AVELLINO - A guardare bene indietro, l'ultima uscita politica di Gianfranco Fini che viene in mente è quel «Altrimenti che fai, mi cacci?» rivolto a Silvio Berlusconi durante una direzione nazionale del Popolo della libertà. Il 22 aprile prossimo saranno trascorsi ben quattro anni (era il 2010...) da quel fatidico giorno che sancì in diretta televisiva la fine della storia politica tra Fini e Berlusconi. In mezzo, la nascita di Futuro e Libertà, la formazione che doveva sancire l'autonomia dal Pdl e traghettare la nuova destra di Fini - o quel che ne rimaneva - nel Terzo polo con Udc e Scelta civica, è stata cancellata con un colpo di spugna dallo zero virgola che schiantò Fli fuori dal Parlamento alle Politiche di un anno fa.
Per trent'anni di fila a Montecitorio (dal 1983 al 2013, otto legislature), l'ex presidente della Camera è arrivato oggi in città per presentare il suo libro Il ventennio. Io, Berlusconi e la destra tradita (Rizzoli, 2013). Ad accoglierlo al circolo della stampa c'erano il direttore del Mattino Generoso Picone, il direttore di PiùEconomia Alfredo Picariello e Carlo Tecce del Fatto Quotidiano. Ad attenderlo fuori una decina di militanti di Fratelli d'Italia che armati di fischietti striscioni e bandiere, guidati da Ettore De Concilis, hanno contestato pacificamente chi è accusato di aver tradito per primo la destra italiana. Fini, dal canto suo, qualche settimana fa li aveva definiti «bambini viziati che scimmiottano la storia», rei di aver scippato buona parte del simbolo ad An e di aver celebrato il congresso proprio a Fiuggi...
Parla di coerenza e di serietà il professor Raffaele Gregorio di Castelfranci, cinquant'anni di militanza politica alle spalle, «e mai un avviso di garanzia per Gianfranco». Quella serietà e coerenza che Fini vorrebbe portare, da esterno («Non ho alcuna nostalgia del Parlamento né mi candiderò alle Europee o fonderò l'ennesimo movimento»), alla discussione di idee sul futuro del centro-destra tramite l'associazione Liberadestra. Ai microfoni di stampa e televisioni, Fini dice di essere preoccupato per il contesto europeo in cui si muove l'Italia. «Pur rimanendo un convinto europeista - dice - critico fortemente cosa sia l'Europa oggi, un'architettura istituzionale senza una politica economica e fiscale condivisa. A chi oggi, sia a destra che a sinistra, dice stupidamente di uscire dall'euro come la Le Pen in Francia o Grillo in Italia, vorrei ricordare che la lira garantiva sì qualche esportazione in più, ma non evitava l'inflazione e le ricorrenti svalutazioni finivano per colpire i ceti medio bassi. Non ha senso dirsi di destra o di sinistra, bisogna vedere i programmi e le proposte per il paese. Mi sembra un'operazione nostalgia fine a se stessa».
Parla con la solita calma e pacatezza Fini, e ammette senza problemi di aver commesso moltissimi errori, specie con Berlusconi, un sodalizio che non evita a definire di «reciproco interesse»: senza An non avrebbe potuto riunire le forse del centrodestra, e al contempo, i post fascisti venuti dal movimento sociale non avrebbero mai potuto governare il Paese. Governi dove il nome di Fini è stato scritto indelebile in leggi come quella sull'immigrazione e sulle droghe leggere, «leggi di cui non mi pento affatto, frutto di una buona proposta con modalità che andrebbero certo corrette, riviste». Nessun pentimento nemmeno per la discussa presenza di Fini al G8 di Genova del 2001, episodio liquidato in una decina di righe nel libro come notato da Tecce. «Ero lì per dovere istituzionale, non sono stato certo io il manovratore delle violenze delle forze dell'ordine, c'è la magistratura a pronunciarsi su questo».
Se su Renzi è troppo presto per dar giudizi, nonostante la risolutezza che sta dimostrando, su Grillo Fini si esprime usando una metafora cara a De Mita: «E' solo il termometro che misura una febbre altissima che è in corso, per questo continua a salire. Ma non è certo la cura, bensì un indicatore». Se il libro si offre come resoconto e retroscena della recente vita politica, gli interrogativi che ne escono fuori sembrano scritti in stampatello e gridano ancora vendetta, da entrambe le parti li si guardi: Com'è che si è rotto il giocattolo della destra italiana, portata da Berlusconi a dar vita al governo più duraturo della storia repubblicana dopo quello di Craxi? Com'è successo che l'uomo che diede il lasciapassare a Gianfranco "il nero" dicendo che a Roma avrebbe votato volentieri per lui e non per Rutelli nel lontano '94 sia diventato dopo un ventennio il male assoluto della destra italiana? Com'è che ci son voluti venti anni, nota il direttore Picone, per accorgersi che si aveva a che fare con l'uomo che incarnava in pieno il modello del populismo italiano più puro?
«La verità? Beh son successe molte cose in questi anni - nota Fini - ma l'errore più grande è non aver compreso che la natura di Berlusconi, venuto meno l'obbligo della mediazione, è portata esclusivamente a comandare, e comandare non è certo sinonimo di governare». «Se destra vuol dire legalità - sottolinea Fini - non potevo accettare forzature come quelle sui processi che riguardavano Berlusconi, o dire solo per questioni di convenienza che Ruby fosse la nipote di Mubarack. Non è un caso che ciclicamente chi collabora con Berlusconi poi se ne stacchi, come Alfano (o Follini, ndr)». «E poi Forza Italia degli inizi non era certo quella di adesso, ci si poteva ragionare». Della serie meglio tardi che mai.
Quale futuro, dunque, per il sessantaduenne Fini? Con un espressione che ricorda un po' quella di D'Alema, «ci sono tanti modi per continuare a fare politica», il presidente si dichiara tranquillo e si rifugia nel suo think tank in via Monteverdi, a Roma, per il bene della destra futura: «Non dirò mai che gli elettori "non hanno capito", anzi hanno fatto la loro scelta e ne va preso atto. Con rispetto».