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    03/07/2024

Area di sosta/Fantasticando su Palazzo Trevisani

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b_300_220_15593462_0___images_stories_Rubriche-LaLettera_palazzo_valentino.jpgAVELLINO – A partire da oggi, domenica 10 giugno 2024, prende il via una nuova rubrica settimanale dal titolo Area di sosta. A curarla sarà Carla Perugini, avellinese, già docente di letteratura spagnola presso l’Università di Salerno.

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La placida cittadina di Avellino dall’antica collina della Terra con il suo castello medievale aveva trasferito nel Settecento il proprio centro commerciale e direzionale sul lungo Corso, che proseguiva con il lussureggiante Viale dei Pioppi. Le ricche famiglie della borghesia s’erano stabilite in eleganti e sobri palazzi, abbandonando le avite dimore della provincia irpina, dove restavano, affidate a personale di fiducia, le loro proprietà terriere, in cui tornare a villeggiare durante le calure estive.

La più bella di quelle residenze signorili, affacciata sulla strada del passeggio e dei negozi, era Palazzo Trevisani, sede di una famiglia originaria di Montella, la cui provenienza, come denuncia il suo cognome, doveva probabilmente essere veneta. Secondo i canoni della razionalità del secolo dei lumi, il palazzo fu costruito seguendo i principi della simmetria e della essenzialità, senza rinunciare, tuttavia, a mostrarsi quale segnale esemplare del prestigio e della ricchezza della famiglia. La lineare facciata su tre piani celava una monumentale doppia scalinata all’interno, con una corte e un magnifico giardino. Come tutti i palazzi del tempo poteva usufruire di una propria sorgente d’acqua.

La decadenza del palazzo cominciò con i bombardamenti del 1943 e proseguì con i danni del terremoto, che pure non riuscì a demolirlo. Le sue solide mura di tufo resistettero agli oltraggi della natura ma non a quelli degli uomini, che lo lasciarono degradarsi per quarant’anni, sopraffatto da una rete di tubi, teli e pannelli sempre più sporchi e arrugginiti.

Nel frattempo, dai buchi del tempo e dell’incuria, vi penetravano, facendone il loro luogo di ritrovo e di regolamento di conti, generazioni di perdigiorno, drogati e trafficanti. Quando, dopo decenni, una commissione di amministratori e tecnici riuscì finalmente ad entrarvi, alla pena della visione dell’edificio fatiscente e sfigurato, si unì la sorpresa della scoperta di un cunicolo che portava ai sotterranei del palazzo, che un tempo avevano ospitato cantine e stalle. Lì, fra giacigli improvvisati e lerciume inenarrabile, un certo numero di barboni provò a rivendicare il proprio diritto di residenza, ricevendo però dai nuovi ospiti civilizzati un netto e definitivo rifiuto.

 

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