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    22/07/2024

Mattmark, la tragedia che cambiò la storia dell’emigrazione italiana

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Seduti da sx: Ricciardi, Mascilli Migliorini, Paris, Picone e StrianeseAVELLINO – “Quando accadono le catastrofi cambia sempre qualcosa. Sono momenti di cesura forti, netti, e nella storia dei paesi e nella vita delle persone coinvolte ed anche nelle dinamiche sociali. Nel caso specifico cambiò la sicurezza, cambiarono l’analisi ed il monitoraggio dei grossi cantieri, dei ghiacciai, delle montagne, cambiò anche la percezione dell’altro, per stare alla cronaca ed alla attualità. Dopo Mattmark, il modo di intendere gli italiani, che erano la comunità più numerosa in Svizzera e che superavano già il mezzo milione di presenze, cambiò. E probabilmente Mattmark è servita a far bocciare i referendum antixenofobi di tutti gli anni Settanta. Cosa che non accadde l’anno scorso il 9 febbraio”.

Questa, in sintesi, l’analisi di Toni Ricciardi, storico delle migrazioni presso l’Università di Ginevra, che questa sera, nell’ambito degli incontri con l’autore promossi dalla libreria Mondadori in Piazzetta Guarino di Corso Vittorio Emanuele, ha preso parte all’incontro-dibattito, moderato da Rossella Strianese, sul suo ultimo libro Morire a Mattmark. L’ultima tragedia dell’emigrazione italiana (Donzelli 2015). Con lui ne hanno discusso lo storico nonché accademico dei Lincei Luigi Mascilli Migliorini, dell’Università l’Orientale di Napoli, la parlamentare Valentina Paris,  responsabile nazionale Enti locali del Pd e membro della commissione Lavoro della Camera dei Deputati, il responsabile della redazione di Avellino del Mattino Generoso Picone.

Una tragedia, quella di Mattmark, in cui persero la vita 88 persone di cui ben 56 italiani. Tra questi due irpini, Donato Arminio di Bisaccia, e Umberto di Nenna di Montella. Il figlio di Umberto, Salvatore, si salvò perché si trovava in ferie.

A Mattmark – si legge nel compendio di copertina del libro di Ricciardi – non ci si fermava mai, si lavorava giorno e notte per costruire un’imponente diga capace di produrre l’energia necessaria a un paese, la Svizzera, che stava vivendo una crescita economica senza precedenti. Nel cantiere lavoravano più di mille persone, in maggioranza straniere e provenienti soprattutto dalla provincia italiana. La «piccola» Svizzera accoglieva da sola quasi il 50 per cento dell’intero flusso migratorio italiano, dando occupazione a operai impegnati in grandi opere, come la diga di Mattmark. Ma il 30 agosto 1965, in pochi secondi, accadde l’irreparabile: «Niente rumore. Solo, un vento terribile e i miei compagni volavano come farfalle. Poi ci fu un gran boato, e la fine. Autocarri e bulldozer scaraventati lontano». A parlare è uno dei sopravvissuti intervistati nel libro, uno dei testimoni della valanga di più di 2 milioni di metri cubi di ghiaccio che seppellì 88 lavoratori. Di questi, 56 erano italiani.
Come a Marcinelle, la tragedia rappresentò una cesura nella lunga e travagliata storia dell’emigrazione italiana, segnando un punto di non ritorno. Inoltre, suscitò molto scalpore in tutta Europa: per la prima volta, stranieri e svizzeri morivano l’uno a fianco all’altro. Nei giorni successivi si scavò senza sosta con la speranza di trovare ancora vivi amici, padri, fratelli, figli. Ci vollero più di sei mesi per recuperare i resti dell’ultima salma. Questa storia si concluse nel modo peggiore: i tempi dell’inchiesta furono lunghissimi, oltre sei anni, e i diciassette imputati chiamati a rispondere dell’accusa di omicidio colposo furono tutti assolti, nonostante l’instabilità del ghiacciaio fosse nota da secoli. In appello andò anche peggio, con la conferma dell’assoluzione e la condanna dei familiari delle vittime al pagamento delle spese processuali.
L’oblio nel quale è caduta la catastrofe fa parlare di Mattmark come di una «Marcinelle dimenticata». Questo volume, a cinquant’anni di distanza, sfida quell’oblio attraverso una ricostruzione, attenta e documentata, di quanto avvenne”.

 

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