AVELLINO – "Capire l’Italia e il Mezzogiorno nella prima metà del Novecento. Contesti, aspetti e temi della biografia di un meridionalista": questo il tema del convegno organizzato, presso la sala Grasso di Palazzo Caracciolo, da Mario De Prospo, ricercatore del Centro di ricerca “Guido Dorso” per ricordare, riannodare e promuovere nuove linee di ricerca sulla figura del grande meridionalista avellinese. Del resto il convegno, lo ha spiegato lo stesso De Prospo in apertura di lavori, «è organizzato in modo tale da dare una panoramica generale sulla figura di Dorso: Dorso come antifascista, Dorso come avvocato, Dorso come meridionalista, Dorso come organizzatore di cultura». Ad ognuno di questi temi, infatti, è stata dedicata una delle relazioni presentate.
Il primo intervento, a cura di Andrea Ricciardi dell’Università statale di Milano, ha fornito le coordinate storiche e cronologiche entro le quali è nata e si è mossa l’opera di Dorso: con il suo intervento lo storico contemporaneo milanese è andato Alla ricerca della democrazia, tra riforme e rivoluzione – parafrasando il titolo del suo contributo – sottolineando le tappe dello sviluppo democratico italiano dall’Unità alla Repubblica, concentrando la sua attenzione su alcune delle figure principali del panorama intellettuale italiano, tra cui, in particolare, Gaetano Salvemini.
Frédéric Attal, dell’Université de Valenciennes et du Hainaut Cambrésis, ha centrato l’attenzione sulla figura idealtipica dell’intellettuale meridionale considerato come intellettuale esperto. «L’intellettuale esperto – ha affermato Attal – è diverso dall’intellettuale universale: quest’ultimo è l’intellettuale che, come Croce, parla a tutti e forma le classi dirigenti. L’intellettuale esperto, al contrario, è l’intellettuale che parla ad una sola parte della società». In questa concezione l’intellettuale meridionale è l’intellettuale esperto.
Attal è poi passato ad individuare le caratteristiche dell’intellettuale meridionale-intellettuale esperto: «L’intellettuale meridionale è un intellettuale concreto, che accoglie le idee positivistiche e della cosiddetta religione del progresso». In questa veste l’intellettuale meridionale è un imprenditore di riforma. Nel corso del suo denso intervento Attal ha sottolineato la necessità di studiare l’intellettuale meridionale non solo dalle sue opere e dalle sue azioni ma soprattutto come membro di una rete intellettuale che intreccia piani nazionali ed internazionali.
Sulla figura degli avvocati, sul loro ruolo nella storia politica italiana, ha discusso, con un intervento molto dettagliato, la professoressa Maria Malatesta dell’Università di Bologna. Il suo contributo è partito dalla constatazione della continuità di lungo periodo, illustrata e confermata da una serie di dati statistici, della presenza degli avvocati nel seno del Parlamento Italiano: «Nel 1919, alla data delle prime elezioni proporzionali della storia italiana, il 43% degli eletti alla Camera era in possesso del titolo in legge e, quindi, era ascritto all’interno della categoria professionale degli avvocati. Anche in epoca fascista si attesta una notevole presenza degli avvocati in Parlamento, al 25%. La presenza degli avvocati diminuisce con la Repubblica. Tuttavia – ha ricordato la professoressa – alla Costituente entrò il 33% degli avvocati. A partire da questa data si assiste ad un crollo della rappresentanza parlamentare di questa categoria professionale. Vi è una ripresa soltanto a partire dal 1994, con l’inizio del ventennio berlusconiano. Se si guarda la composizione dei governi la presenza degli avvocati è addirittura sovrastimata, anche in epoca repubblicana». Si potrebbe parlare, dunque, di un binomio tra avvocatura e potere. Tuttavia ha ricordato Malatesta la presenza anche di quegli avvocati-contro il potere, «gli avvocati militati. Questa figura si sviluppa soprattutto dopo la Prima guerra mondiale e in occasione della nascita della Terza Internazionale: si trattava principalmente di avvocati che difendevano militanti di partito. Proprio per questo motivo essi erano quelli più sottoposti al controllo poliziesco del regime fascista. Nel casellario politico centrale si può notare che gli avvocati furono le figure professionali più sottoposte a controlli da parte della polizia fascista. E fra questi, la maggioranza era di origine meridionale».
Quale era la situazione ad Avellino? «Durante il fascismo – ha spiegato Malatesta – sono 18 gli avvocati le cui carte sono conservate nel casellario politico centrale. Fra questi 18 vi era Guido Dorso. Di questi 18 avvocati, 4 furono radiati e uno fu confinato. Dorso non venne radiato. Dunque, quale fu la sua attività forense durante il fascismo? E quale negli anni successivi alla Liberazione, quando si impegnò in primo piano sul piano politico?»: con queste domande si è concluso l’intervento della professoressa Malatesta.
L’ultimo contributo è arrivato, in videoconferenza, da Daniela La Penna, della Reading University, che si è interessata alla pubblicazione, all’indomani della morte, delle opere di Dorso da parte dei tipi dell’Einaudi. La casa editrice fondata da Giulio Einaudi raccoglieva, verso la fine degli anni Quaranta, gli scritti di intellettuali esclusi, antifascisti o allontanati dal fascismo. «In quest’opera di pubblicazione delle opere di Dorso un ruolo importante lo ha avuto certamente Carlo Muscetta»: sull’importanza dell’intellettuale e storico della letteratura per la pubblicazione dell’opera dorsiana ha più volte indugiato, attraverso il suo interessante intervento, La Penna.
Oltre ai quattro relatori, hanno preso parte al convegno, in qualità di discussant, Francesco Saverio Festa dell’Università di Salerno, Luigi Musella dell’Università di Napoli “Federico II” e lo stesso Mario De Prospo. Il convegno, che ha visto la partecipazione di attente classi di studenti, è stato aperto dai saluti istituzionali di Elisa Dorso, figlia del grande meridionalista, e di Luigi Fiorentino, presidente del Centro di ricerca Guido Dorso, che ha visto nel convegno l’occasione «per attualizzare il pensiero di Dorso».