AVELLINO – «Che fine ha fatto quel grande sogno che era il grande sogno di metà 800? Che fine ha fatto il nome di Mongiana che era la più grande fabbrica d’Italia?» canta Eugenio Bennato nella sua ultima canzone, pubblicata il 22 novembre. Proprio da Mongiana – piccolo paese calabrese arroccato sulle montagne, un tempo sede di una fabbrica siderurgica borbonica – parte il percorso di Andrea Mammone, docente dell'Università "La Sapienza" di Roma, alla scoperta dei luoghi mitici neoborbonici nel suo ultimo volume, Il mito dei Borbone. Il Regno delle Due Sicilie tra realtà e invenzione, presentato oggi alla libreria Mondadori di Avellino nell’ambito della rassegna “Gli appuntamenti della Storia” organizzata dal comitato irpino dell’Istituto per la storia del Risorgimento italiano.
Il volume indaga il rapporto tra storia e memoria pubblica nella costruzione della narrativa neoborbonica. Una narrativa che – come sottolinea il titolo del libro – più che essere una ricostruzione storica è una narrazione mitica, fantastica, priva di qualsiasi certezza storica. Una narrazione che parla di una Borbonia – una regione che di fatto che non è mai esistita – felice e produttiva, che è stata cancellata dalla storia – e dal ricordo pubblico – a causa del processo di unificazione. Come ogni narrazione, anche quella neoborbonica ha bisogno di miti fondativi: il primato della prima ferrovia italiana; il primato delle fabbriche siderurgiche di Pietrarsa e di Mongiana; la vicenda del “lager” di Fenestrelle; il mito delle stragi di Pontelandolfo e Casalduni e quello della resistenza di Gaeta.
Seguendo questo itinerario nei luoghi mitici della narrazione duosiciliana, Mammone – egli stesso originario, per parte paterna, di Mongiana – analizza quella che è stata definita “risacca neoborbonica”, cercando di evidenziare non tanto le sue origini, quanto i motivi per i quali sia diventata dominante nel dibattito pubblico. L’autore, infatti, ricorda come il sentimento della causa perduta della nazione duosiciliana si sia diffuso fin dall’unificazione italiana, ma sia rimasto sempre minoritario, circoscritto, per lo più, ai circoli autonomisti e ultraconservatori: esemplare è il caso dello scrittore conservatore cattolico Carlo Alianello che, pur pubblicando, tra gli anni ‘40 e gli anni ‘70 del secolo scorso, diversi romanzi storici in cui presentava una visione alternativa del processo risorgimentale, non ha mai raggiunto quell’ampio pubblico raggiunto dalle successive pubblicazioni neoborboniche.
Il motivo fondamentale per cui il sentimento nostalgico borbonico sia rimasto minoritario deve ricercarsi, secondo Mammone, nell’attenzione che lo Stato italiano ha dedicato, fin dall’indomani dell’unificazione, al superamento del problema meridionale: grazie all’opera dei meridionalisti, infatti, la questione meridionale divenne una questione italiana. Questo stato di cose è andato a modificarsi a partire dagli anni ‘90 del secolo scorso: quel malessere settentrionale, intriso di razzismo e pregiudizio antimeridionale, che ha dato avvio alla politica leghista, contemporaneamente alla ristrutturazione dello Stato e delle sue politiche pubbliche, ha creato un abbandono del Mezzogiorno dall’agenda politica. Quelli che Giuseppe Soriero aveva definito vent’anni di solitudine – del Mezzogiorno rispetto alle politiche nazionali – sono diventate, ormai, trenta e rischiano di aumentare sempre più con il passare del tempo.
L’abbandono del Sud ha causato un risentimento dei meridionali nei confronti della classe politica nazionale che è esploso in maniera definitiva in occasione delle celebrazioni del centocinquantesimo anniversario dell’unificazione: a partire dal 2011, in effetti, la pubblicistica neoborbonica si è fatta sempre più insistente, raggiungendo ampie fatte di popolazione ed entrando nel dibattito pubblico. Merito di una politica comunicativa efficace che usa le risorse della rete e i social media in maniera capillare e che si appoggia ad una serie di strategie narrative culturali – dalla musica del già citato Bennato per esempio, a ai romanzi e agli sceneggiati televisivi – che visivamente ed emotivamente hanno rapido successo. Insomma, approfittando di uno iato – o meglio di una disconnessione – sempre più evidente tra una cultura e politica, il movimento neoborbonico – pur non diventando una forza politica ed elettorale forte come la Lega Nord – si è dimostrata molto più trasversale, riuscendo a conquistare tanto elettori e politici di destra che di sinistra.
Ed uno delle sue conseguenze più pericolose per lo stesso Mezzogiorno di cui rivendica la rappresentanza – evidenzia con particolare piglio critico Mammone – è stata l’approvazione della legge sull’autonomia differenziata che pure, paradossalmente, gli stessi autonomisti neoborbonici disapprovano e criticano aspramente, vedendo in essa l’ennesimo strumento di politica coloniale del Nord nei confronti del Sud.
Quale può essere, dunque, la risposta da dare al movimento neoborbonico? Come combattere questa battaglia culturale? Per molto tempo gli stessi storici, come ha affermato l’autore citando un pensiero di Aurelio Musi, hanno preferito non sporcarsi le mani e scendere in pubblica piazza a controbattere le mitologie borboniche, preferendo trincerarsi nella torre di avorio del loro intellettualismo. Questo ha però lasciato praterie e terre di conquista al movimento neoborbonico; solo negli ultimi anni, grazie agli studi di Pinto, Lupo e di Barbero – che pur non essendo uno specialista del periodo risorgimentale è, secondo Mammone, l’unico storico italiano in grado di crearsi un seguito sui canali informativi della società contemporanea – si è avuta una risposta del mondo accademico. Una risposta tardiva, purtroppo. L’unica soluzione possibile, secondo Mammone, è quello di costruire, giorno dopo con giorno, un «Risorgimento dal basso». Un obiettivo che il comitato irpino dell’Isri si propone fin dalla sua rifondazione e che è testimoniata dalle numerose iniziative che organizza e che lo rendono uno dei comitati locali dell’Italia meridionale più attivi.
Il prossimo appuntamento con “Gli appuntamenti della Storia” è fissato per venerdì 29 novembre, sempre presso la libreria Mondadori. In quell’occasione si presenterà il volume di Olindo De Napoli Selvaggi criminali. Storia della deportazione penale nell’Italia liberale (1861-1900).