AVELLINO – Portare un partito importante a battersi su fronti come l’aggressione edilizia al territorio, l’individuazione di metodi rigidi di tutela delle sorgenti e dei corsi d’acqua, l’incremento della forestazione, l’intangibilità dei nostri paesaggi e dei nostri borghi, il rifiuto delle perforazioni per la ricerca dl petrolio è opera vana e, comunque, snaturante la posizione, la tradizione, la storia di una forza politica e del suo abituale modo di porsi di fronte all’opinione pubblica? E se sì perché sarebbe, questo nuovo volgere di sguardi e di attenzioni, un tradimento? Non è forse la difesa della nostra terra un argomento degno di essere privilegiato, e non sono, insieme, acqua, paesaggi, boschi, fiumi, torrenti argomenti validi per lo sviluppo di una comunità?
Purtroppo questi temi vengono ritenuti appannaggio di forze squisitamente ambientaliste, al più materia per comitati di protesta. In realtà è il futuro che si sta tingendo di verde. È il resto che sta diventando collaterale. Per fare turismo c’è naturalmente bisogno di spostarsi, quindi ci vogliono auto, aerei, treni; ma non più come una volta. Ed in ogni caso senza ambiti che facciano da forte richiamo (contesti che diventano famosi nel tempo: il Salento, le vallate dell’Umbria, i vigneti della Toscana, i Sassi di Matera ad esempio) lo spostamento non avviene.
Del resto, da tempo abbiamo messo in soffitta gli esodi, le code ai caselli e tutto lo sproloquiare giornalistico intorno a questi eventi. La politica davvero è soltanto lo scambio di accuse tra e dentro i partiti? È davvero tutta rappresentata dalla problematica sullo sviluppo così come è stata portata avanti fino ad ora? Parliamoci chiaro. Ormai la materia del lavoro, pur in tutta la sua ampiezza, è di fatto materia quasi esclusiva delle organizzazioni sindacali. I partiti ormai difendono il loro spazio vitale fatto di residui di ideologie, di forti storie locali o personali.
Nel caso della nostra provincia davvero dobbiamo attendere che dentro il Partito democratico – primo partito in tutta la provincia oltre che in Avellino – si chiarisca chi deve prevalere a Roma, a Napoli ed in Irpinia prima di orientarci verso un progetto di sviluppo della nostra terra? Abbiamo tentato già dalla metà degli anni Settanta la strada delle grandi fabbriche. Prima la Fiat a Flumeri, poi l’Alfa a Pianodardine (Arna), poi, dopo il sisma dell’80, la calata degli industrialotti nordici nelle aree del “cratere”. Il tutto preceduto dall’illusione-delusione del “nucleo industriale” di Avellino presto divenuto consorzio Asi con tanto di consiglio di amministrazione che divenne pascolo abusivo dei partiti governativi. Tutte queste iniziative e le speranze ad esse collegate sono andate purtroppo deluse.
Intanto c’è da dire che mentre queste iniziative nascevano e morivano il territorio della nostra provincia veniva mangiato e consumato. È vero che sui nostri paesi e le nostre campagne è passato come un rullo compressore il terremoto del 1980. Ma il sisma sembra aver coperto ogni esagerazione, ogni invasione di campo, ogni devastazione, con il risultato che riconosciamo poche cose. Le campagne intorno agli abitati, ad esempio, sono piene di ville, villette, villone (alcune di dubbia appartenenza), il nuovo simbolo dell’agiatezza dei nostri tempi, il risultato dell’effimera floridezza che sembrò avvolgerci per un brevissimo periodo.
Riflettere su tutto questo, costruirci attorno un’ipotesi di sviluppo è davvero impolitico? Se la politica vuole davvero avere un ruolo decisivo in questa provincia non tralasci di appoggiare i tanti comitati che zona per zona sono sorti per tutelare questo o quell’aspetto del nostro territorio e soprattutto di non tralasciare l’ipotesi di individuazione dell’Irpinia come parco storico-naturalistico. Con tanto di spinta sulla Regione perché si muova in questo senso e con tanto di vincoli sul territorio. Basta case, lasciamo pochi capannoni e sosteniamo invece aziende alberghiere, aziende agricole (soprattutto quelle che curano uliveti e vitigni), richiami turistici come i centri storici dei nostri paesi, i santuari, le cattedrali, le chiese, i conventi, e – ripetiamolo fino alla noia – i paesaggi, i nostri paesaggi.
Se abbracciamo questa causa, costruiamo un futuro anche per qualche ragguardevole forza politica i cui autorevoli esponenti, conviene ribadirlo, da tempo non hanno qualcosa da dire. E diciamola tutta: un parco storico-naturalistico imporrebbe di fatto quelle regole che, in mancanza di una vera legge urbanistica, non abbiamo mai avuto se non nella visione quasi onirica dell’allora ministro dei Lavori pubblici Fiorentino Sullo. Sogno svanito ben mezzo secolo fa con i risultati che l’Italia ha sotto gli occhi.