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    04/12/2024

La rigenerazione dei “selvaggi criminali” nel volume di Olindo De Napoli

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b_300_220_15593462_0___images_stories_Cultura7_di_napolilibro.jpgAVELLINO – Secondo appuntamento nell’ambito della rassegna “Gli appuntamenti della Storia” organizzata dal Comitato di Avellino dell’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano. Questo pomeriggio, presso la biblioteca Mondadori di Avellino, si è presentato il volume di Olindo De Napoli Selvaggi criminali. Storia della deportazione penale nell’Italia liberale: 1861-1900.

De Napoli, professore di storia contemporanea presso l’Università di Napoli “Federico II”, nel corso dei suoi studi ha spesso intrecciato la storia del razzismo e del colonialismo, tanto da un punto di vista giuridico che intellettuale-culturale. Il suo ultimo volume, pubblicato da Laterza, rappresenta, quindi, un punto di arrivo di un percorso di ricerca decennale.

Libro di storia giuridica, intellettuale e anche culturale, il volume di De Napoli ripercorre la storia del concetto di “deportazione penale” e il dibattito che interessò vari esponenti del mondo giuridico intorno a un tema spinoso – tanto allora quanto oggi – nel processo di costruzione dello Stato. In effetti, come ha spiegato De Napoli, il volume mostra come, nel corso del primo quarantennio post-unitario, il nuovo Stato italiano abbia mostrato particolare attenzione alle cosiddette “classi pericolose” e come queste siano state, nel corso del tempo, identificate in diversi soggetti.

Infatti, se inizialmente, negli immediati anni post-unitari, nel contesto di quella che Carmine Pinto ha definito “guerra per il Mezzogiorno”, le classi pericolose vennero identificate nei briganti che infestavano le zone interne del Sud Italia, a partire dagli anni Ottanta, anche sulla scia dello sviluppo della scuola positiva di antropologia criminale – che ebbe in Lombroso e in Enrico Ferri i suoi massimi esponenti – con tale concetto si identificavano i criminali tout court, mentre negli anni della crisi di fine secolo, il concetto venne traslato per comprendere le classi politiche eversive, in particolare gli anarchici.

Nel dibattito sulla deportazione era centrale l’idea che questa dovesse essere accompagnata da uno “sradicamento” del reo dal suo territorio; infatti, la deportazione era collegata, nell’ottica delle classi dominanti, all’idea di rigenerazione del colpevole. La rigenerazione doveva pertanto avvenire “al di là dei mari”, in luoghi non civilizzati: in questo modo il concetto della deportazione si legava strettamente a quello relativo alla creazione delle colonie penali. Per questi motivi, ha notato De Napoli, la deportazione penale non interessò mai i briganti: lo Stato italiano, infatti, appena costituitosi ed impegnato nella sua prima guerra non poteva permettersi di spendere forze ed energie economiche per avviare imprese coloniali.

Il fatto che la deportazione dovesse avvenire in luoghi lontani dall’Italia – dall’Africa, alle isole del Pacifico, addirittura in certi momenti si pensò anche alla Groenlandia – era, inoltre, collegato all’idea che il contatto del responsabile con luoghi ancora non civilizzati lo avrebbe reso maggiormente consapevole del suo reato e lo avrebbe aiutato a reinserirsi in società. De Napoli sottolinea la differenza tra riabilitazione e rigenerazione: se il concetto di riabilitazione del reo, alla base del pensiero illuministico, era basato – ed è ancora basato – sulla possibilità di rieducazione, quello di rigenerazione è invece un concetto autoritario.

Ma chi erano i deportati? Nonostante la grande attenzione relativa alle classi pericolose, De Napoli ha notato come i deportati fossero, in realtà, persone comuni, colpevoli di peccati di lieve entità, spesso appartenenti a quelle che Gramsci definisce “classi subalterne”. Di qui un problema centrale nella ricostruzione di questa storia, ovvero la ricerca delle fonti scritte: De Napoli è riuscito a ritrovare una lettera scritta che un anarchico, Ferruccio Borsoni, deportato ad Assab, in Eritrea, è riuscito a spedire e pubblicare sui giornali italiani provocando uno scandalo e portando all’attenzione dell’opinione pubblica italiana la grave situazione dei deportati italiani costretti a vivere in condizioni disumane nelle carcere eritree. Lo scandalo provocato dalla pubblicazione della lettera di Borsoni portò al fallimento  dell’esperimento di deportazione penale in Africa avviato da Di Rudinì nel 1898 ed accelerò lo sforzo intellettuale per la redazione del codice penale Zanardelli, che rappresentò un importante successo del liberalismo italiano.

Il volume di De Napoli apre gli occhi su aspetti ancora oggi poco conosciuti dalla storiografia italiana ed evidenza come alcune delle questioni ancora oggi centrali nel dibattito pubblico – dalla questione delle carceri al problema della rieducazione del reo – abbiano origine già nel processo di costruzione dello Stato italiano e debbano ancora essere affrontati e risolti dalla politica nazionale.

 

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