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    03/07/2024

Documenti e curiosità storiche di Bellizzi Irpino

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Marino II CaraccioloAVELLINO - Nel 1555, la contessa di Avellino Maria de Cardona fondò nel territorio a­vel­li­nese, po­po­lan­dolo con famiglie della prossima terra di Aiello, il “casale” di Bell­iz­zi, che as­sunse au­to­­noma per­so­­na­lità am­ministra­ti­va come “Università” (Co­mu­ne) distinta da A­vel­li­­no, che il piccolo cen­tro avrebbe conservato sino all’ag­­gre­ga­zio­ne al ca­­po­luogo nel 1938.

Il principe Marino II Caracciolo (1589-1630), intorno al quale si raccolse una vera e propria corte rinascimentale, nel quadro della sua politica filonobiliare eresse Bellizzi in baronia, quale suffeudo del principato di Avellino, ma a titolo puramente onorifico e “ventoso”; la baronia aveva infatti giurisdizione assai limitata, che si riduceva al primo grado di giudizio per le cause civili dei soli abitanti («cum cognitione primarum causarum civilium et inter civium tan­tum»), e non aveva propria dotazione di beni. In pratica, i poteri del barone non andavano al di là del titolo, riducendosi in pratica alla nomina di un governatore annuale, incaricato dell’am­mi­ni­strazione della limitatissima giurisdizione. Assai più lucroso era invece il Passo o dogana feudale di Bellizzi, che fu abolito nel 1792.

Il primo ad essere investito del titolo di barone di Bellizzi fu il conte Maiolino Bisaccioni, singolare personaggio di avventuriero e di scrittore, “Maestro di Corte” del principe e Arcicancelliere dell’Ordine di S. Giorgio, del quale Marino II Caracciolo era Gran Maestro. Il Bisaccioni, probabilmente pressato da esigenze economiche, ven­dé nel 1626 la baronia ad un altro cortigiano («creato») dei Ca­rac­ciolo, Giovanni Balzarano, originario di Sarno. Interessante è il verbale della presa di possesso, tutt’altro che esaltante, del feudo da parte del Balzarano, redatto il 22 novembre 1626 «in Casali Bellittiarum» dal notaio avellinese Paolo Emilio Cesis (1). Questi, a ri­chiesta del Balzarano, ricevette nella «maiorem Ecclesiam dicti Casalis» la dichiarazione del barone di aver comprato nei mesi pre­cedenti il feudo dal Bisaccioni. Sull'atto era stato impetrato l'as­se­nso del principe con questo memoriale (2):

Ill.mo et Ecc.mo Signore, Gio­van­ni Balzarano creato di V.E. sup­pli­cando l'expone come se ritrova ha­ver com­prato mediante publico instrumento per mano di Notar Vi­cienzo Staijano dal Conte Maijolino Bisaccioni il Casale delli Bellizzi qual teneva immediate et in capite dalla principal Corte d'Avellino me­diante privilegio spedito con la Jurisditione di cause civili nelle prime cause tantum ad expressa riserba del assenso di V.E. qual supplicante resti servita spedirli il suo Beneplacito assenso et la debita Investitura di detto feudo mediante Privilegio in forma offerendosi pagar l'adogho a V.E. ed tut­ti pesi feudali cossì come vostra Eccellenza resterà ser­vita im­po­nere et ordinare et il tutto l'haverà a gratia singolarissima di V.E. ut Deus.

Die duodecimo mensis Octobris 1626.

L’assenso del principe Marino alla supplica del Balzarano fu e­ma­nato il 20 dello stesso mese, per i meriti del supplicante e per i graditi e continui servigi da questi resi come fedele cortigiano («Nos accedentes precibus supplicantis inclinati et attendentes e­tiam ad merita ipsius propterea grata et continua servitia nobis pre­stita pro ut ad presens prestat ipsum nostrum familiarem domesti­cum»).

Una volta data lettura di tali documenti da parte del notaio, il Balzarano, senza op­po­sizione di alcuno («nemine discrepante») pre­se possesso del feudo nell’unico modo che gli era possibile, pas­seg­giando cioè per le vie del paese: «per dictum Ca­salem Belli­tia­rum ambulando et deam­bu­lando et omnia et singula alia faciendo denotantia actus vere realis corporalis et pacifice ac te­nute pos­ses­sionis».

I Balzarano mantennero il titolo di baroni di Bellizzi sino ai primi decenni del XVIII secolo, quando questo passò ai Brescia Morra di Se­rino.

II. Nella crisi del ’600

La piccola Università di Bellizzi, per la ristrettezza della po­po­la­zione, la mancanza di cespiti patrimoniali e l’inesistenza di un pro­prio ter­ritorio distinto da quello di Avellino, versò sempre in gra­vi ristrettezze finanziarie. Queste, naturalmente, si aggravavano nei periodi di crisi economica generale. Assai significativi, ad esempio, sono due documenti. Il 1° settembre 1647, infatti, in piena rivo­lu­zio­ne di Masaniello, l’ex sindaco Gie­su­mundo de Orceolis, es­sendo stato condannato dai razionali (re­visori dei conti), i magnifici Cri­sto­fano Iannaccone e Carlo Graziano, a pagare 45 ducati, per esi­gere i quali erano state spe­dite lettere esecutoriali, e non avendo tale disponibilità di danaro, cedeva al suo successore, l’attuale sin­daco Giulio Cuoci, con patto di retro­ven­dita, un suo terreno di una “giornata” (3).

Con altro atto, redatto nello stesso giorno del precedente, il de Or­ceolis s’impegnava col suo successore a presentare entro due me­si i conti della sua amministrazione, che avrebbe cercato di rico­struire; altri­menti, se tale tentativo non fosse riuscito, avrebbe pa­gato con danni ed interessi. Egli infatti così dichiarava (4):

Havendo eserci­tato l'anni passati il sindacato di detto Casale, et ha­vendo da dilucidare alcune spese, et portare molte scritture per suo discarrico, et beneficio di detto Casale, acciò per l'avvenire non sia molestato da suoi credi­tori, et perché non può quelle cossì de pros­simo portare havendo da andare in Napoli et altri luochi a ri­tro­vare a chi ha fatti detti paga­menti in nome d'esso Casale per farsi fare le debite scritture, per tanto esso Giesù Mundo promette et se obliga quelle portare fra dui mesi d'hoggi, et non mancare per qual­si­voglia ragione e causa con condetione che portando esso Giesù Mun­do le sopra­det­te scritture sia obligato es­so Giulio [Cuoci sin­da­co] nomine quo supra farcele buone.

Né molto meglio andavano le cose a fine secolo, come c’informa un significativo documento del 29 ottobre 1690. Il rev. D. Leo­nardo de Surdis di Mon­trone, arciprete di Bellizzi, il luogotenente Antonio de Gaudio e Si­mone de Iandolo di Avel­lino, affittuario del Passo e delle gabelle di Bellizzi, at­te­sta­vano l’estre­mo stato di miseria degli abitanti, che erano quindi im­possi­bilitati a sopportare i carichi fi­sca­li. Essi infatti dichia­ravano (5):

Il medesimo Ca­sale se ritrova in stato di povertà gran­de, et di mi­seria, a segno tale che porta pericolo di re­stare dishabitato, tanto più che molti fuochi sono estinti, et si sono assen­tati nella città di Bene­vento, et altri luochi lontani del Regno, et non si pos­so­no astrin­gere al pagamento di pesi ordinarij et extraordinarij che deveno pa­gare, di modo che van do­vendo molta quantità d'attrasso per causa de fiscali, et li cittadini di detto Casale stanno ridotti al'ultimo delle miserie, man­cando loro il ne­cessario, et molti per la lo­ro povertà non tengono ne meno uno saccone dove dormire, dor­men­dono sopra le tavole et ne li pa­gliari.

III. Il 1799 a Bellizzi

Un interessante manipolo di documenti inediti ci consente di far luce sugli avvenimenti del 1799 a Bellizzi (6). L’istaurazione del nuo­vo re­gi­me e la nomina delle autorità repubblicane sono così rie­vocate in una relazione redatta nell’ago­sto di quell’anno dai re­staurati amministratori borbonici:

Si convocò publico parlamento nel dì 10 Febrajo 1799, pre­ce­den­te e­ma­nazione de banni, e coll’intervento del Sig. Governatore di quel tempo D. Francesco Antonio Festa e del Sindaco e Deputati furono no­minati i sog­getti, con essersi ricevuti i voti segreti di tutti i cit­ta­dini radunati, e restò eletto per Presidente [della Munici­palità] il Rev. attuale Arciprete D. Modestino Im­bim­bo, quantunque con sua ri­pugnanza, rappresentando di essere di a­van­zata età, e colla cura del­le anime; ma di tutto ciò non fu inteso, perché si disse da tutti che il governo stava bene affidato nella sua pe­r­sona. Si passò alla formazione de sette Deputati, e colla mag­gio­ranza de voti furono eletti Gennaro Cepolletti, Francesco di Orciuolo, Nicola Cerul­lo, il quondam Fran­ce­sco Cepolletti, Angelo Cepolletti, Giovan­ni Iannac­co­ne ed Antonio Ce­rullo. Eletti questi si passò alla elezione de due Giu­dici di pace, e furono eletti Michelangelo Iannaccone e Carmine Gae­ta.

+ Nicola Orciulo Sindaco

+ Nicola Iannaccone quondam Giovanni Deputato

+ Sebastiano Gaeta quondam Domenico Deputato

Nicola Rossi Procancelliere.

Tra le voci più significative delle spese sostenute dalla Munici­pa­lità repubblicana segnaliamo le seguenti, che testimoniano gli avve­nimenti più drammatici di quei mesi:

Alla Guardia Civica di Avellino e propriamente alla Compagnia gui­da­ta dal Capitano di essa Luigi Pionati docati 4 e grana 92.

Ad Antonio Galeota docati 24 perché si frappose col Generale fran­ce­­se a non dare il sacco a detto Casale, allorchè fu sac­cheg­gia­to A­vel­lino.

Per spesa fatta e denaro dato alli Regalisti [di Montoro] condotti dal Capitano Pa­squa­le Grimaldi docati 31 e grana 86.

Il 26 agosto 1799 gli amministratori illustravano al Vi­si­ta­to­re e­co­­­nomico, Stefano Caporeale, il meschinissimo bilancio dell’Uni­ve­r­sità. Questa non aveva «corpo alcuno demaniale», limitandosi ad esigere gli affitti di alcuni diritti proibitivi dal modestissimo gettito (bottega a minuto, 31 ducati; macello, 19 ducati; jus panizzandi, 10 ducati) e alcuni piccoli canoni per censi enfiteutici di suoli. In totale le en­trate ascendevano ad appena 66 ducati e 35 grana. A fronte di queste stavano uscite per 290 ducati (tra cui per tasse alla R. Corte d. 186; all’Arciprete per la cura delle anime d. 11; al medico con­dot­to d. 10; al cancelliere d. 7,50; al giurato d. 4). Per «colmare» il di­savanzo si ricorreva al testatico (57 ducati), alla tassazione dei be­ni dei cittadini (93,36 d.), dei forestieri (138,96), dei patrimoni sacri (19,8 d.) e dei Luoghi Pii (38,46 d.).

Un relazione del 3 settembre 1799 del governatore Flaviano Gallo dava poi conto al Visitatore di un fenomeno assai diffuso dopo la re­staurazione della monarchia borbonica: la renitenza della popo­la­zione al pagamento dei pesi fiscali e la difficoltà a costrin­ge­rla:

Con altra mia relazione le partecipai che la maggior parte della po­­polazione di Bellizzi finora si era dimostrata renitente al paga­men­to, ma poi dopo molte minacce fatteli e castighi promessi come ribelli mi fe­cero sentire che volevano altra dilazione, giacchè non potevan far tal pa­gamento se prima non seguiva la raccolta, ed io a­vendoli fatti sentire per mezzo delli esattori che si fussero presi dal­li benestanti mi rispo­sero ivi non esserci li benestanti, risposta per altro che meritava il giu­sto castigo, ma comechè ivi non ci è forza, giacchè il governo è di un Ca­sale e per conseguenza piccola, e la sua giurisdizione non si estende oltre il suo stellicidio [?], a que­sto fine aveva riferito a V.S. Ill.ma se stimava espediente darli det­ta dilazione, o rimettermi le forze per det­ta esa­zione, o pure se po­sti fece capo della forza addetta al governo d’Avelli­no, con cui per mezzo di sua lettera il Sig. Governatore e Giudice di detta Città, ma la mia disgrazia ha voluto che questa forse non fusse portata in ma­no di V.S. Ill.ma dal corriere. Mi faccia sapere dunque come in tal fat­­to mi debbo contenere restando sempre all’obbedienza de suoi pre­­g­evoli ordini.

N O T E

1) Archivio di Stato di Avellino (d’ora in poi Asa), Protocolli not­ari­li, not. P.E. Cesis, b. 832, ff. 45r.-47v.; presenziarono all’atto il regio giudice a con­trat­ti Giovanni Orecchia, il magnifico Scipione d'Armi­nio, il dottore in legge Mode­sti­no de Riccardis e Mercurio Festa di A­vel­lino, il magnifico Cesare Abignente di Sarno e Ascanio Iannac­co­ne di Bellizzi. Sulla presenza del Bisaccioni ad Avellino cfr. Milena Mon-  tanile, Le Accademie e la cultura del Seicento, in F. Barra (a cura di), Storia illustrata di Avellino e dell’Irpinia, vol. III, Avellino 1996, pp. 226-31.

2) Il principe precisava di riservarsi la giurisdizione criminale sia del­­le prime che delle se­conde cause ed ordinava che l'investitura venisse registrata entro due mesi nei quinternioni del «Generalis Tesaurerij Principatus Avelleni». Il documento, fornito di sigillo in «scatola plumbea», oltre la firma del principe, reca quelle dei suoi prin­cipali funzionari e collaboratori: l’uditore Andrea Matteo Cac­cia­tore, il cancel­liere Francesco Ampellone e il razio­nale Sci­pio­ne d' Ar­­minio.

3) Asa, Protocolli notarili, not. S. d'Otta­viano, b. 871, ff. 12v.-14r.

4) Asa, Protocolli notarili, not. S. d'Otta­via­no, b. 871, ff. 14v.-15v.

5) Asa, Protocolli notarili, not. G. Galasso, b. 915, ff. 205r.-206r. Va rilevato che il pugliese D. Leo­nardo de Surdis fu il primo arciprete di Bellizzi. Infatti la cura d’anime delle popolazione era in origine di per­ti­nen­za del parroco di Aiello, che delegava un sacerdote ad am­ministrare i sacramenti nel casale, e solo nel 1682 il vescovo Sca­negata, ac­cogliendo un’istanza dell’Università di Bellizzi, eresse la chiesa di S. Maria di Costantinopoli in arcipretura curata. In quanto alla po­po­lazione di Bellizzi nell’età moderna, cfr. le nume­ra­zioni dei fuochi riportate da L. Giustiniani, Dizionario geografico ra­gionato del regno di Napoli, vol. II, 1797, p. 236: 18 nel 1561, 28 nel 1595, 33 nel 1648, 25 nel 1669; M.R. Barbagallo De Divitiis, Una fonte per lo studio della popolazione del regno di Napoli: la numerazione del 1732, Ro­ma 1977, p. 39, riporta 58 fuochi per una numerazione senza data­zione successiva al 1669, e 41 per quella del 1732. In quanto alle anime, se ne contavano 185 nel 1705, 307 nel 1738, 350 nel 1752, 274 nel 1767, 450 nel 1794 e 503 nel 1816.

6) Archivio di Stato di Napoli, Pandetta Negri, b. 249, fasc. Bellizzi 1799. Stato economico della detta Università per ordine del Visi­ta­tore Economico D. Stefano Caporeale, in­torno ai Demanj, rendite, pe­si, ripartizione di essi, ed altro; da questo fascicolo provengono tut­­ti i documenti d’ora in poi citati.

 

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