AVELLINO – Qui di seguito il profilo di Gianluca De Ponti di Antonio Gengaro estratto dal libro di Felice D’Aliasi “Lupi per sempre” che è stato presentato questa sera con la partecipazione delle vecchie glorie – come riferiamo in altro articolo – che hanno fatto la storia calcistica dell’Avellino.
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Ero un ragazzino di dodici anni quando fui folgorato da Gianluca De Ponti. Doppio passo alla Biavati, corsa sulla fascia sinistra, cross al centro di esterno destro, assist per un compagno in mezzo all'area avversaria, mani sui fianchi per recuperare dalla fatica: furono queste le caratteristiche più che i gol che lo fecero diventare, immediatamente, il mio idolo. Per la verità l'innamoramento fu collettivo e in quegli anni, i primi indimenticabili della serie A, sovente dalla Curva Sud partiva il coro: "Quando segnerà De Ponti tutti quanti ci alzeremo ed insieme grideremo alè , alè, alè, Gil alè...", ovviamente ognuno conserva nella sua memoria una versione personalizzata di tale inno.
Più che per le reti segnate, dal 1978 al 1980, 15 in 59 partite disputate, il ricordo va subito alle grandi occasioni sprecate. Ero al Franchi di Firenze, il primo di aprile del ‘79, quando sull'1 a 0 per la Fiorentina, (gol di Sella al 9'), nella ripresa, dopo essersi scartato mezza difesa più il portiere, clamorosamente sbagliò la realizzazione che avrebbe garantito il pareggio. Ero a S. Siro con mio zio Gianni, trapiantato a Milano, tifosissimo dell'Avellino, quando contro Albertosi al 17’ del secondo tempo fallì il rigore del possibile pareggio, la palla finì a fil di palo sulla destra del mitico portiere spiazzato. Che delusione per un fanciullo di 13 anni!
La mia passione per quel personaggio, il figlio delle stelle, che passò alla storia per la sua passeggiata con cappotto di pelliccia e l'anatra al guinzaglio nel centro di Cesena, ad emulare Gigi Meroni, la farfalla granata, fu tale che i miei compagni delle partitelle mi appiopparono il soprannome calcistico di Gil De Ponti, c'erano anche un Pelè, un Franz Baresi, un Tazio Roversi. L'ho conosciuto Gianluca De Ponti, di recente, in occasione dell'intitolazione dello stadio ad Adriano Lombardi, il capitano coraggioso. Mentre lo osservavo visibilmente cambiato dalla battaglia vincente contro un tumore maligno, come alla moviola mi tornava in mente la felicità regalatami dalle sue gesta. La prima vittoria in serie A, suo il primo gol su rigore in casa contro il Verona, la rete nel primo derby pareggiato con il Napoli, quella decisiva del successo sull'Ascoli sotto la Nord dopo la sconfitta beffa nella nebbia di Vicenza , la splendida realizzazione che espugnò il Bentegodi, la doppietta della salvezza a Torino contro la Juventus con Alessandrelli in porta. Nel secondo anno di A l'1 a 0 su rigore nell'indimenticabile affermazione al Partenio contro la Juve, la rete del pareggio incriminato con il Perugia, l'inutile amara doppietta casalinga nel derby.
Per me il suo gol più bello rimane quello della vittoria a Brescia nel campionato della penalizzazione 1980/81. Di esterno destro sotto la traversa, prima rete in assoluto nella nuova stagione di serie A al quarto minuto, che gli valse il premio di 700 bottiglie di vino. La settimana seguente, avversaria la sua Fiorentina, De Ponti disputò l'ultimo incontro da biancoverde. Per l'ennesimo alterco con Sibilia fu ceduto alla Sampdoria. Provai dolore per quella scelta che non ho mai perdonato al Commendatore. Avevo oramai 14 anni ed insieme con Gil se ne era andata la mia infanzia: da allora ho vissuto il rapporto con il calcio in modo diverso, non più come un fenomeno totalizzante ma come una delle tante passioni della vita, anche se lo confesso ogni tanto ancora oggi, nonostante l'età, in alcuni rari momenti intono il canto gioioso della mia giovinezza: "Quando Gil segnerà...".