AVELLINO – Ancora un intervento di Carmine Acocella, di cui pubblichiamo la prima parte, sull’affermazione del principio della laicità dello Stato quale espressione e garanzia di eclettismo culturale, credo religioso ed equità etnica nel “dialogo possibile”.
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Nel concetto di laicità dello Stato, è possibile affermare i nostri valori religiosi o etnici e culturali, eventualmente legati anche ad una tradizione familiare atavica. La laicità dello Stato è anche espressione di garanzia, regolamentando essa i rapporti fra enti e poteri, consentendo anche l’affermazione di culture eterogenee espresse da minoranze o comunità etniche isolate le quali possono condividere, oltre ai valori della fede, anche tradizioni ataviche comuni.
Siamo tutti figli di un unico Dio per coloro che credono, ma anche nell’ottica dell’eclettismo culturale espresso dai valori del Concilio Vaticano II, di cui in questo mese si celebra il 50enario, l’avvenimento epocale della Chiesa promosso ed organizzato da Papa Giovanni XXIII prima, da Papa Montini Paolo VI dopo, cui parteciparono e furono invitate varie religioni: ortodossi, ebrei, protestanti, ecc. Si ricordano le vittime etniche dell’olocausto e tutte le vittime ideologiche di guerra di cui anche in Campania vi furono teatri e scontri di battaglie anche violente e rappresaglie sanguinose.
Il rischio che si correrebbe in uno Stato non laico sarebbe quello di affermare solo una cultura prevalente, non dunque di affermare il pluralismo grazie al quale il fenomeno democratico diviene inclusivo e partecipativo ed esteso a tutti i cittadini, senza pregiudiziali etniche anche in relazione a quanto sopra esposto inerente i valori espressi ed affermati nell’ambito del Concilio. La democrazia, partendo dalla Costituente, è fatta della partecipazione composita e sinergica di varie forze e correnti di pensiero. Infatti ad essa collaborarono liberali, popolari, socialisti, comunisti e conservatori o anche di idee repubblicane.
Come da queste forze eterogenee che diedero vita alla Costituente, così oggi dovrebbe accadere lo stesso, pluralisticamente parlando, ma i fenomeni di globalizzazione, anche dei partiti, non consentono l’affermazione delle forze politiche di minore grandezza; forze che comunque - lo ricordiamo – insieme con menti illuminate di diversa provenienza etnica rispetto all’Italia e anti fascisti, anche di origine ebrea, hanno dato un grosso contributo alla formazione della democrazia ed anche alla risoluzione del problema della questione meridionale come Rossi Doria, Sonnino, Salvemini (ed altri anche nella storia dell’Irpinia).
La laicità, dunque, in tal senso è garanzia di espressione di idee diverse nell’ambito di una democrazia. Ognuna di queste idee, in una visione panenteistica o plotiniana delle cose e della realtà, può dare un contributo anche determinante in uno dei capitoli delle riforme di cui oggi tanto si parla in economia, nella innovazione tecnologica, nel sociale o, ancora, nella costituzione di un nuovo welfare o nella ricerca pura e/o applicata o nella medicina ecc.
L’eclettismo culturale in una democrazia è indubbiamente espressione di linfa vitale ed è la rappresentazione di quella proiezione nell’ottica panenteistica che dall’alto l’Uno si propaga agli strati più bassi, attraverso le ipostasi al molteplice, come diceva il filosofo Plotino, illuminando tutte le creature e gli esseri viventi. Se non vi fosse il molteplice, non vi sarebbe neanche l’Uno che è Dio, per chi crede.
La collegialità e la partecipazione sono anche da intendersi nell’ottica che una persona o più persone possono fornire, anche per circostanze fortuite o casuali, idee utili o positive: come dicono gli anglosassoni può essere che dopo la settantesima idea, con buona probabilità, vi sarà o vi potrà essere una idea buona e/o applicabile .
