Gli scavi attualmente in corso nell’area di sedime dell’ex seminario e di «Largo Sette Dolori» (poi divenuto «Largo Ospedale», ma che ci si ostina ad indicare, del tutto antistoricamente, come «Piazza Maggiore»), la cui guida è stata finalmente assunta da un’archeologa competente come la dott.ssa Gabriella Ciaccia, sotto l’attenta supervisione della dott.ssa Maria Fariello, funzionario responsabile per l’Irpinia della Soprintendenza archeologica, stanno producendo risultati di straordinario interesse scientifico, anche se non ancora sufficientemente portati a conoscenza dell’opinione pubblica. Essi stanno infatti restituendo una stratificazione storico-archeologica plurimillenaria, che gettano una luce nuova e originale sulla storia di quello che era il cuore del centro antico, e quindi dell’intera città di Avellino. Siamo infatti nell’area di quel quartiere anticamente detto «Dentro la Terra, seu la parrocchia di S. Andrea», a fianco e alle spalle del duomo, oggi in pratica non più esistente per effetto di massicci sventramenti, operati a metà del XIX secolo, che hanno completamente sconvolto e stravolto, prima ancora del terremoto del 1980 e dalla successiva “ricostruzione”, l’originario assetto urbanistico-architettonico di quell’area. Non sarà quindi privo d’interesse, anche alla luce dei recenti rinvenimenti, seguire le fasi che hanno condotto all’attuale stato di cose. Ciò contribuirà pure, attraverso la ricerca documentaria, a integrare e a contestualizzare, per quanto possibile, quello che sta venendo alla luce.
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La parrocchia di Sant’Andrea, soppressa con le altre parrocchie cittadine nel 1454, con quella di San Lorenzo abbracciava l’intera Terra. Essa va probabilmente individuata nei resti di quell’edificio sacro rinvenuti in prossimità del campanile della cattedrale, sempre che non si tratti, invece, come è pure possibile, di San Nicola a Corte. La sua circoscrizione comprendeva il «Palatium» dei conti longobardi, l’episcopio e altri importanti edifici cittadini, sia civili che ecclesiastici, come la stessa «platea maior», che la divideva dalla parrocchia di San Lorenzo, la quale si estendeva sul versante settentrionale della Terra, sul versante del Riocupo.
Al di là degli scarsi resti murari e archeologici della città medioevale (almeno sino agli scavi in corso) è importante e significativo l’antico l'assetto topografico, e soprattutto viario della città antica; questo, infatti, rappresenta di per se stesso un documento storico di prim'ordine. Esso permette infatti di rilevare ed evidenziare l'esistenza di un nucleo urbano dai caratteri assai ben definiti. Si tratta del sistema di strade che si articola circolarmente intorno alla parte cuspidale della collina, occupata dalla cattedrale; è questo un sistema che ha una forma di trapezio, o meglio di ferro di cavallo, con i lati maggiori su via Seminario e via Sette Dolori. Vi si può notare un andamento viario con strade parallele (quelle appunto a ferro di cavallo), che misurate con le unità di misura nell'alto Medioevo risultano assai regolari e frutto di una vera e propria fondazione. È all'epoca della fondazione, infatti, che furono tracciati i perimetri difensivi, furono alzati muri e terrapieni, vennero costruite strade di servizio all'interno le quali, attraverso i secoli, non sono sostanzialmente mutate come impianto, anche se l'edilizia è stata più volte sostituita, specie per effetto delle numerose distruzioni subìte dalla città. E se l'espansione urbana comportò la formazione di nuove aree urbane, i borghi, a loro volta in seguito circondati da mura, il sistema delle strade parallele di servizio alle fortificazioni della Terra rimase intatto.
Inoltre, il sistema stradale a ferro di cavallo dell’Avellino medioevale, oltre a denunciare col suo andamento che ci si trova di fronte ad una fortificazione, indica anche, con le misure precise delle sue dimensioni (400 metri circa a Sud e a Nord, 200 a Nord-Ovest, 150 a Sud-Est, per quasi ottomila metri quadri di superficie) di essere stato disegnato dall'uomo. L'andamento circolare intorno al nucleo centrale delle strade e delle fortificazioni determinava inoltre la suddivisione dell'intera città in una serie di compartimenti stagni, consentendo una difesa su linee successive. Ad esempio, l'assalitore che fosse riuscito a superare la «Porta della Terra» e la prima cerchia muraria, quella del «Vuccolo», non si sarebbe trovato nel cuore della città, ma avrebbe dovuto affrontare una nuova cortina muraria continua. Il nucleo urbano più centrale e strategicamente vitale, che occupava la “spina” cuspidale della collina della Terra, intorno al «Palatium»» dei conti longobardi, costituiva esso stesso un’insula insediativa separata, murata e, a quanto sembra da alcuni indizi dello scavo, anche, in origine, difesa da un fossato; assai significativo, in proposito, è il toponimo «Cinta», ricordato da un documento del 1403 proprio in riferimento alla prossima chiesa di Sant’Andrea («casa fabrita non longe ab ecclesia S. Andreae»).
Inoltre questo sistema di strade parallele deve essere considerato nella sua continuità, senza le rotture che esso oggi presenta al suo centro, con la piazza e la via Duomo e la cosiddetta Piazza Maggiore, frutti di sventramenti ed ampliamenti sette-ottocenteschi.
L'asse portante dell'originario insediamento longobardo, completamente volto a Mezzogiorno, non va identificato nella linea Duomo-Castello (quest'ultimo in epoca longobarda ancora non esistente), ma bensì lungo l’asse longitudinale, tutto orientato a Mezzogiorno, Duomo-Piazza Maggiore-Rocca-Porta Maggiore. La Piazza Maggiore (su cui confluiva un autentico rivolo di vicoli, di angiporti e di «gradelle») costituì sino alla fine del XIII secolo il cuore pulsante della vita civile, economica e spirituale della città, essendo allo stesso tempo sede di mercato, dell’amministrazione della giustizia, di pubbliche feste, di solennità civili e religiose, e quindi sostanzialmente fulcro della nascente coscienza municipale, che tenterà, a metà del XIII secolo, di emancipare la città dal dominio feudale, subendo per questo la dura repressione del marchese di Hohemburg per conto di Corrado II di Svevia (1251).
Ma che cos'era e dov'era, in realtà, la Piazza Maggiore? Non era certo, come è stato quanto mai anacronisticamente ipotizzato, quel largo spazio geometricamente regolare sorto a metà dell’800 alle spalle del duomo per effetto di successivi sventramenti. Essa, innanzitutto, non aveva nulla della “piazza” intesa in senso moderno; come tutte le piazze medioevali, assai più semplicemente, era nient'altro che un normale asse viario, appena più ampio degli altri consimili, che prendeva nome dalla porta principale della città (la «Porta Maggiore», appunto, con la contigua «Rocca»), da cui usciva la «via Salernitana». Tutto indica che fosse questo un tratto dell'antica via Campanina che, proveniente da Abellinum, nel dirigersi verso Ovest doveva inevitabilmente oltrepassare prima la collina del Castello e poi quella della Terra, in quanto a destra e a sinistra correvano il Fenestrelle e il Riocupo, di portata sicuramente allora maggiore, i cui fondovalle non si prestavano ad una agevole e sicura percorribilità. Sembra quindi presumibile ipotizzare - e l’ipotesi è confermata dai recenti rinvenimenti di una strada selciata sia a monte dell’ex tirassegno che nell’area di piazza Castello e in quella dell’ex seminario - che nell’età romana la strada si sviluppasse a mezza costa della duplice collina Terra-Castello, il cui tratto lungo la dorsale della Terra era altresì al servizio della struttura insediativa stabilita sul culmine della collina. Si trattava, come indicano gli elementi topografici già rilevati, di un castrum romano, le cui fortificazioni erano in origine però probabilmente costituite da palizzate in legno. Il tracciato viario medievale rimase sostanzialmente lo stesso; infatti, entrata nella cerchia muraria dalla porta di rampa Tofara, la strada tagliava la collina lungo la sua dorsale centrale, da rampa Tofara all’abbazia di San Benedetto; qui giunta, la strada compiva una grossa svolta a gomito seguendo la linea di pendenza della ripa della collina, per poi uscire dalle mura, da un lato attraverso la Porta della Terra e dall’altro attraverso la Porta Maggiore.
A raccordare le due porte svolgevano un'importante funzione logistico-strategica un camminamento sotterraneo e una criptoporta, che diedero origine al singolare toponimo del «Vuccolo» (che in dialetto sta per bocca, apertura), ancora vivo nel primo '700, il quale indicava la strada che dal larghetto Santissimo, attraverso la Porta della Terra e la Torre dell'Orologio giungeva alle «Gradelle della Fontana», di cui l'attuale via «Salita Orologio» è un relitto. Questa strada, oggi in parte non più esistente, nell'Avellino longobarda aveva un'importanza fondamentale perché, nell'ambito del sistema di strade parallele al servizio delle fortificazioni della Terra di cui si è già fatto cenno, essa correva a immediato ridosso della cerchia muraria lungo il ciglio della «Ripa»; per di più su di essa insistevano strutture importanti, come la Porta della Terra, l'abbazia di San Benedetto e la criptoporta del Vuccolo, mentre nell'area retrostante si apriva la Piazza Maggiore. Là dove su quest’asse centrale s’innestavano altre vie minori, determinando uno slargo, si apriva infatti la Piazza Maggiore. Su di essa si affacciavano i principali edifici civili e religiosi della città (il «Palatium» del conte longobardo con la cappella palatina di San Nicola a Corte, la cattedrale e l'episcopio). La sua collocazione più probabile e verisimile appare essere quella nell'area compresa nel triangolo campanile del Duomo-abbazia di San Benedetto (nei pressi della Torre dell'Orologio)-chiesa di Sant’Andrea (area dell’ex Seminario). Essa, quindi, occupava uno spazio prossimo ma alquanto eccentrico rispetto all'attuale Piazza Duomo, frutto di uno sventramento settecentesco.
È questo, inoltre, il punto culminante e centrale dell'intera collina della Terra, già frequentato ed abitato in epoca protostorica e romana. Sul fianco meridionale del duomo, nell'area di sedime del seminario, sono state infatti recentemente rinvenute alcune strutture di età tardo-imperiale e altomedioevale. Nello stesso luogo, insieme a tombe sannitiche che testimoniano un'antichissima frequentazione del sito, sono venute alla luce numerose tombe ad inumazione, senza corredo funerario, di età medioevale, mura e vani sotterranei destinati a sepolture, cisterne e depositi. E, ad una quota inferiore, un'antica strada selciata, ascrivibile ad un periodo tardo-antico-altomedievale, che passa nei pressi del campanile. Su queste strutture, attribuibili ad un vero e proprio insediamento abitativo («pagus») s'istallò e sovrappose il primo insediamento longobardo. Esso, in origine, dovette attestarsi nell'“insula” centrale della Terra, delimitata da via Seminario e via Sette Dolori, dove furono edificati, utilizzando ampiamente materiali di spoglio, sia locali che trasportati dalle rovine di Abellinum, i principali edifici civili e religiosi. Le uniche strutture murarie esistenti sicuramente attribuibili ai Longobardi erano sino ad oggi costituite dal primo registro del campanile del duomo e da un frammento di cortina della cinta delle mura cittadine rinvenuto nei pressi della Torre dell'Orologio. Il primo livello del campanile, costruito con l'utilizzo di blocchi marmorei e materiale di spoglio di monumenti funerari romani, assemblati mediante getti di conglomerato, presenta strette analogie col tratto superstite dell' originario circuito difensivo longobardo di Benevento, tra la Rocca dei Rettori e l'Arco di Traiano, di cui sembra di poco posteriore.
Il primo piano del campanile per la sua possente struttura induce, peraltro, a dubitare che questa fosse la sua destinazione originaria. Difatti, la prima chiesa della città longobarda (erroneamente identificata con l'attuale cripta del Duomo), non ancora sede vescovile, doveva costituire una struttura quanto mai modesta, rispetto alla quale un campanile così possente sarebbe senz'altro risultato sproporzionato. Ciò induce a ritenere che la funzione originaria del campanile sia stata prettamente difensiva, e che la torre facesse parte delle strutture fortificate del «Palatium». Questo è collocabile nell’area a cavallo tra il seminario, già episcopio, e l’ex Istituto Santa Maria, già palazzo Giordano, dove ne sono di recente venute alla luce le mura poderose. Residenza fortificata del gastaldo e poi del conte longobardo, il «Palatium» venne adibito ad espiscopio solo alla fine del XII secolo, con l’edificazione della cattedrale normanna e col trasferimento dell’autorità civile nel castello feudale. La denominazione assunta nell’età moderna dal tracciato dell’antica via Campanina fu quella di «Dentro la Terra» e, nel suo tratto centrale, di «Vicolo del Signor Giordano», dal palazzo dell’omonima famiglia. Successivamente essa perse però progressivamente ogni importanza, per finire chiusa e privatizzata specie a causa della ristrutturazione tardo-ottocentesca del duomo, o addirittura cancellata per lo sventramento del rione effettuato negli anni Cinquanta dell’800.
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Le recenti indagini archeologiche hanno portato alla luce resti cospicui dell’Avellino antica e medievale, consentendo altresì una lettura quanto mai efficace della sua bimillenaria stratificazione storica, dal periodo irpino-sannitico all’età moderna. Particolare rilievo rivestono le tracce di palificazioni altomedievali, attribuibili alla prima fase dell’insediamento longobardo. Si tratta di una scoperta per più versi eccezionale, sia per il periodo storico, assai poco documentato, al quale risalgono, sia perché testimoniano le tecniche insediative dei Longobardi stessi. Impiegando una tecnica primitiva ma efficace, costoro utilizzarono infatti le fondazioni murarie romane per edificarvi delle grandi capanne, costruite soprattutto in legno e con tetti in paglia, ma che si basavano sulle strutture pavimentarie delle antiche murature in rovina. La scoperta è avvenuta nell’area di sedime del cosiddetto palazzo Falivene a via Seminario, che la tradizione storica locale ha, del tutto infondatamente, identificato coll’antico episcopio. Si tratta, invece, di uno dei più antichi palazzi nobiliari avellinesi, sorto sulle fondamenta del «Palatium» dei conti longobardi, e che a fine ‘600, estintisi i Paulella, passò al monastero agostiniano di Santo Spirito a Porta Puglia, sino a che nel 1809 questo venne soppresso e il palazzo ceduto al Comune che, in seguito, l’alienò.
Risulta, comunque, evidente che la sistemazione dell’area dell’ex Seminario – come al solito progettata senza minimamente prevedere e immaginare quello che il sottosuolo avrebbe rivelato – non può prescindere da un disegno urbanistico-culturale complessivo e integrato, che comprenda il recupero, e soprattutto la fruizione, di quello straordinario patrimonio storico e ambientale della città antica, che partendo dalla Dogana e passando per la Terra, il Castello e il Casino del Principe arrivi al parco Santo Spirito. Ma un disegno del genere non può che far parte di un’idea alta e nobile di città, un’idea e un disegno che purtroppo ancora non esistono.