AVELLINO – Come e perché è fallito il tentativo dell’Italia repubblicana di garantire un vero sviluppo del Sud. Perché la classe dirigente del Paese è andata ad infrangersi contro gli scogli della corruzione, dell’inefficienza, del disordine civile. Di questi ed altri temi ha discusso, dando risposte graffianti, il professor Gilberto Marselli, studioso dei problemi del Mezzogiorno, componente di quel mitico gruppo di meridionalisti che, guidato da Manlio Rossi Doria, operò nella facoltà di agraria di Portici quando si tentò con la riforma fondiaria, la Cassa per il Mezzogiorno e riforme sociali che il dopoguerra imponeva di liberare la società italiana da arretratezze e dalla mancanza di sviluppo economico.
Precisa la ricostruzione di Marselli (nella foto, il terzo da sinistra) che ha animato la discussione svoltasi presso la chiesa del Carmine di Avellino per iniziativa dell’associazione centrosinistra alternativo. Introdotto da Michele Candela e “provocato” da Generoso Picone, Amalio Santoro e cittadini presenti in sala, Marselli ha innanzi tutto individuato nella annacquata (dai partiti) riforma fondiaria la causa prima della mancata distruzione della millenaria soggezione dei contadini del Sud ai proprietari dei latifondi, ovvero a quella che era sempre stata vista come la parassitaria classe dirigente meridionale.
Altra sconfitta fu il progressivo cambiamento da straordinario ad ordinario (fino alla scomparsa della Cassa) dell’intervento statale a favore del Sud. Ma, soprattutto, ha ricordato il professor Marselli, è stato il tradimento della filosofia meridionalista tracciata da Manlio Rossi Doria e dal suo gruppo di Portici: “Noi volevamo lo sviluppo ed anche l’industrializzazione senza sconvolgere gli equilibri della società contadina allora predominante. Invece l’industria ed il consumismo hanno stravolto tutto”. Inoltre, ha aggiunto Marselli, i miti del consumismo e della vita diversa al Nord hanno spinto i meridionali a cercare il lavoro altrove.
Dal 1951 al 1971 ben quattro milioni e settecentomila cittadini meridionali lasciarono le loro case per trasferirsi al Nord. Una cifra impressionante in vent’anni se si considera che la grande emigrazione tra fine Ottocento ed inizio Novecento, durata sessant’anni, vide andar via dieci milioni di persone. Per lo studioso napoletano, comunque, rimane lo scarso senso della comunità il difetto ed il problema più grave dei meridionali. Il cosiddetto familismo amorale individuato dallo studioso americano Edward Banfield come la causa della rovina del Sud, per Marselli va meglio visto come la primazia della famiglia rispetto a qualsiasi altra entità o istituzione, nel senso che, in caso di bisogno, la famiglia eventualmente si rivolge ad un’altra famiglia. Mai alle istituzioni.
Nei ricordi di Marselli anche un riferimento alla faziosità della politica: “Quando ero senatore socialista fui accusato – ha detto – da un risoluto esponente della sinistra del Psi, quella lombardiana, di essere un conservatore. Quel rabbioso lombardiano sapete chi era? L’on. Cicchitto”. “Una volta – ha concluso Marselli condannando la piaga del tarsformismo – i naviganti solcavano i mari senza bussola. Oggi che c’è la bussola, la classe politica non sa neppure dove dirigersi”.