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    03/07/2024

Malinconia ed intimismo nei ritratti e nei paesaggi di Faustino De Fabrizio

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b_300_220_15593462_0___images_stories_Mostre_defabrizio.jpgPRATOLA SERRA - Uno dei rischi maggiori che si può correre oggi, in un momento di esaltazione dell’effimero e dell’appariscente nascosti sotto l’alibi della novità, è che i valori e la qualità, la cultura di spessore possano passare sotto silenzio, sottaciuti, sottovalutati o addirittura ignorati in una provincia come la nostra distratta da ben altri motivi e interessi di ben altra natura. Al contrario noi siamo convinti che, in un momento di crisi generale come questa attuale, bisogna mettersi, di buona lena, anche alla riscoperta e al recupero di quei valori e di quelle qualità, garantiti dalla migliore tradizione, per tentare di avviare il decollo della ripresa artistica e culturale in Irpinia. Per questa ragione segnaliamo, oggi, la ricorrenza del centenario della nascita di Faustino De Fabrizio, uno dei maggiori artisti irpini del Novecento, un artista ancora tutto da riscoprire, nonostante gli apprezzabilissimi sforzi già compiuti dallo storico dell’arte  Alberto Iandoli, che ne ha curato in un recente passato  una monografia  per conto del Comune di Avellino e qualche mostra personale di alcune sue opere.

Faustino De Fabrizio è  nato a Pratola Serra nel 1915. È morto nel 2005. Si è diplomato all’Accademia di Belle Arti di Napoli, conseguendo, come migliore allievo, il premio “Fernando Palazzi”. È stato presente dal 1936 in numerose manifestazioni artistiche (Bagnoli Irpino, Avellino, Benevento, Castellammare, Napoli, Foggia, Ancona, Bologna, etc.). Di rilievo risulta la sua partecipazione alla “Mostra Italia-Germania” a Vienna nel 1939, alla Quadriennale europea a Roma nel 1966 e, nel 1965-67, alla Biennale delle Regioni. Nel 1968 e nel 1970 ha conseguito il lauro d’oro e il diploma d’onore  a  Deaborn Usa -Free World Academy. È stato membro per meriti artistici di diverse accademie italiane e straniere.

Il suo nome figura in “Artisti Contemporanei”(Edizioni delle arti, Roma, 1947),“ Artisti Moderni”( Ed. E.D.I., Roma, 1964), “Linea Figurativa” (Ed. Europa Arte, Ancona, 1966), ”Guida all’Arte Italiana”( Ed. Europa Arte, Ancona, 1966), ”Arte Italiana per il mondo” ( Ed. S.E.I.,Torino, 1970), etc. Recentemente le sue opere sono state esposte in mostre collettive ad Avellino e Benevento. Nel 2014 s’è svolta una mostra personale del pittore al foyer del Teatro Gesualdo di Avellino. Una monografia dell’artista fu curata, nel 1972, da Carlo Emanuele Bugatti (Ed. Bugatti, Ancona) e fa parte della Collana “La vita e l’opera dei maestri contemporanei”. Riportiamo qui di seguito parte di un nostro saggio scritto tre anni prima della morte del pittore (l’avremmo dovuto pubblicare in “Pittori Irpini del Novecento”, per l’Editore Elio Sellino, se non fosse sopraggiunta purtroppo la scomparsa di quest’ultimo. Per dovere avvertiamo che qualche brano di tale saggio è stato pubblicato anche su quotidiani locali).

Già dagli anni Quaranta del secolo scorso, e successivamente negli anni Cinquanta, in una provincia completamente sorda all’arte, perché quotidianamente impegnata nella drammatica lotta alla fame per la stessa sopravvivenza, tre giovani artisti, Guido Palumbo, Mario Pascale e Faustino De Fabrizio si aggiravano, alle prime luci dell’alba, nei mesi primaverili ed estivi, nelle campagne e nei boschi dell’Irpinia, alla ricerca degli angoli più suggestivi da ritrarre con tavolozza e pennelli.

Di temperamento dolce e mite, tendenzialmente romantico, i tre cari compagni di vita e di arte amavano, nella solitudine, confidare ai colori la loro ricchezza interiore. Per loro la ripresa della realtà in contatto diretto richiedeva una durata lunga, per la necessità di familiarizzare prima con essa, facendo poi vibrare sulla tela, nella composizione cromatica, la risonanza dell’animo e il calore degli affetti.

In particolare Faustino De Fabrizio si distingueva per una certa sottile inclinazione alla malinconia  con cui si concentrava nella più profonda contemplazione e nel più intenso godimento estetico dinanzi allo spettacolo della natura. In virtù di quella sensibilità e delle sue eccezionali doti tecniche egli ha saputo trasmettere interamente al fruitore le sottili e delicate emozioni del suo animo. La sua pittura si connota per la sapiente e spesso anche complessa struttura compositiva alla base della quale è la profondità di uno studio severo compiuto all’Accademia di Belle Arti di Napoli sotto la guida del maestro Emilio Notte. Da questi, infatti, egli apprese la grammatica e la sintassi pittoriche.

Ricollegandosi alla più valida tradizione figurativa partenopea,“Donna allo specchio” ci offre un esempio emblematico ed esemplare di questa singolare ricerca pittorica di De Fabrizio: i piani trasversi dei due corpi della donna (di quello reale e di quello riflesso) costruiscono un sistema di forze che svolge un gioco di equilibrio instabile nei rapporti spaziali con l’ambiente; il primo piano avanzato è costituito dalla donna vista di spalle e lo sfondo è costituito dallo specchio su cui ella si proietta frontalmente, vista di spalle dall’osservatore del quadro. La pelle liscia, porcellanosa, della giovane, la morbidezza sensuale della carne sono segni rivelatori, nel palpebrato chiaroscuro, del virtuosismo tecnico accademicamente acquisito.

Anche “Notturno sulla Chiesa Madre di Pratola Serra”, nelle sue piccole dimensioni, è una costruzione ricca di piani diversamente posizionati in uno spazio profondo, vibranti  nel contrasto tra le zone in luce e le zone in ombra, nonché nel leggero chiaroscuro di quelle  in penombra. E ciò, mentre regna sovrana dall’alto un’atmosfera solenne, raccolta, di silenziosa spiritualità religiosa. Sotto un cielo agitato e perturbato, che si apre tra rapide pennellate - tipiche di certi paesaggi della Scuola di Barbizon - fa malinconica mostra di sé un vecchio casolare di campagna, descritto meticolosamente alla maniera fiamminga, al quale rimanda, infatti, un semplice elemento intermedio, un tenero covone di paglia.

Un’opera matura, degna della migliore tradizione fiamminga e perfetta nella precisione di un  disegno rinascimentale, è certamente “Il  lavoro della cucitrice”, che raccoglie, nell’armonia di un solido impianto d’insieme, altre figure femminili, di sicura caratterizzazione psicologica. Negli sguardi si legge la curiosità discreta e silenziosa propria dei personaggi della civiltà contadina. Nel singolare assieme delle immagini simultanee risalta il bianco tessuto lavorato che scende dalle mani nodose della figura centrale, costituendo il fulcro poetico dell’opera, quasi a simbolo del valore della tradizione, della storia, degli antichi usi e costumi che vanno inesorabilmente scomparendo. La ieraticità di espressione di quegli sguardi abbassati e la gestualità quasi sacerdotale sembrano infondere nella scena un’atmosfera di  intensa  sacralità.

Nella“ Giovane donna seduta” la correttezza del disegno assurge ad una purezza grafica che ricorda certe dolci figure di Domenico Purificato o certe intonazioni di assorto raccoglimento e di tranquilla  meditazione di certe altre figure femminili di Felice Casorati: l’abito bianco scende in vita, tirato e stirato come un telo verticale a sottendere, tuttavia, le forme del busto della giovane. Questo telo fa angolo con il piano orizzontale dello spigolo del tavolo sotto il quale si raccolgono le ginocchia, in un atteggiamento di fissità penosa e di abbandono alla contemplazione, al ricordo, o semplicemente  al meritato riposo.

L’ardito scorcio nella “Strada di campagna “, che si allarga enormemente in primo piano, alla base del quadro, e si restringe fortemente in profondità, tra la verde vegetazione, sotto un aperto rettangolo di cielo azzurro, sereno, esprime esaurientemente la profonda conoscenza delle leggi prospettiche e  l’efficacia della deformazione visiva, in effetti di stupefacente illusione ottica.  L’amore per la natura rifluisce nella tenerezza dei “verdi” e nelle trascolorazioni dei celestini, in una visione d’insieme  idilliaca, di panica sensualità.

Degni di menzione sono anche i due dipinti “ Le due sorelle” e “ Ritratto di anziana signora”. Essi sono la prova – se ancora ce ne fosse bisogno – delle eccellenti qualità ritrattistiche dell’autore, capace, nelle luci smorzate, di infondere uno stato d’animo di intimo raccoglimento e di familiare intimità. La linea del disegno è sempre ispirata, vibrante, sicura nel costruire forme e volumi, nonché nel puntualizzare particolari di umana curiosità.

De Fabrizio raggiunge punte di toccante affettuosità nei ritratti dei familiari: nel “Ritratto di anziana signora” contrappunti di luci e di  macchie scure evidenziano la appartenenza ad aristocratico rango sociale, nella nobiltà dei sentimenti, nell’eleganza dei gesti espressi. La “Lettera” che è in mano alla donna pensosa, vestita di scuro, seduta, richiama l’attenzione  dell’osservatore e la rinvia a lontananze di nostalgici ricordi.

 

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