AVELLINO – Caro Carlo, caro Tonino, Franco, Nuccio, Orazio, Angelo, Ugo: vi scrivo per dirvi che non so se capiterà ancora di andare per musei e per monumenti a Napoli e, se pure dovesse capitare, non sarà con il piacere e la spensieratezza delle altre volte.
L’ultimo spostamento nella città che, dopo la mia, amo di più, mi ha sconvolto. Vedere il Vesuvio senza l’abbagliante corona di verde mediterraneo, attraversare i Campi Flegrei impregnati ancora dai fumi dei recenti incendi mi ha colpito. Vedete, da uomo delle zone interne, quelli che i napoletani chiamano, ma senza voler essere offensivi, “i cafuni ‘e fore”, ho sempre subito il fascino della ϰαλοϰἀγαϑία, dell’ideale che lega bellezza e morale. L’hanno inventata i greci e i napoletani, che greci lo sono, la utilizzano brillantemente per propinarci, utilizzando la bellezza nella quale sono immersi, azioni assolutamente immorali.
Quando abbiamo visitato il centro antico, affascinati da palazzi nobilissimi e chiese meravigliose, abbiamo sorvolato sulle offese subite da questi manufatti e la stessa cosa è capitata quando, per soddisfare il nostro orgoglio di Irpini, ci siamo portati a Miseno per visitare il recapito finale costruito per accogliere, in modo mirabile, la nostra acqua. La maestosità dell’opera ci ha distratto annullando la pochezza di tutto quello che le sta attorno. D’altra parte Iperide riuscì a far assolvere Frine dal tribunale popolare di Atene denudandola pubblicamente e affermando che una donna così bella non poteva aver commesso le nefandezze di cui veniva accusata.
Ma ora che i napoletani hanno cominciato a distruggere questa bellezza, che cosa andremo a vedere, solo l’immoralità? Ne abbiamo tanta qui da noi (o forse è amoralità?) che altra non la sopporteremmo. E il “rinforzino” che normalmente ci concedevamo durante le nostre visite? Si ispirava al simposio dei sette sapienti di cui scrive Plutarco, dove non ci riempivamo la pancia ma, davanti ad una “linguina al cartoccio” di Bellini o una “signora genovese” gustata nella cantina alla Pignasecca, abbiamo concluso che la sublimazione di bello e buono in un tutt’uno inscindibile avviene proprio nella cucina napoletana, tant’è vero che usano dire “Come cucinate bello!”.
Ebbene, ora con quel rinforzino, ricordando il fuoco del Vesuvio che da “sterminator” è stato sterminato e lo scempio degli Astroni, ci immergeremmo nella triste atmosfera di un cafonissimo “cuonzolo”.