Avellino e l’Irpinia avrebbero bisogno in questo momento di un contesto politico forte e ben definito. Ma come fa ad averlo se il più seguito partito della provincia, il Pd, non riesce a trovare la quadra né per un assetto interno credibile (e quindi una capacità propositiva convincente per l’opinione pubblica) sia rispetto all’ambito provinciale sia rispetto alla difficilmente recuperabile situazione di Avellino.
Naturalmente c’è poco da stupirsi di fronte a questo collasso considerando quanto accade nello scenario politico nazionale. E non soltanto nel Pd. Rimane il fatto, però, che da noi quella dei democratici è la principale forza politica che nel capoluogo retrocesso (cancellato) è addirittura accusata, per via delle dimissioni del suo sindaco in questo particolare momento, di doppia responsabilità: di fuga dalla nave che sta naufragando per il suo sindaco; di omissione di soccorso verso naufraghi da parte del gruppo dirigente del Pd.
Un partito, quest’ultimo, che ha visto passare per Avellino i tre più importanti candidati progressisti alla guida del governo: Bersani, Renzi e Vendola. Tranne l’ultimo, nessuno ha parlato della questione meridionale che rimane tale ad onta di più di mezzo secolo di Repubblica. Lo stesso Vendola ha sì detto che la nota “questione” deve essere messa al centro dell’attività dei prossimi governi, ma non ha indicato una (anche una sola) strada per avvicinarsi ad un risultato concreto.
La particolarità e la gravità della situazione nel Pd è data anche dagli scontri tra le due (?) anime che convivono nel partito: quella ex Dc-Popolari, frantumatasi in vari pezzi, quella dell’ex Pci-Pds (e non solo). Sulla gestione al Comune capoluogo è stata aspra la contesa tra le parti con l’ex componente di sinistra a contestare l’amministrazione con accuse anche violente e pesanti al sindaco Galasso, al quale hanno anche rinfacciato la richiesta di una candidatura alle prossime elezioni politiche. In sintesi una forte contraddizione: il sindaco non è all’altezza del compito, votiamogli contro in Consiglio. Però quando il primo cittadino si è dimesso gli hanno chiesto di fare un passo indietro…Ma allora la città meritava o non l’amministrazione Galasso? Siamo dunque soltanto a calcoli elettorali non soltanto da parte dell’ex sindaco…
Non è che il resto del Pd viva meglio questo momento. Mai quella che sarebbe la maggioranza alla guida del partito ha trovato il modo ed il tempo di esprimere una forte opinione sulla città, sulle ipotesi del suo sviluppo (per carità non quello edilizio sul quale, comunque, non hanno aperto bocca), sulla cancellazione del suo ruolo di capoluogo. Forse per il Partito democratico a Roma, a Napoli ed in Irpinia vale quanto detto a proposito dell’unificazione italiana da un autorevole studioso francese al culmine delle vicende risorgimentali. Edgar Quinnet, questo il nome dello storico francese, scrisse nel 1848 che la nascita di un’Italia unificata ed indipendente era di fatto impossibile perché l’Italia non è mai esistita, nemmeno per un solo giorno. Quinnet aveva naturalmente studiato il medioevo, l’Italia dei Comuni, la storia del papato ecc.
La recensione del ripubblicato libro di Edgar Quinnet ad opera dell’ambasciatore Sergio Romano sul Corriere della Sera del 15 agosto scorso ha fatto da mesi tornare alla mente quel severo giudizio e metterlo in parallelo con le vicende e la breve storia del Pd. Partito che non è mai esistito e che quindi non può «risorgere».
A chi vuol costruire qualcosa al di là della propria storia, per quanto essa sia rispettabile, occorrono sforzi sovrumani. Da noi non vediamo gente impegnata in così ardua impresa. Non ne vediamo neppure di leggermente affaticata. E poi il Pd sembra più che altro un partito che non vuole nascere.