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    03/07/2024

La difesa della natura in Irpinia

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La cascata del fiume Calore al ponte dei Greci di MontellaAVELLINO – Nell’ordinare l’archivio delle attività pregresse sono venuti fuori una notevole mole di documenti riguardanti le attività in campo ambientale dal 1973, anno di costituzione della sezione irpina del Wwf in poi. La notevole mole spinge a presentare per il momento una stringatissima sintesi a cui si spera possa seguire una più ampia rassegna utile a ricordare quanto si è fatto e quanto invece si sarebbe dovuto fare.

La narrazione parte dalla costituzione del Wwf irpino nel lontano 1973 ad opera di Lello Capaldo allora delegato regionale del Wwf ed incontrastato protagonista delle battaglie ambientaliste in Campania, ed arriva fino ai giorni nostri, cercando di lasciare un riassunto “ambientale” della nostra provincia.

L’ambiente irpino fino al sisma del 1980 si è conservato soprattutto grazie alla sostanziale arretratezza della provincia anche se erano già presenti fenomeni di degrado. Si pensi che la legge sulla tutela delle acque, la famosa legge Merli n. 319 del 1976, entra in vigore poco prima del terremoto per cui all’epoca la depurazione praticamente non esisteva con notevole degrado dei fiumi. Lo stesso impianto di depurazione di Avellino ed hinterland prende l’avvio nel 1976.

Poi con la ricostruzione insieme al dovuto sviluppo economico si sono avuti i primi negativi impatti ambientali che sicuramente si sarebbero potuti gestire meglio per cui si sono avuti anche i primi contraccolpi seri alla salvaguardia dell’ambiente.

Oggi sicuramente vi sono problematiche ambientali da affrontare (in maniera corretta in quanto troppo spesso le proposte di risanamento si rivelano insufficienti se non peggiori del male) ma sicuramente non ci sono i pericoli né gli impatti negativi che si riscontrano in zone più densamente popolate ed industrializzate come, ad esempio, la fascia costiera che va dall’agro nocerino-sarnese al Casertano passando per il capoluogo di regione.

Purtroppo leggendo spesso i titoli di stampa sembra prevalere un masochistico allarmismo invece di una ragionata preoccupazione che si dovrebbe tradurre in un impegno fattivo che invece alla prova dei fatti non esiste. I parchi regionali sono solo sulla carta troppo spesso gestiti da persone con meriti politici più che ambientali, le strutture che dovrebbero fornire servizi ambientali sono anche esse gestite da politici che si improvvisano tecnici ed il fallimento dei servizi pubblici di acquedotto e depurazione sono sotto gli occhi di tutti.

La depurazione e gli impianti scontano la atavica incapacità di gestione e manutenzione che deve assolutamente seguire la realizzazione delle opere.

Queste righe, e soprattutto le future note, vorrebbero avere lo scopo di fornire una analisi obiettiva della situazione reale con i suoi rischi offrendo altresì delle possibili soluzioni altrettanto ragionate che possano contribuire al miglioramento dell’ambiente in Irpinia.

Una ultima notazione è che, quando in questo testo si parla di Irpinia, si intende far riferimento al territorio fisico definibile Irpinia che può essere individuato come tale superando in alcuni casi i confini amministrativi.

Ad esempio, nel momento in cui si tratta dei Picentini non si può non investire la provincia di Salerno, così come quando si parla di Ofanto si sconfina nella lucana provincia di Potenza.

Per l’Irpinia l’impegno è sicuramente importante ma, a nostro giudizio, non siamo ancora al punto di non ritorno a patto che la classe politico-amministrativa abbandoni le vecchie logiche di occupazione degli enti e rinunci all’ambientalismo parolaio, fatto di chiacchiere e convegni a cui non seguono poi i necessari interventi tesi al miglioramento ambientale.

Occorre anche abbandonare la pessima sindrome Nimby che provoca solo immobilismo e danno ambientale.

 

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