AVELLINO – Quando trionfa solo l’effimero dei grandi eventi; quando non c’è più conoscenza scientifica, né attenzione o affezione per il patrimonio artistico e naturale; quando non c’è più il riconoscimento della memoria storica, della fatica e del sudore, oltre che delle capacità creative di chi ha prodotto o produce; quando la grande e bella “estate”, avellinese o provinciale, è pacchiano movimentismo fieristico e stupido folclore di sacre paesane; quando la propaganda è scioccante forma mediatica pubblicitaria che stordisce ed inganna il consumatore; quando gli unici lavoratori d’oggi sono i “venditori” anche di domani; quando spettacoli di festosità collettiva fine a se stessa turbano il silenzio di paesi assorti nella drammaticità del loro dolore e dei loro problemi esistenziali; quando vedo i giovani e i giovanissimi farsi rinunciatari, dimentichi ormai completamente del passato; quando li vedo disperatamente aggrapparsi come contorsionisti sul filo dei facili approcci multimediali per comunicare; quando vedo certe loro virtuosistiche esercitazioni tecniche con cui stravolgono le immagini tratte da opere d’arte persino famose del passato facendole passare per “moderne”; quando vedo esposte sui muri e dappertutto compiaciute e compiacenti belle immagini fotografiche della realtà anche più brutta (che non si vorrebbe mai vedere!); quando vedo che i giovani, anziché faticosamente formarsi, gioiosamente girovagano a vuoto per il mondo alla ricerca della felicità che è in se stessi; quando vedo che, franato il sistema dei valori tradizionali, ne instaurano un altro, quello dei falsi valori; quando vedo che i figli si appiccicano ad un flash fotografico, cioè ad un foglio di carta, come all’unica ancora di salvezza, mentre il mondo continua ad andare a rotoli sotto i loro piedi; quando, insomma, vedo i giovani convinti che l’umanità si salvi in un’immagine; quando vedo che essi, anziché preoccuparsi di non finire male, inconsciamente vorrebbero finire in bellezza (ritratti se mai accanto ai loro simili, anch’essi sperduti per il mondo nei luoghi più vicini e più lontani, irpini, italiani, giapponesi, cinesi, inglesi, americani, ultraterrestri ); quando vedo che essi fotografano flash di realtà quando vorrebbero, invece, solo dipingere a colori se stessi; quando vedo che l’illusione di un futuro è quella formale e virtuale e che la nostalgia d’un passato irrimediabilmente passato copre la verità e la seppellisce, ingessandola, nella più tragica realtà attuale, allora penso che l’uomo oggi, atterrito e smarrito dinanzi al caos della grave crisi generale, stia perdendo il lume della ragione e si stia abbandonando ai moti inconsulti e forsennati dei bambini che, ignari, scherzano.
E allora penso che oggi, in piena contemporaneità, stia accadendo ciò che Cicerone si augurava non avvenisse mai: “non sapere che cosa sia accaduto nei tempi passati, sarebbe come restare per sempre bambini. Se non si fa uso delle opere delle età passate, il mondo rimarrà sempre nell’infanzia della conoscenza”.
È un pericolo reale qui in Irpinia dove, nell’ultimo mezzo secolo, tutto si muove perché tutto rimanga allegramente immobile, e alla fine peggio di prima. Qui in Irpinia si sta scherzando con il presente come scherzano i bambini con il fuoco. Attenzione! Il rischio, oggi , è proprio questo: è quello di ritornare bambini. Si scherza, ci si diverte, si finge di ridere per non piangere, di vivere per non morire. Ma così si torna indietro. Si regredisce.
Non ci si meravigli, allora, se l’Irpinia, l’amorosa madre di sempre, fattasi consapevole, acquisti un volto inedito, impietrito, arcigno dinanzi allo spettacolo dei suoi figli che, anziché andare incontro al futuro con la passione che trae insegnamento e slancio dalla storia passata, ritornano a lei, piangendole tra le braccia: ritornano bambini.
E non meravigli neppure se agli occhi dei figli, ignari ed increduli, la madre (Irpinia) appaia “Matria”, quasi matrigna. Ma la Terra (che ha dato i natali e che è pur sempre la madre), nella bellezza sfolgorante della sua verdeggiante natura, sta lì ad attenderli, i suoi figli, ovunque la cerchino, in silenzio. Che in quel silenzio essi almeno facessero un esame di coscienza! Che almeno prendessero coscienza della misera avventura toccata all’Irpinia di quest’ultimo mezzo secolo, della misera avventura, cioè, del vecchio pescatore di Heminguay, il quale, dopo una lotta sovrumana, non riesce a portare a casa che un immenso scheletro. Un’avventura di cui, sia ben chiaro, siamo un po’ tutti , assertori e detrattori, responsabili, senza voler o dover essere profeti dell’Apocalissi.