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    03/07/2024

Il murale di Millo, una testimonianza di solidarietà e di pietà umana

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b_300_220_15593462_0___images_stories_Cultura3_millo_murale.jpgAVELLINO – Il dibattito o anche solo il commento dei cittadini al murale di Millo a Borgo Ferrovia di Avellino (pur  tanto atteso in tutta la comunità cittadina) non c’è stato. Forse il messaggio ed il significato di quel semplice prodotto di  Street Art  non sono stati compresi.

Certo, se l'obiettivo finale era quello di vedere realizzata un’opera d’arte d’alto valore estetico e contemplativo nella città capoluogo, quest’obiettivo non è stato raggiunto. È stato centrato, però (ed è ciò che più conta) l’obiettivo di dare inizio concreto – finalmente! – al tentativo, di per sé apprezzabilissimo, di rigenerare alcune zone degradate della città e rivitalizzare gli spazi urbani. Questo tentativo, che ho sempre incoraggiato, felicemente è stato  affidato al noto street artist Millo. Purtroppo, però, nei pressi della stazione ferroviaria di Avellino, luogo simbolo dell'arte della città di Avellino per la presenza del Murale della pace di Ettore de Conciliis, qualsiasi nuova opera d’arte deve temere l’impari confronto. Del resto - per esplicita dichiarazione dello stesso autore rilasciata in un’ intervista - il murale realizzato, fin sul nascere non voleva avere la pretesa di  essere (e di essere considerato) opera d’arte. Con la stessa umiltà e con stessa semplicità con cui Millo è venuto nella nostra città ed ha eseguito in tempi rapidissimi (qualche giorno) la sua opera se ne è andato, in silenzio, in punta di piedi, lasciando una sua personale testimonianza, di inestimabile valore umano, di solidarietà al popolo irpino in difficoltà economiche e vittima di gravi drammi sociali.  
Il lavoro di Millo (una grafica, un disegno, un murale, lo si chiami come meglio si crede ) non vuole far contemplare ma pensare. Il murale è dipinto in bianco e nero, perché i colori  eccitano l’animo e tolgono la freddezza necessaria alla riflessione su una grande tragedia  (“Guernica” di Picasso insegna). Non perseguendo scopi di natura estetica, non intendendo esaltare una bellezza esteriore  e nessun lato B, Millo entra di proposito e prepotentemente nella dimensione della “profondità” dell’animo, dell’interiorità dell’uomo. Lascia un insegnamento ed un monito ai giovani, di indiscutibile valore.

La solitudine regna sovrana nel pur convulso agglomerato urbano tracciato sullo fondo dell’opera, tra case, palazzi e fabbriche, dove abita la tragedia umana. Tranne qualche accenno di volto, nessuna figura umana è presente nella scena. Solo un bambino il protagonista. Eppure in quella ripetitività ossessiva di costruzioni ammassate si ripete, per analogia, la stessa furibonda ed indimenticabile  girandola di tegole e strade reali,  alberi e forni, in cui si svolgevano nella metà del secolo scorso le tante avventure di Chaplin nel film “Tempi moderni”. La stessa condizione dell’uomo moderno, che, come lui, cammina sul magico filo teso tra terra e cielo. Nell’immaginario collettivo non c’è niente più di movimentato o di comico: c’è la maschera della malinconia fonda, della solitudine precipitosa dell’uomo moderno. Nel murale di Millo riconosco lo stesso valore, lo stesso significato del film di Chaplin: la “pietà umana”, la vera  rivoluzione perpetuamente viva e sempre attuale.

Il murale ci avverte: il dramma si consumerà anche sulla pelle dei nostri figli, dei bimbi, vittime innocenti, che si ammaleranno per colpa degli altri, di noi adulti irresponsabili. Di qui la scelta di fare di un bimbo il protagonista della scena dipinta. Un bimbo in precario equilibrio, aggrappato disperatamente ad un termometro gigante, attorno ad un palo.

Geniale la risoluzione creativa ad un problema di difficoltà oggettiva: dinanzi a quel palo della luce  che divide a metà la facciata del palazzo su cui si sviluppa la narrazione murale , l’artista non si è arreso, anzi ha trasformato quell’impedimento visivo, quel palo, in un’eccezione risorsa: ha fatto coincidere perfettamente la lunga linea rossa di mercurio del termometro al centro della superficie della facciata con la linea di quel palo (come si può vedere nella foto). L’effetto ottico prodotto è che egli, osservando il racconto del murale, non percepisce più quel palo come impedimento visivo, fisico, esterno ma solo l’immagine del bambino che si aggrappa a quel palo più che al termometro, scalandolo disperatamente fino alla cima, verso la salvezza. Quel palo, ora, fa parte integrante dell’opera compiuta; non può, non deve essere più tolto da dove si colloca attualmente (almeno  finché resterà lì quel murale). Millo ha dimostrato che l’opera d’arte in sé, autonoma, non esiste,  e che l’opera in sé è incompleta. Si completa nel momento in cui anche l’osservatore (postosi perfettamente in visione frontale rispetto alla facciata) e quel palo contribuiscono a completarlo. Un grido di aiuto sommesso ma intenso si eleva, intriso di dolore: i bimbi sono in pericolo in questa città esposta al rischio delle malattie e della morte prodotte dall’amianto e dalla mancanza di lavoro dei genitori.

La città, l’urbanizzazione, la globalizzazione, la società dei consumi, tecnologicamente avanzata è lì  sullo sfondo, anonima, quasi invisibile rispetto all’uomo che ne è vittima in primo piano.  Millo è venuto ad Avellino per esprimere il suo sentimento di solidarietà,  di comunanza affettiva,  di amore e di fratellanza che sinora è mancato.  È venuto a dimostrare che “ il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi” (Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto ). Con occhi nuovi egli ha scoperto la realtà locale ed ha offerto un’indicazione giusta per riaccendere una speranza nuova. Con un’immagine semplice ed elementare, come può essere quella tracciata dalla mano di un bimbo, per testimoniare una commovente ed indimenticabile  “pietà umana”.

 

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