dice Zaia, penserà da solo a crescere. Peccato che i punti di riferimento del presidente leghista siano quelli che il suo spirito secessionista gli suggerisce.
Naturalmente alla base di questo tentativo veneto c’è il forte convincimento (diffusissimo al Nord anche in settori non intolleranti della società «padana») che il Meridione non consentirà all’Italia di uscire dalla crisi perché succhia risorse senza riuscire a sollevarsi e quindi portandosi a fondo il Nord virtuoso e produttivo. Ma i ragionamenti di Zaia sono facilmente smontabili.
Innanzi tutto come si può negare che un contesto – quello meridionale – per un buon secolo dopo l’Unità è stato sottomesso agli interessi del resto del Paese? Via i macchinari ed i soldi del tesoro del regno borbonico come risarcimento dei costi militari dell’unificazione; fondi dell’industria del Nord per sostenere due guerre micidiali e soprattutto per ricostruire dopo i conflitti; conseguente desertificazione dei paesi del Sud perché, soprattutto, nel secondo dopoguerra, quella politica a senso unico alimentò il boom economico ed indusse i contadini meridionali (già provati da bibliche migrazioni a fine Ottocento ed ad inizio Novecento, conseguenza delle scelte a senso unico di una Roma ladrona ante litteram, ma ladrona verso il Sud) a cercare un lavoro là dove c’era, e cioè a Milano, Torino e città vicine.
Nel computo del presidente Zaia i terribili costi sociali che derivarono da quegli eventi sono calcolati? E la divisione pro capite del debito pubblico – cresciuto a dismisura negli ultimi venticinque anni per mantenere industrie fuori mercato, lavoratori in bilico, classe dirigente nazionale: tutti con targa settentrionale – tiene conto della desertificazione dei paesi meridionali e del conseguente affollamento delle regioni ricche? Ed agli altoatesini detraiamo almeno quanto lo Stato ha regalato a Bolzano (e Trento) per garantire l’intangibilità delle frontiere (lo ha fatto anche per la Valle d’Aosta…)? Inoltre, è possibile che ancora oggi ci sia davvero chi creda che senza il Sud il Nord sarebbe stato più ricco e felice?
Come ha rilevato l’economista Paolo Savona, rispetto a 45 miliardi di fondi dati al Sud ben 63 tornano annualmente nell’Italia felix (del Nord) che trova nel mercato meridionale la collocazione di più di un terzo dei suoi prodotti. E adesso, rileva la Svimez, proprio perché al Sud sono stati sottratti 32 miliardi dei fondi Fas il mercato meridionale non acquista ed il Nord soffre.
Altro che peso allora. Semmai qualcuno rifletta su quella sorta di ormai retorico slogan che indica in un Sud sviluppato il vero rilancio dell’Italia. Si rifletta su quanto accaduto in Germania con l’unificazione. In 20 anni l’Est tedesco, in grave crisi per la disintegrazione del regime comunista, ha ricevuto cinque volte di più di quanto l’Italia repubblicana ha dato al suo Sud in sessanta anni. Ed il risultato è sotto gli occhi di tutti: Germania leader in Europa nell’industria e nel tenore di vita.
È pur vero che soltanto con la Repubblica è stato rivolto lo sguardo anche a Sud. Ma a parte i primi anni, quando concorsero al cambiamento riforma agraria e riforme sociali, l’intervento straordinario ha subito una brutta deviazione. Non si è pensato più alle grandi infrastrutture ed industrializzazione, ma a congreghe, clientele, convenienze. Per alimentare partiti, correnti, notabili.
Come è stato ricordato nel corso di un recente convegno sul tema delle occasioni mancate nel Meridione, svoltosi a Roma alla presenza del capo dello Stato, è stata quella «deviazione» ad uccidere ogni speranza. Il sociologo Luciano Cafagna rilevò in proposito: «Non è possibile accettare che il foraggio destinato all’allevamento di cavalli di razza venga versato direttamente a ratti, zoccole e pantegane che si mangiano poi anche i cavalli».
Da noi è accaduto. Ma attenzione, anche in questo giro il Nord ha fatto la sua parte riprendendosi gran parte di quanto arrivava da noi.