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    17/05/2024

Sotto Piazza Duomo la storia di Avellino

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I reperti archeologici nell'area dell'ex seminario di Piazza DuomoGli scavi attualmente in corso nell’area di sedime dell’ex seminario e di «Largo Sette Dolori» (poi divenuto  «Largo Ospedale», ma che ci si ostina ad indicare, del tutto antistoricamente, come «Piazza Maggiore»),  la cui guida è stata finalmente assunta da un’archeologa competente come la dott.ssa Gabriella Ciaccia, sotto l’attenta supervisione della dott.ssa Maria Fariello, funzionario responsabile per l’Irpinia della Soprintendenza archeologica, stanno producendo risultati di straordinario interesse scientifico, anche se non ancora sufficientemente portati a conoscenza dell’opinione pubblica. Essi stanno infatti restituendo una stratificazione storico-archeologica plurimillenaria, che gettano una luce nuova e originale sulla storia di quello che era il cuore del centro antico, e quindi dell’intera città di Avellino. Siamo infatti nell’area di quel quartiere anticamente detto «Dentro la Terra, seu la parrocchia di S. Andrea», a fianco e alle spalle del duomo, oggi in pratica non più esistente per effetto di massicci sventramenti, operati a metà del XIX secolo, che hanno completamente sconvolto e stravolto, prima ancora del terremoto del 1980 e dalla successiva “ricostruzione”, l’originario assetto urbanistico-architettonico di quell’area. Non sarà quindi privo d’interesse, anche alla luce dei recenti rinvenimenti, seguire le fasi che hanno condotto all’attuale stato di cose. Ciò contribuirà pure, attraverso la ricerca documentaria, a integrare e a contestualizzare, per quanto possibile, quello che sta venendo alla luce.

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La parrocchia di Sant’Andrea, soppressa con le altre parrocchie cittadine nel 1454, con quella di San Lorenzo abbracciava l’intera Terra. Essa va probabilmente individuata nei resti di quell’edificio sacro rinvenuti in prossimità del campanile della cattedrale, sempre che non si tratti, invece, come è pure possibile, di San Nicola a Corte. La sua circoscrizione comprendeva il «Palatium» dei conti longobardi, l’episcopio e altri importanti edifici cittadini, sia civili che ecclesiastici, come la stessa «platea maior», che la divideva dalla parrocchia di San Lorenzo, la quale si estendeva sul versante settentrionale della Terra, sul versante del Riocupo.

Al di là degli scarsi resti murari e archeologici della città medioevale (almeno sino agli scavi in corso) è importante e significativo l’antico l'assetto topo­grafico, e soprattutto viario della città antica; questo, infatti, rappresenta di per se stesso un documento storico di prim'ordine. Esso permette infatti di rilevare ed evidenziare l'esistenza di un nucleo ur­bano dai caratteri assai ben defi­niti. Si tratta del sistema di strade che si articola circo­lar­mente intorno alla parte cuspidale della col­lina, occupata dalla cat­te­drale; è que­sto un si­stema che ha una forma di trapezio, o meglio di ferro di cavallo, con i lati maggiori su via Seminario e via Sette Dolori. Vi si può notare un andamento via­rio con strade parallele (quelle ap­punto a ferro di cavallo), che misurate con le unità di misura nel­l'alto Medio­evo risultano assai regolari e frutto di una vera e pro­pria fondazione. È all'epoca della fon­dazione, infatti, che furono trac­ciati i perimetri di­fensivi, furono alzati muri e terrapieni, vennero co­struite strade di ser­vizio all'interno le quali, attraverso i secoli, non sono sostanzia­lmente mu­tate come impianto, anche se l'edilizia è stata più volte sostituita, spe­cie per ef­fetto delle numerose di­struzioni subìte dalla città. E se l'espa­nsione urbana compor­tò la for­mazione di nuove aree ur­bane, i borghi, a loro volta in se­guito circon­dati da mura, il sistema delle strade parallele di servizio alle forti­ficazioni della Terra ri­mase intatto.

Inoltre, il sistema stradale a ferro di cavallo dell’Avellino medioevale, oltre a denunciare col suo an­damento che ci si trova di fronte ad una fortificazione, indica anche, con le misure precise delle sue dimen­sioni (400 metri circa a Sud e a Nord, 200 a Nord-Ovest, 150 a Sud-Est, per quasi ottomila metri quadri di superficie) di essere stato di­segnato dal­l'uomo. L'andamento circolare in­tor­no al nucleo centrale delle stra­de e delle fortifi­ca­zio­­ni de­terminava inoltre la suddi­vi­sio­ne dell'intera cit­­tà in una se­rie di compartimenti stagni, con­­sentendo una difesa su linee suc­ces­sive. Ad esempio, l'as­sa­litore che fosse riu­scito a superare la «Porta della Terra» e la prima cer­chia muraria, quella del «Vuccolo», non si sarebbe tro­­vato nel cuore della città, ma avrebbe do­vu­to af­fron­tare una nuova cortina muraria continua. Il nucleo urbano più centrale e strategicamente vitale, che occupava la “spina” cuspidale della collina della Terra, intorno al «Palatium»» dei conti longobardi, costituiva esso stesso un’insula insediativa separata, murata e, a quanto sembra da alcuni indizi dello scavo, anche, in origine, difesa da un fossato; assai significativo, in proposito, è il toponimo «Cinta», ricordato da un documento del 1403 proprio in riferimento alla prossima chiesa di Sant’Andrea («casa fabrita non longe ab ecclesia S. Andreae»).

Inoltre questo si­stema di strade parallele deve essere consi­de­rato nella sua conti­nuità, senza le rotture che esso oggi pre­senta al suo centro, con la piazza e la via Duomo e la cosiddetta Piazza Mag­giore, frutti di sventramenti ed ampliamenti sette-ot­tocenteschi.

L'asse portante dell'originario insediamento longobardo, comple­tamente volto a Mezzogiorno, non va identificato nella linea Duomo-Castello (quest'ultimo in epoca longo­barda ancora non esi­stente), ma bensì lungo l’asse longitudi­nale, tutto orientato a Mezzo­giorno, Duomo-Piazza Maggiore-Rocca-Porta Mag­giore. La Piazza Mag­gio­re (su cui confluiva un autentico ri­volo di vicoli, di angiporti e di «gradelle») costituì sino alla fine del XIII secolo il cuore pul­sante della vita civile, economica e spirituale della città, essendo allo stesso tempo sede di mercato, dell’amministrazione della giustizia, di pubbliche feste, di solennità civili e religiose, e quindi so­stanzial­mente fulcro della na­scente coscienza municipale, che ten­terà, a metà del XIII secolo, di eman­cipare la città dal do­minio feu­dale, subendo per questo la dura repressione del mar­chese di Hohemburg per conto di Corrado II di Sve­via (1251).

Ma che cos'era e dov'era, in realtà, la Piazza Maggiore? Non era cer­to, come è stato quanto mai anacronisticamente ipotiz­zato, quel largo spazio geometricamente regolare sorto a metà dell’800 alle spalle del duomo per effetto di successivi sventramenti. Essa, innanzi­tutto, non aveva nulla della “piazza” intesa in senso moderno; come tutte le piazze me­dioevali, assai più semplice­mente, era nient'altro che un normale asse viario, appena più ampio degli altri consimili, che pren­deva nome dalla porta princi­pale della città (la «Porta Maggiore», ap­punto, con la contigua «Rocca»), da cui usciva la «via Salernitana». Tutto indica che fosse questo un tratto dell'antica via Campanina che, prove­niente da Abellinum, nel diri­gersi verso Ovest doveva inevitabilmente ol­trepassare prima la collina del Castello e poi quella della Terra, in quan­­to a destra e a sinistra correvano il Fenestrelle e il Rio­cupo, di por­tata sicura­mente allora maggiore, i cui fondovalle non si presta­vano ad una agevole e sicura per­corribilità. Sembra quindi presumibile ipotizzare - e l’ipotesi è confermata dai recenti rinvenimenti di una strada selciata sia a monte dell’ex tirassegno che nell’area di piazza Castello e in quella dell’ex seminario - che nell’età romana la strada si sviluppasse a mezza costa della duplice collina Terra-Castello, il cui tratto lungo la dorsale della Terra era altresì al servizio della struttura insediativa stabi­lita sul culmine della collina. Si trattava, come indicano gli elementi topografici già rilevati, di un castrum romano, le cui fortificazioni erano in origine però probabilmente costituite da palizzate in legno. Il tracciato viario medievale rimase sostanzialmente lo stesso; infatti, entrata nella cerchia muraria dalla porta di rampa Tofara, la strada tagliava la collina lungo la sua dorsale centrale, da rampa Tofara all’abbazia di San Benedetto; qui giunta, la strada compiva una grossa svolta a gomito seguendo la linea di pendenza della ripa della collina, per poi uscire dalle mura, da un lato attraverso la Porta della Terra e dall’altro attraverso la Porta Maggiore.

A raccordare le due porte svolgevano un'importante funzione logistico-strategica un camminamento sotterraneo e una criptoporta, che diedero ori­gine al singolare toponimo del «Vuccolo» (che in dialetto sta per bocca, apertura), ancora vivo nel primo '700, il quale indi­cava la strada che dal larghetto Santissimo, attraverso la Porta della Terra e la Torre dell'Orologio giun­geva alle «Gradelle della Fontana», di cui l'attuale via «Salita Orologio» è un relitto. Questa strada, oggi in parte non più esistente, nell'A­vel­lino longo­barda aveva un'importanza fonda­mentale per­ché, nell'am­bito del sistema di strade paral­lele al servizio delle fortificazioni della Terra di cui si è già fatto cenno, essa correva a immediato ridosso della cerchia muraria lungo il ci­glio della «Ripa»; per di più su di essa insistevano strutture importanti, come la Porta della Terra, l'abba­zia di San Benedetto e la criptoporta del Vuccolo, mentre nell'area re­trostante si apriva la Piazza Maggiore. Là dove su quest’asse centrale s’innestavano altre vie minori, determinando uno slargo, si apriva infatti la Piazza Maggiore. Su di essa si af­fac­ci­a­vano i principali edifici civili e religiosi della città (il «Palatium» del conte longo­bardo con la cap­pella palatina di San Nicola a Corte, la cat­te­drale e l'episcopio). La sua colloca­zione più pro­ba­bi­le e verisimile ap­pare essere quella nell'area compresa nel triangolo cam­pa­ni­le del Duomo-abbazia di San Benedetto (nei pressi della Torre dell'Orologio)-chiesa di Sant’Andrea (area dell’ex Seminario). Essa, quindi, oc­cupava uno spazio prossimo ma alquanto ec­cen­trico rispetto all'attuale Piazza Duomo, frutto di uno sventramento settecentesco.

È questo, inoltre, il punto culminante e cen­trale dell'in­tera collina dell­a Terra, già frequen­tato ed abitato in epoca protostorica e romana. Sul fianco meridionale del duomo, nell'area di sedime del seminario, sono state infatti recen­temente rinvenute alcune strutture di età tardo-im­periale e altomedioevale. Nello stesso luogo, in­sieme a tombe sanniti­che che testimoniano un'antichissima frequentazione del sito, sono venute alla luce numerose tombe ad inumazione, senza corredo fune­rario, di età medioevale, mura e vani sotterranei destinati a sepolture, cisterne e de­positi. E, ad una quota inferiore, un'antica strada selciata, ascri­vibile ad un periodo tardo-antico-altomedievale, che passa nei pressi del cam­panile.  Su queste strutture, attribuibili ad un vero e proprio insediamento abitativo («pagus») s'i­stallò e sovrap­pose il primo in­sediamento longobardo. Esso, in origine, dovette attestarsi nell'“insula” centrale della Terra, deli­mi­tata da via Seminario e via Sette Dolori, dove furono edifi­cati, utiliz­zan­do am­piamente materiali di spoglio, sia locali che trasportati dalle rovine di Abel­linum, i principali edifici civili e religiosi. Le uniche strutture murarie esistenti sicuramente attri­buibili ai Longobardi erano sino ad oggi costituite dal primo registro del cam­panile del duomo e da un frammento di cortina della cinta delle mura cit­tadine rinve­nuto nei pressi della Torre dell'Orologio. Il primo livello del campanile, costruito con l'utilizzo di blocchi marmorei e materiale di spoglio di mo­numenti funerari romani, assemblati me­diante getti di conglome­rato, presenta strette analogie col tratto superstite dell' originario circuito di­fensivo longobardo di Benevento, tra la Rocca dei Rettori e l'Arco di Traiano, di cui sembra di poco posteriore.

Il primo pia­no del campanile per la sua pos­sente struttura induce, pe­raltro, a dubitare che questa fosse la sua destina­zione originaria. Difatti, la prima chiesa della città longobarda (erroneamente identificata con l'attuale cri­pta del Duo­mo), non ancora sede vescovile, doveva costituire una struttura quanto mai mo­desta, rispetto alla quale un campanile così possente sarebbe senz'altro ri­sultato spropor­zionato. Ciò induce a rite­nere che la fun­zione ori­ginaria del campanile sia stata pretta­mente difensiva, e che la torre facesse parte delle strutture forti­ficate del «Palatium». Questo è collocabile nell’area a cavallo tra il seminario, già episcopio, e l’ex Istituto Santa Maria, già palazzo Giordano, dove ne sono di recente venute alla luce le mura poderose. Residenza fortificata del gastaldo e poi del conte longo­bardo, il «Palatium» venne adibito ad espiscopio so­lo alla fine del XII secolo, con l’edi­fi­ca­zione della cattedrale normanna e col trasferimento dell’auto­ri­tà civile nel castello feudale. La denominazione assunta nell’età moderna dal tracciato dell’antica via Campanina fu quella di «Dentro la Terra» e, nel suo tratto centrale, di «Vicolo del Signor Giordano», dal palazzo dell’omonima famiglia. Successivamente essa perse però progressivamente ogni importanza, per finire chiusa e privatizzata specie a causa della ristrutturazione tardo-ottocentesca del duomo, o addirittura cancellata per lo sventramento del rione effettuato negli anni Cinquanta dell’800.

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Le recenti indagini archeologiche hanno portato alla luce resti cospicui dell’Avellino antica e medievale, consentendo altresì una lettura quanto mai efficace della sua bimillenaria stratificazione storica, dal periodo irpino-sannitico all’età moderna. Particolare rilievo rivestono le tracce di palificazioni altomedievali, attribuibili alla prima fase dell’inse­diamento longobardo. Si tratta di una scoperta per più versi eccezionale, sia per il periodo storico, assai poco documentato, al quale risalgono, sia perché testimoniano le tecniche insediative dei Longobardi stessi. Impiegando una tecnica primitiva ma efficace, costoro utilizzarono infatti le fondazioni murarie romane per edificarvi delle grandi capanne, costruite soprattutto in legno e con tetti in paglia, ma che si basavano sulle strutture pavimentarie delle antiche murature in rovina. La scoperta è avvenuta nell’area di sedime del  cosiddetto palazzo Falivene a via Seminario, che la tradizione storica locale ha, del tutto infondatamente, identificato coll’antico episcopio. Si tratta, invece, di uno dei più antichi palazzi nobiliari avellinesi, sorto sulle fondamenta del «Palatium» dei conti longobardi, e che a fine ‘600, estintisi i Paulella, passò al monastero agostiniano di Santo Spirito a Porta Puglia, sino a che nel 1809 questo venne soppresso e il palazzo ceduto al Comune che, in seguito, l’alienò.

Risulta, comunque, evidente che la sistemazione dell’area dell’ex Seminario – come al solito progettata senza minimamente prevedere e immaginare quello che il sottosuolo avrebbe rivelato – non può prescindere da un disegno urbanistico-culturale complessivo e integrato, che comprenda il recupero, e soprattutto la fruizione, di quello straordinario patrimonio storico e ambientale della città antica, che partendo dalla Dogana e passando per la Terra, il Castello  e il Casino del Principe arrivi al parco Santo Spirito. Ma un disegno del genere non può che far parte di un’idea alta e nobile di città, un’idea e un disegno che purtroppo ancora non esistono.

 

 

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