AVELLINO – Chi è che non vuole che il vallone del Fenestrelle diventi il parco, il polmone verde della città di Avellino? La domanda è lecita perché stranamente il Comune del capoluogo non ha avviato alcuna procedura (o l’ha fatto ma si lavora in gran segreto, ed allora si spieghino agli avellinesi i motivi della segretezza) per l’acquisizione dei terreni che il Piano Cagnardi destina a verde pubblico; una lunga striscia di verde che dovrebbe accompagnare l’abitato di Avellino (in corrispondenza della chiesa dell’Assunta alla fine di via Nazionale, in pratica sotto il viadotto posto all’inizio della variante) fino al bivio della Puntarola, al confine di Atripalda.
In quest’area, come è noto, un pezzo di parco (12 ettari circa di largo Santo Spirito fino al ponte per Atripalda) è stato realizzato, ma sull’area originariamente destinata alle attività artigianali (Pip); previsione bocciata dall’Autorità di bacino. Per utilizzare come verde pubblico quegli ettari fu chiesto alla Regione un finanziamento – 5 miliardi delle vecchie lire – nel Pica (Piano integrato città di Avellino) mentre contemporaneamente si chiudeva il contenzioso con l’impresa che aveva cominciato a sistemare argini e terreno.
Quello progettato nel vallone Fenestrelle è il parco di Avellino fin dal primo Piano regolatore della città elaborato nel 1968 da Marcello Petrignani ed adottato con successiva approvazione definitiva nel 1969. Allora Petrignani si limitò intelligentemente a prendere atto dell’impossibilità di edificare nel vallone (25 metri al di sotto della quota di via Pironti o via Roma) e destinò quell’oltre mezzo milione di metri quadrati del fondovalle ad un verde attrezzato.
Un Consiglio comunale riottoso e recalcitrante su tanti punti (cinque formalmente, ma in realtà ognuno di quei punti conteneva molte richieste di modifica) ma mai interessato a questa nascita del verde pubblico, forse perché troppo preso dal controllo dell’espansione edilizia a macchia d’olio allora imperante in città.
La previsione di Petrignani rimase tale e fu poi corretta dallo stesso progettista nel suo Piano post-terremoto del 1987 con la previsione della cosiddetta strada-parco, l’arteria che nel fondovalle avrebbe dovuto liberare Avellino dal traffico automobilistico. Il progetto della strada-parco fu affidato a due giovani professionisti: i figlioli dell’ingegner Palmonella, il progettista della prima versione dello stadio Partenio.
Questo lungo excursus solo per chiarire che da quando l’urbanistica ha cominciato a produrre fatti anche ad Avellino (purtroppo soltanto dal 1969 in poi – assessore al ramo l’ingegner Giovanni Mazzone – ) ci si è posto il problema di utilizzare quella profonda incisione nel territorio cittadino. Mezzo secolo prima si era evidentemente compresa la bellezza della vallata se si cercò di individuare nell’attuale via Pironti un lungo ed ampio belvedere.
Venuta meno la fattibilità della strada-parco più per mancanza di fondi che per la ragionata opposizione degli ambientalisti (la società progettista, la SPE, bussa ancora, di tanto in tanto, alle porte del Comune), è arrivata alla fine la proposta del Piano Cagnardi: un parco vero e proprio nel vallone.
E visto che la questione di fondo rimane l’acquisizione delle aree da parte del Comune, Augusto Cagnardi ha ipotizzato una formula perequativa partendo da un presupposto: considerato che neppure la più becera delle speculazioni edilizie è riuscita ad edificare dentro il vallone (area assolutamente infruttuosa dal punto di vista immobiliare) offriamo ai proprietari dei terreni un diritto di edificazione altrove (zona alta di via Roma e zona piazza Perugini). Si tratta di realizzare in pratica un metro cubo per ogni metro quadrato.
Tenendo conto che il vallone “contiene” 652.000 metri quadrati di terreni dei quali 163.000 di letto di torrente, case preesistenti ecc. l’area utile del parco si aggira intorno ai 500mila metri quadrati. Per trasformarli in verde pubblico occorre dunque acquisirli. Per farlo occorre parlare chiaro ai proprietari. Anzi meglio, occorre predisporre i piani di edificazione della cubatura possibile (al netto 455.000 metri cubi).
Per chi è abituato al massimo ricavo da una possibile rendita immobiliare (la cosiddetta speculazione edilizia) non siamo proprio all’optimum. Si tratta di realizzare edifici di quattro piani in buona posizione panoramica. È poco, è pochissimo? La decisione spetta ai proprietari dei terreni che altrimenti vorrebbero tenersi le loro proprietà e limitarsi a (farli) coltivare. A meno che, a meno che non sia nella testa di qualcuno (che speriamo non sia un amministratore civico o, peggio ancora, un tecnico comunale) l’idea di legare quei terreni in fondo al vallone ad una speculazione unendoli (nella contabilità speculativa) ad altre aree di Avellino: il cosiddetto «asservimento».
Accadesse una cosa del genere o si trattasse di piccoli aggiustamenti nulla quaestio; ma se si andasse oltre o, peggio, facendo passare ancora qualche anno, si mirasse a far cadere i vincoli, sarebbe gravissimo ed indecente. Anche per questo il silenzio dell’amministrazione è agghiacciante. Non lo è meno quello dell’opposizione da cui banchi nulla si è sentito. Il parco è un punto centrale delle civiche amministrazioni dal 2000.
Chi non sa realizzarlo o non sa di cosa stiamo parlando si faccia da parte. E subito.