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    14/05/2024

De Luca, il patriota-scienziato che onorò l'Irpinia

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Paolo Anania De LucaUna ricerca affidata ai neoiscritti dell’Istituto d’arte di Avellino ha contribuito a far tornare la luce su un periodo storico, su una famiglia, su martiri, patrioti ed intellettuali che furono protagonisti di un grande fermento che, sulla scia della rivoluzione francese, tenne desta la società della non ancora nata Italia per tutto l’Ottocento.

Uno dei centri di propaganda di quel “sacro fuoco” fu Montefusco, allora centro giudiziario del Principato Ulteriore e di fatto capoluogo di quella che era la provincia di Avellino. Anni di affinamento professionale, la tradizione degli studi giuridici in quasi tutte le famiglie borghesi fecero di Montefusco una piccola capitale di studiosi del diritto, di intellettuali e di “carbonari” e cospiratori in genere. Sia con il vento rivoluzionario francese (ed il conseguente lampo della Repubblica partenopea del 1799) sia con la fronda antiborbonica, la borghesia ed il clero di Montefusco si schierarono sempre con l’ipotesi di un secolo nuovo che portasse all’Italia unita e ad una vita migliore dei contadini meridionali.

A Montefusco, come ad Ariano (patria del poeta Pietro Paolo Parzanese) e soprattutto ad Avellino, vasta fu l’adesione alle “vendite carbonare” e quindi logica la partecipazione a sussulti, moti, congiure. Segnaliamo due casi rilevanti: le autorità borboniche annullarono, per timore di un complotto che poteva comprometterne la vita, la visita e la permanenza nel Palazzo Caracciolo di Avellino del principe di Metternich, capo del governo austriaco notoriamente protettore del Regno di Napoli. La malattia che durante il viaggio in Puglia sopraffece, fino a farlo morire, Ferdinando II fu attribuita la veleno che il vescovo di Ariano, carbonaro, gli avrebbe somministrato durante il pranzo nel palazzo vescovile della cittadina del Tricolle.

L’accoglienza a Morelli e Silvati nel 1820, i sussulti (addirittura repubblicani a Monteforte) del 1848, la partecipazione risorgimentale fino all’arrivo di Garibaldi: sono tutti fatti che germogliano dopo la semina di uomini come Lorenzo De Concilj, Pasquale Stanislao Mancini, Francesco De Sanctis, Pietro Paolo Parzanese, Michele Pironti, Enrico Capozzi, Raffaele Masi, i fratelli Zigarelli e i De Luca di Montefusco, appunto. Ogni nome una storia, ogni nome una famiglia, ogni nome una comunità.

Un paese come Montefusco, ad esempio. È raro imbattersi in una vicenda umana che si svolge  in un periodo durante il quale si fa la storia, la grande storia, ed una persona quel periodo (non breve) lo vive tutto, lo attraversa in tutti i suoi passaggi assieme a tutta la sua famiglia. Questa incredibile sorte è toccata ad un cittadino irpino, Paolo Anania De Luca, sul quale l’intelligente curiosità di una insegnante dell’Istituto d’arte di Avellino, appunto intitolato a De Luca, ha spinto i suoi più giovani alunni a far luce su un personaggio colpevolmente dimenticato – scuola e toponomastica a parte – dalla comunità provinciale. Ed è stato così che davanti a quei ragazzi si è materializzata (lungo un arco di tempo che va dalla rivoluzione francese fino al compimento dell’Unità d’Italia) la figura straordinaria di Paolo Anania De Luca, politico, patriota, eroe, scienziato.

Nato a Montefusco il 4 aprile 1778, quando il Comune irpino era il capoluogo del Principato Ultra, sede degli uffici giudiziari – l’Udienza provinciale – e di quel carcere che “ospitò” tanti patrioti, tanti antiborbonici; Paolo De Luca fece in tempo a vivere l’epoca degli strabilianti fermenti della rivoluzione francese che nel Sud sconquassarono una società immobile e che con l’arrivo dell’esercito d’oltralpe portarono alla fuga del re Ferdinando in Sicilia ed alla proclamazione (1799) della Repubblica partenopea, ovvero l’unico fatto realmente innovativo e proponibile all’intero Paese prodotto in epoca moderna dal Meridione d’Italia. Anche se proprio il “vento francese” – con il riordino amministrativo di impronta napoleonica – produsse il trasferimento del capoluogo ad Avellino con progressiva perdita di ruolo della sua Montefusco, centro a cavallo tra Irpinia e Sannio con non irrilevante presenza di una comunità ebraica da cui originava la stessa famiglia De Luca; famiglia che, come tante altre nel Sud Italia, aveva dovuto subire a metà del sedicesimo secolo, pena lo sterminio, la “conversione” dal giudaismo al cristianesimo. In questo contesto vissero e si formarono, guardando alla rivoluzione francese, i fratelli Giovanni Pirro e Paolo Anania De Luca.

Paolo Anania De Luca, negli studi di diritto civile e canonico a Napoli, aveva seguito – sulle orme del fratello Pirro Giovanni – il gruppo di studiosi guidato da Mario Pagano, il “maestro” che scrisse la costituzione della Repubblica partenopea. Appena ventunenne creò in Irpinia una milizia locale a sostegno della Repubblica. Il naufragio del “sogno francese” ed il ritorno di re Ferdinando sul trono di Napoli portarono all’arresto sia di Paolo Anania De Luca che di suo fratello Pirro Giovanni. Paolo finì nel carcere di Ventotene dove subì freddo, fame ed umiliazioni (i prigionieri erano lasciati nudi nelle celle insieme con i compagni di sventura). Da Ventotene, dopo una drammatica traversata a rischio naufragio, fu trasferito proprio nel carcere della sua Montefusco dove era rinchiuso in condizioni penose e ormai morente suo fratello Pirro Giovanni.

A Paolo toccò di assistere alla fine di Pirro Giovanni il 2 gennaio del 1800 e di vegliarlo per due giorni prima che le guardie si decidessero a farlo seppellire. Soltanto la sconfitta degli austriaci a Marengo nel giugno 1800 ed il conseguente trattato di pace di Firenze firmato da Napoleone e da Ferdinando IV (marzo 1801) costrinsero i borbonici a mitigare la loro politica reazionaria e a concedere un’ampia amnistia.

Fu così che Paolo De Luca assieme a tanti detenuti politici fu rimesso in libertà e riprese l’attività professionale ed impiegatizia fino a diventare capodivisione del ministero dell’Interno di Napoli non disdegnando di impegnarsi in politica. Paolo, infatti, fu tempo dopo eletto per la circoscrizione avellinese deputato del Parlamento napoletano. Elezione avvenuta al primo turno nell’aprile del 1848 mentre intellettuali del calibro di De Sanctis, Mancini, Imbriani ed altri “passarono” in una seconda fase.

Nell’assemblea di Monte Oliveto – della quale fu anche presidente – sedette a destra assieme al generale Lorenzo De Concilj. Ma entrambi, visto il progressivo restringimento delle libertà attuato dal governo di Napoli, passarono platealmente all’estrema sinistra in segno di protesta verso il re Borbone. Si ripeteva, in sostanza, quanto accaduto ventotto anni prima con i moti irpini. Infatti, con la rivolta del 1820 (ritenuta dagli studiosi, così come la Repubblica partenopea, un episodio troppo precipitoso rispetto al percorso risorgimentale; tesi sostenuta da Benedetto Croce, ma non avallata da tanti altri storici) la paura del re e dell’apparato borbonico verso ogni segnale di novità segnò la fine di ogni speranza. Paolo De Luca fu allora destituito così come suo nipote Pietro Giovanni, figlio del fratello morto in prigione, fu a sua volta destituito da Intendente del Molise e fu esiliato a Tunisi. Da qui passò a Malta dove si imbarcò su una nave inglese dove – essendo poliglotta – insegnava lingue straniere a giovani allievi. Il naufragio della “Columbine” lo portò a tentare di salvarsi a nuoto. Scaraventato sugli scogli morì con il cranio fracassato.

Sofferenze, lutti, privazioni, confische dei beni di famiglia non piegarono mai Paolo Anania De Luca che, ammalato e non vedente, all’età di settant’anni, partecipò al nuovo tentativo di fare un mondo migliore oltre che un’Italia unita e nuova, quello del moto del 1848, il cui fallimento non lo indusse alla rassegnazione. Fu anzi anche in quella circostanza protagonista: firmò l’ordine del giorno di indignazione contro Ferdinando II che aveva fatto prendere a cannonate e poi fatto assediare dalla folla l’appena eletto Parlamento. Per questo fu aggredito e percosso in via Monteoliveto. Sempre sperando e cospirando si diede alla ricerca. Per la storia l’ordine del giorno fu presentato da Pasquale Stanislao Mancini e firmato da altri 63 deputati.

A Napoli, dove visse dapprima con il sostentamento di uno zio, poi con il suo dignitoso impegno professionale, si dedicò all’altra grande passione della sua vita: la scienza in genere e la fisica in particolare. Studiò un modo per utilizzare il caleidoscopio nell’attività artigianale ed operaia e studiando l’acustica inventò il tonometro, strumento capace di rilevare le tonalità e le distanze dei suoni. Così come inventò un particolare tipo di scandaglio che consentiva di rilevare le profondità degli abissi a quote allora impensabili (stiano parlando di innovazioni della prima metà dell’Ottocento).

Per queste sue scoperte ebbe riconoscimenti e menzioni da università e governi di tutto il mondo. Se l’università di Modena riconobbe pubblicamente di aver sbagliato nel criticare alcuni studi del De Luca, università e stampa inglesi lo riempirono di riconoscimenti che oggi considereremmo dei premi Nobel. Significativi inoltre gli inviti a varcare l’Atlantico che gli rivolsero il governo di Washington e quello del Brasile.

Paolo Anania De Luca riuscì a raccogliere anche quello che considerò sempre il frutto possibile dell’impegno al quale aveva dedicato la sua vita: la caduta della monarchia borbonica ed il raggiungimento dell’Unità d’Italia. Il regno appena nato gli conferì per il tramite del ministro dell’Istruzione, il suo conterraneo Francesco De Sanctis, componente del gabinetto Cavour (1861), la nomina a presidente e docente onorario per i suoi alti meriti scientifici presso l’università Federico II di Napoli. De Luca, con una lettera al rettore dell’ateneo, ringraziò il governo e l’università di Napoli per il “tardo onore” che gli facevano ma disse di non essere fisicamente in grado di sostenere l’insegnamento e, in segno di riconoscimento per l’onore ricevuto, consegnò ai laboratori di fisica dell’università i suoi strumenti, i suoi modellini, le sue invenzioni. Agli amici che gli chiedevano di utilizzare le leggi del neonato Regno d’Italia a favore di quanti si erano battuti per l’unità della penisola (avrebbe potuto ottenere quello che oggi chiameremmo ricongiungimento e ricostruzione della carriera: era stato cacciato da capo divisione del ministero dell’Interno) rispose che, per quanto povero, riusciva a tirare avanti mentre l’Italia aveva bisogno dei soldi che lui avrebbe potuto ottenere con una lauta pensione. Una risposta che è un segno dei tempi. I suoi ed i nostri…

Quando morì all’età di 86 anni il 26 gennaio del 1864 gli resero omaggio a Napoli – dove fu seppellito –  politici, patrioti, scienziati e semplici cittadini. A raccogliere l’eredità politica e morale il pronipote, discendente di quel fratello Pirro Giovanni mortogli tra le braccia nel carcere di Montefusco. Giovane preparatissimo che si chiamava come il prozio, Paolo Anania De Luca junior fu insigne giurista, responsabile di quella “Società economica irpina” ereditata da Federico Cassitto, società che diede tante indicazioni sulla possibile valorizzazione dell’agricoltura e delle acque irpine (indicazioni mai seguite),  presidente della Corte di Cassazione, parlamentare, presidente della commissione Bilancio di Montecitorio, per più di due decenni rappresentante dell’Irpinia in Parlamento e per circa quarant’anni rappresentante del territorio di Montefusco in Consiglio provinciale di Avellino, città che dal 1806 era subentrata a Montefusco come capoluogo del Principato Ultra. Di quell’epoca l’ex capoluogo ha conservato le sue eleganti architetture, belle chiese e naturalmente il carcere sottoposto ad un restauro che gli ha però tolto l’aspetto lugubre che lo fece soprannominare lo “Spielberg irpino”.

I De Luca di Montefusco, una grande famiglia dentro una grande storia. Per questo Avellino dedicò loro un “largo”, per questo l’Istituto d’arte del capoluogo irpino, istituto sorto sullo sviluppo della scuola d’arti e mestieri (poi scuola di ceramica) voluta ed irrobustita dalla Camera di commercio tra fine Ottocento ed inizio Novecento fu dedicata allo scienziato, patriota e politico Paolo Anania De Luca.

 

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