AVELLINO - Nel 1555, la contessa di Avellino Maria de Cardona fondò nel territorio avellinese, popolandolo con famiglie della prossima terra di Aiello, il “casale” di Bellizzi, che assunse autonoma personalità amministrativa come “Università” (Comune) distinta da Avellino, che il piccolo centro avrebbe conservato sino all’aggregazione al capoluogo nel 1938.
Il principe Marino II Caracciolo (1589-1630), intorno al quale si raccolse una vera e propria corte rinascimentale, nel quadro della sua politica filonobiliare eresse Bellizzi in baronia, quale suffeudo del principato di Avellino, ma a titolo puramente onorifico e “ventoso”; la baronia aveva infatti giurisdizione assai limitata, che si riduceva al primo grado di giudizio per le cause civili dei soli abitanti («cum cognitione primarum causarum civilium et inter civium tantum»), e non aveva propria dotazione di beni. In pratica, i poteri del barone non andavano al di là del titolo, riducendosi in pratica alla nomina di un governatore annuale, incaricato dell’amministrazione della limitatissima giurisdizione. Assai più lucroso era invece il Passo o dogana feudale di Bellizzi, che fu abolito nel 1792.
Il primo ad essere investito del titolo di barone di Bellizzi fu il conte Maiolino Bisaccioni, singolare personaggio di avventuriero e di scrittore, “Maestro di Corte” del principe e Arcicancelliere dell’Ordine di S. Giorgio, del quale Marino II Caracciolo era Gran Maestro. Il Bisaccioni, probabilmente pressato da esigenze economiche, vendé nel 1626 la baronia ad un altro cortigiano («creato») dei Caracciolo, Giovanni Balzarano, originario di Sarno. Interessante è il verbale della presa di possesso, tutt’altro che esaltante, del feudo da parte del Balzarano, redatto il 22 novembre 1626 «in Casali Bellittiarum» dal notaio avellinese Paolo Emilio Cesis (1). Questi, a richiesta del Balzarano, ricevette nella «maiorem Ecclesiam dicti Casalis» la dichiarazione del barone di aver comprato nei mesi precedenti il feudo dal Bisaccioni. Sull'atto era stato impetrato l'assenso del principe con questo memoriale (2):
Ill.mo et Ecc.mo Signore, Giovanni Balzarano creato di V.E. supplicando l'expone come se ritrova haver comprato mediante publico instrumento per mano di Notar Vicienzo Staijano dal Conte Maijolino Bisaccioni il Casale delli Bellizzi qual teneva immediate et in capite dalla principal Corte d'Avellino mediante privilegio spedito con la Jurisditione di cause civili nelle prime cause tantum ad expressa riserba del assenso di V.E. qual supplicante resti servita spedirli il suo Beneplacito assenso et la debita Investitura di detto feudo mediante Privilegio in forma offerendosi pagar l'adogho a V.E. ed tutti pesi feudali cossì come vostra Eccellenza resterà servita imponere et ordinare et il tutto l'haverà a gratia singolarissima di V.E. ut Deus.
Die duodecimo mensis Octobris 1626.
L’assenso del principe Marino alla supplica del Balzarano fu emanato il 20 dello stesso mese, per i meriti del supplicante e per i graditi e continui servigi da questi resi come fedele cortigiano («Nos accedentes precibus supplicantis inclinati et attendentes etiam ad merita ipsius propterea grata et continua servitia nobis prestita pro ut ad presens prestat ipsum nostrum familiarem domesticum»).
Una volta data lettura di tali documenti da parte del notaio, il Balzarano, senza opposizione di alcuno («nemine discrepante») prese possesso del feudo nell’unico modo che gli era possibile, passeggiando cioè per le vie del paese: «per dictum Casalem Bellitiarum ambulando et deambulando et omnia et singula alia faciendo denotantia actus vere realis corporalis et pacifice ac tenute possessionis».
I Balzarano mantennero il titolo di baroni di Bellizzi sino ai primi decenni del XVIII secolo, quando questo passò ai Brescia Morra di Serino.
II. Nella crisi del ’600
La piccola Università di Bellizzi, per la ristrettezza della popolazione, la mancanza di cespiti patrimoniali e l’inesistenza di un proprio territorio distinto da quello di Avellino, versò sempre in gravi ristrettezze finanziarie. Queste, naturalmente, si aggravavano nei periodi di crisi economica generale. Assai significativi, ad esempio, sono due documenti. Il 1° settembre 1647, infatti, in piena rivoluzione di Masaniello, l’ex sindaco Giesumundo de Orceolis, essendo stato condannato dai razionali (revisori dei conti), i magnifici Cristofano Iannaccone e Carlo Graziano, a pagare 45 ducati, per esigere i quali erano state spedite lettere esecutoriali, e non avendo tale disponibilità di danaro, cedeva al suo successore, l’attuale sindaco Giulio Cuoci, con patto di retrovendita, un suo terreno di una “giornata” (3).
Con altro atto, redatto nello stesso giorno del precedente, il de Orceolis s’impegnava col suo successore a presentare entro due mesi i conti della sua amministrazione, che avrebbe cercato di ricostruire; altrimenti, se tale tentativo non fosse riuscito, avrebbe pagato con danni ed interessi. Egli infatti così dichiarava (4):
Havendo esercitato l'anni passati il sindacato di detto Casale, et havendo da dilucidare alcune spese, et portare molte scritture per suo discarrico, et beneficio di detto Casale, acciò per l'avvenire non sia molestato da suoi creditori, et perché non può quelle cossì de prossimo portare havendo da andare in Napoli et altri luochi a ritrovare a chi ha fatti detti pagamenti in nome d'esso Casale per farsi fare le debite scritture, per tanto esso Giesù Mundo promette et se obliga quelle portare fra dui mesi d'hoggi, et non mancare per qualsivoglia ragione e causa con condetione che portando esso Giesù Mundo le sopradette scritture sia obligato esso Giulio [Cuoci sindaco] nomine quo supra farcele buone.
Né molto meglio andavano le cose a fine secolo, come c’informa un significativo documento del 29 ottobre 1690. Il rev. D. Leonardo de Surdis di Montrone, arciprete di Bellizzi, il luogotenente Antonio de Gaudio e Simone de Iandolo di Avellino, affittuario del Passo e delle gabelle di Bellizzi, attestavano l’estremo stato di miseria degli abitanti, che erano quindi impossibilitati a sopportare i carichi fiscali. Essi infatti dichiaravano (5):
Il medesimo Casale se ritrova in stato di povertà grande, et di miseria, a segno tale che porta pericolo di restare dishabitato, tanto più che molti fuochi sono estinti, et si sono assentati nella città di Benevento, et altri luochi lontani del Regno, et non si possono astringere al pagamento di pesi ordinarij et extraordinarij che deveno pagare, di modo che van dovendo molta quantità d'attrasso per causa de fiscali, et li cittadini di detto Casale stanno ridotti al'ultimo delle miserie, mancando loro il necessario, et molti per la loro povertà non tengono ne meno uno saccone dove dormire, dormendono sopra le tavole et ne li pagliari.
III. Il 1799 a Bellizzi
Un interessante manipolo di documenti inediti ci consente di far luce sugli avvenimenti del 1799 a Bellizzi (6). L’istaurazione del nuovo regime e la nomina delle autorità repubblicane sono così rievocate in una relazione redatta nell’agosto di quell’anno dai restaurati amministratori borbonici:
Si convocò publico parlamento nel dì 10 Febrajo 1799, precedente emanazione de banni, e coll’intervento del Sig. Governatore di quel tempo D. Francesco Antonio Festa e del Sindaco e Deputati furono nominati i soggetti, con essersi ricevuti i voti segreti di tutti i cittadini radunati, e restò eletto per Presidente [della Municipalità] il Rev. attuale Arciprete D. Modestino Imbimbo, quantunque con sua ripugnanza, rappresentando di essere di avanzata età, e colla cura delle anime; ma di tutto ciò non fu inteso, perché si disse da tutti che il governo stava bene affidato nella sua persona. Si passò alla formazione de sette Deputati, e colla maggioranza de voti furono eletti Gennaro Cepolletti, Francesco di Orciuolo, Nicola Cerullo, il quondam Francesco Cepolletti, Angelo Cepolletti, Giovanni Iannaccone ed Antonio Cerullo. Eletti questi si passò alla elezione de due Giudici di pace, e furono eletti Michelangelo Iannaccone e Carmine Gaeta.
+ Nicola Orciulo Sindaco
+ Nicola Iannaccone quondam Giovanni Deputato
+ Sebastiano Gaeta quondam Domenico Deputato
Nicola Rossi Procancelliere.
Tra le voci più significative delle spese sostenute dalla Municipalità repubblicana segnaliamo le seguenti, che testimoniano gli avvenimenti più drammatici di quei mesi:
Alla Guardia Civica di Avellino e propriamente alla Compagnia guidata dal Capitano di essa Luigi Pionati docati 4 e grana 92.
Ad Antonio Galeota docati 24 perché si frappose col Generale francese a non dare il sacco a detto Casale, allorchè fu saccheggiato Avellino.
Per spesa fatta e denaro dato alli Regalisti [di Montoro] condotti dal Capitano Pasquale Grimaldi docati 31 e grana 86.
Il 26 agosto 1799 gli amministratori illustravano al Visitatore economico, Stefano Caporeale, il meschinissimo bilancio dell’Università. Questa non aveva «corpo alcuno demaniale», limitandosi ad esigere gli affitti di alcuni diritti proibitivi dal modestissimo gettito (bottega a minuto, 31 ducati; macello, 19 ducati; jus panizzandi, 10 ducati) e alcuni piccoli canoni per censi enfiteutici di suoli. In totale le entrate ascendevano ad appena 66 ducati e 35 grana. A fronte di queste stavano uscite per 290 ducati (tra cui per tasse alla R. Corte d. 186; all’Arciprete per la cura delle anime d. 11; al medico condotto d. 10; al cancelliere d. 7,50; al giurato d. 4). Per «colmare» il disavanzo si ricorreva al testatico (57 ducati), alla tassazione dei beni dei cittadini (93,36 d.), dei forestieri (138,96), dei patrimoni sacri (19,8 d.) e dei Luoghi Pii (38,46 d.).
Un relazione del 3 settembre 1799 del governatore Flaviano Gallo dava poi conto al Visitatore di un fenomeno assai diffuso dopo la restaurazione della monarchia borbonica: la renitenza della popolazione al pagamento dei pesi fiscali e la difficoltà a costringerla:
Con altra mia relazione le partecipai che la maggior parte della popolazione di Bellizzi finora si era dimostrata renitente al pagamento, ma poi dopo molte minacce fatteli e castighi promessi come ribelli mi fecero sentire che volevano altra dilazione, giacchè non potevan far tal pagamento se prima non seguiva la raccolta, ed io avendoli fatti sentire per mezzo delli esattori che si fussero presi dalli benestanti mi risposero ivi non esserci li benestanti, risposta per altro che meritava il giusto castigo, ma comechè ivi non ci è forza, giacchè il governo è di un Casale e per conseguenza piccola, e la sua giurisdizione non si estende oltre il suo stellicidio [?], a questo fine aveva riferito a V.S. Ill.ma se stimava espediente darli detta dilazione, o rimettermi le forze per detta esazione, o pure se posti fece capo della forza addetta al governo d’Avellino, con cui per mezzo di sua lettera il Sig. Governatore e Giudice di detta Città, ma la mia disgrazia ha voluto che questa forse non fusse portata in mano di V.S. Ill.ma dal corriere. Mi faccia sapere dunque come in tal fatto mi debbo contenere restando sempre all’obbedienza de suoi pregevoli ordini.
N O T E
1) Archivio di Stato di Avellino (d’ora in poi Asa), Protocolli notarili, not. P.E. Cesis, b. 832, ff. 45r.-47v.; presenziarono all’atto il regio giudice a contratti Giovanni Orecchia, il magnifico Scipione d'Arminio, il dottore in legge Modestino de Riccardis e Mercurio Festa di Avellino, il magnifico Cesare Abignente di Sarno e Ascanio Iannaccone di Bellizzi. Sulla presenza del Bisaccioni ad Avellino cfr. Milena Mon- tanile, Le Accademie e la cultura del Seicento, in F. Barra (a cura di), Storia illustrata di Avellino e dell’Irpinia, vol. III, Avellino 1996, pp. 226-31.
2) Il principe precisava di riservarsi la giurisdizione criminale sia delle prime che delle seconde cause ed ordinava che l'investitura venisse registrata entro due mesi nei quinternioni del «Generalis Tesaurerij Principatus Avelleni». Il documento, fornito di sigillo in «scatola plumbea», oltre la firma del principe, reca quelle dei suoi principali funzionari e collaboratori: l’uditore Andrea Matteo Cacciatore, il cancelliere Francesco Ampellone e il razionale Scipione d' Arminio.
3) Asa, Protocolli notarili, not. S. d'Ottaviano, b. 871, ff. 12v.-14r.
4) Asa, Protocolli notarili, not. S. d'Ottaviano, b. 871, ff. 14v.-15v.
5) Asa, Protocolli notarili, not. G. Galasso, b. 915, ff. 205r.-206r. Va rilevato che il pugliese D. Leonardo de Surdis fu il primo arciprete di Bellizzi. Infatti la cura d’anime delle popolazione era in origine di pertinenza del parroco di Aiello, che delegava un sacerdote ad amministrare i sacramenti nel casale, e solo nel 1682 il vescovo Scanegata, accogliendo un’istanza dell’Università di Bellizzi, eresse la chiesa di S. Maria di Costantinopoli in arcipretura curata. In quanto alla popolazione di Bellizzi nell’età moderna, cfr. le numerazioni dei fuochi riportate da L. Giustiniani, Dizionario geografico ragionato del regno di Napoli, vol. II, 1797, p. 236: 18 nel 1561, 28 nel 1595, 33 nel 1648, 25 nel 1669; M.R. Barbagallo De Divitiis, Una fonte per lo studio della popolazione del regno di Napoli: la numerazione del 1732, Roma 1977, p. 39, riporta 58 fuochi per una numerazione senza datazione successiva al 1669, e 41 per quella del 1732. In quanto alle anime, se ne contavano 185 nel 1705, 307 nel 1738, 350 nel 1752, 274 nel 1767, 450 nel 1794 e 503 nel 1816.
6) Archivio di Stato di Napoli, Pandetta Negri, b. 249, fasc. Bellizzi 1799. Stato economico della detta Università per ordine del Visitatore Economico D. Stefano Caporeale, intorno ai Demanj, rendite, pesi, ripartizione di essi, ed altro; da questo fascicolo provengono tutti i documenti d’ora in poi citati.