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    03/07/2024

Quale futuro per villa Amendola?

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b_300_220_15593462_0___images_stories_Attualita_villa_amendola.jpgAVELLINO- Sul futuro di villa Amendola ospitiamo un intervento del prof. Orfeo Picariello, dell’Università Federico II di Napoli, presidente di Irpinia dei valori, l'associazione culturale che sull’argomento ha organizzato un pubblico dibattito con l’adesione di altre associazioni coordinate da Rete universale. Anche il nostro giornale è intervenuto più volte sulla destinazione delle opere pubbliche quali San Generoso, l'ex asilo Patria e Lavoro, il complesso dell'ex Gil-cinema Eliseo.

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Quando ero bambino, negli anni ‘60, ho avuto la fortuna di giocare nel parco di Villa Amendola (nella foto di Carmine Bellabona). Nei pomeriggi estivi il custode mi faceva entrare perché ero amico dei fratelli Tarantino e così mi si schiudeva agli occhi stupefatti lo splendore dell’immenso giardino, dei giganteschi alberi mai visti prima, dei viali bordati di bosso, delle fontane zampillanti, dei boschetti all’inglese. Giocavamo inebriati nel verde, e alle cinque una cameriera con il grembiulino bianco ci portava un gran vassoio di fette biscottate, marmellata e aranciata. Il giardino, completamente circondato da un altissimo muro di cinta, era un’isola felice, un mondo sino ad allora sconosciuto perché impenetrabile allo sguardo degli estranei. Il muro si è conservato pressoché intatto sino ad oggi e la vista del parco è a tutt’oggi preclusa allo sguardo dei passanti: per questo motivo pochi sono i cittadini di Avellino che ne conoscono le bellezze, e quindi l’opinione pubblica associa l’ignoranza al disinteresse.

Villa Amendola è una prestigiosa dimora nobiliare, con annesso parco botanico, costruita nel diciottesimo secolo; pervenuta nel secolo successivo alla famiglia Pelosi, poi a Gioacchino Orto, ai Farina di Baronissi ed infine a Francesco Amendola, sindaco di Avellino.

Il parco di Villa Amendola è la più importante area a verde di pregio esistente nella città di Avellino, sia per estensione che per presenza di piante ornamentali monumentali. Questo maestoso parco settecentesco, ubicato praticamente nel centro urbano di Avellino, è il polmone verde di via Due Principati, rione Mazzini, San Leonardo e San Tommaso, grossi quartieri cittadini non serviti da giardini o da altre strutture pubbliche per il tempo libero. Le altre zone a verde della città, sia pubbliche che private, sono tanto piccole e sparse da avere limitata incidenza sulla qualità della vita degli avellinesi. Le piante del parco, sia i maestosi alberi che le essenze arbustive, sono stati quasi tutti impiantati nel 1700, facendoli arrivare da ogni continente, così come si impiantavano i parchi reali e gli orti botanici universitari delle grandi città europee.

Il parco si sviluppa per circa un ettaro, da via Due Principati a rione Mazzini, su terrazzamenti di quota diversa, collegati da scalinate e vialetti. È stato progettato secondo i canoni del giardino italiano rinascimentale, caratterizzato da una rigorosa simmetria delle aiuole e dei viali, dalla orizzontalità dei prati, dalla presenza di siepi di bosso squadrate, poste a delimitazione delle aiuole, oppure al loro interno, a formare disegni più o meno complessi, e dalla presenza di piante come i cipressi dalle linee architettoniche proprie del loro portamento naturale. Non si è potuto però assoggettare completamente il suolo in declivio e le forre che in origine scendevano sul ruscello che oggi costituisce la nuova strada comunale Quattrograna; il giardino quindi presenta angoli suggestivi ed è dotato di una notevole varietà di ambienti, come le pareti scoscese ad oriente, le vaste cavità sotterranee scavate nel tufo che sicuramente erano utilizzate come depositi agricoli o cantine ed una cisterna ampia e monumentale che conserva le acque di una cospicua sorgente.

Le poche piante autoctone sono anche le più vecchie perché già presenti al momento della realizzazione del giardino: proprio per la loro vetustà esprimono il massimo della vigoria e bellezza. I 15 maestosi tassi europei, gli alberi della morte, originari dei nostri boschi irpini, sono piante entrate nell’immaginario collettivo non solo per la loro velenosità ma anche per la leggendaria resistenza del legno usato per realizzare gli archi dei cacciatori preistorici come ad esempio l'arco della mummia del Similaun.

Il tesoro del Parco è costituito da un centinaio di alberi rari e rarissimi come le splendide araucarie, alberi nazionali del Cile, le 14 sequoie giganti della California, i maestosi banani, i cedri dell’Himalaya, piante di grande valore estetico e botanico. Il mio caro amico e compagno di lavoro, Carlo Laudadio, agronomo, fu chiamato dall’Amministrazione comunale a descrivere e valutare l’intero parco: la sua relazione si meritò la pubblicazione su di una rivista nazionale pubblicata dal Sole 24 Ore per i professionisti europei di estimo rurale.

Andrea Massaro, nel suo libro intitolato “Villa Amendola: tre secoli di storia” traccia la storia dei proprietari, dei fabbricati e del parco, concludendo che la villa, dal significativo passato, dovrà rappresentare un particolare richiamo per l’intera comunità, tale da farlo destinare a luogo eletto per la cultura. All’assemblea dell’associazione culturale Rete universale, tenutasi lo scorso febbraio nella chiesa del Carmine nei pressi del municipio, hanno preso parte vari gruppi di intellettuali avellinesi e si è deciso all’unanimità di chiedere al Comune una sede per le varie associazioni culturali attive in Avellino, allo scopo di rilanciare la cultura, che è l’unico volano in grado di far ripartire anche l’economia della nostra città. Proprio Villa Amendola potrebbe diventare quindi la sede ideale di tutte le associazioni e di istituzioni museali di vario tipo, cioè la casa della cultura di Avellino.

Mentre, ad esempio, Ariano Irpino possiede 6 musei aperti al pubblico, Avellino invece ha solo il museo archeologico, con un impianto del secolo scorso, al quale di recente si va affiancando la struttura del carcere borbonico, che comunque rimane una proiezione del museo stesso. Nel 2008 fu presentato al Comune di Avellino un progetto, da finanziare con fondi europei, per istituire un museo di storia naturale e del territorio in villa Amendola, sfruttando la centralità e l’ampiezza dell’edificio e la destinazione culturale per cui era stato acquisito. Il museo di storia naturale potrebbe integrarsi egregiamente con il giardino botanico: i cittadini potrebbero visitare il parco che rappresenta un museo vivente della botanica e dell’arte del giardino. Il museo di storia naturale si articolerebbe sui quattro temi fondanti della natura: la botanica, la zoologia, cioè la scienza degli animali, la geologia ovvero la scienza della terra e l’antropologia. In tutte le città europee, le scolaresche e i semplici cittadini visitano i musei di storia naturale per capire le caratteristiche del territorio in cui vivono. Valorizzare il territorio significa far conoscere ai cittadini i lineamenti geologici dell’Irpinia, caratterizzati da montagne appenniniche e valli fluviali. Anche l’Irpinia possiede numerose e poco conosciute testimonianze della preistoria umana: centinaia di migliaia di anni or sono, uomini e animali si spostavano da mar Tirreno all’Adriatico attraversando l’Irpinia, dando vita così all’avventura della storia dell’uomo sulla terra. Il museo si potrebbe affiancare ad altre istituzioni simili già esistenti come, ad esempio, il museo della matematica e un centro culturale di enologia, e costituirebbe anche un volano di sviluppo economico per l’area depressa circostante.

Il 31 luglio 2003 il Consiglio comunale di Avellino, presieduto dal sindaco Antonio Di Nunno, deliberò l’acquisto della villa e dell’annesso parco, approvando la relazione dell’allora assessore Antonio Gengaro che illustrò ai consiglieri il fondamentale ruolo di volano culturale di villa Amendola nell’ambito del progetto integrato Città di Avellino. Lo stesso assessore definì “splendido” l’articolo di Massaro apparso due giorni prima sul Mattino e intitolato “Quale futuro per Villa Amendola”. Oggi, a distanza di dieci anni dall’acquisto, continuiamo a rivolgerci la stessa domanda. Il blocco politico istituzionale che perpetua la cristallizzazione del potere in Avellino, il male oscuro che pervade la politica irpina, produce il soporifero oblio nel quale tutto si confonde e si disperde.

Che fine ha fatto questo progetto? Che fine hanno fatto le altre iniziative culturali ad Avellino? Scomparse nel nulla. La strategia politica avellinese si estrinseca attraverso lo stanziamento di fondi per faraonici progetti insensati e le gare di appalto per opere incompiute o inutilizzate: il tunnel, la metropolitana leggera, il Mercatone, l’autostazione, il cinema Eliseo, il Casino del Principe, il convento San Generoso, l’asilo Patria e Lavoro, villa Amendola, eccetera, eccetera...

Il grado di corruzione di una città è inversamente proporzionale al livello culturale dei cittadini: maggiore è il loro livello culturale, meno radicato è il clientelismo e la corruzione. L’unico antidoto al malcostume è diffondere la cultura: investire in cultura significa migliorare la qualità della vita, anche economica, dei cittadini.

 

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