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    03/07/2024

L’attualità del Murale della pace mezzo secolo dopo

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b_300_220_15593462_0___images_stories_Attualita5_murale_pace.jpgAVELLINO – Sono molte le ragioni per le quali non vada sottovalutata, ma anzi approfondita, la portata storica della ricorrenza (che è caduta in questi giorni) del cinquantesimo anniversario della nascita del Murale della pace ad Avellino. Ettore de Conciliis con quell’opera è stato il pioniere in Irpinia del metodo della pittura murale moderna (Street Art) di decontestualizzare le immagini  per esprimere con risalto una protesta sociale e richiamare l’attenzione del popolo su problematiche d’impegno civile e di valore universale.

Con i graffiti della Street Art la pittura esce dai musei e dalle gallerie e si riversa per le strade sui muri delle piccole città e delle grandi metropoli; con il Murale di de Conciliis (non graffito ma affresco e non per strada) la stessa protesta, con la stessa forza rivoluzionaria  ma anche con grande capacità poetica, entra nella chiesa, in un luogo sacro e mostra il volto d’una realtà drammatica travagliata dai drammi dell’umanità.

Il Murale della pace di de Conciliis risale a mezzo secolo fa: fosse anche solo per questo, esso sarebbe stato meritevole di essere doverosamente ricordato nella ricorrenza - celebrata in questi giorni - del cinquantesimo anniversario della sua realizzazione. Occorre precisare subito, però, che il Murale della pace di Ettore de Conciliis nella chiesa di San Francesco a Borgo Ferrovia è una conclamata vera e propria opera d’arte, un capolavoro capace di farsi ammirare insieme nell’attualità del suo messaggio nello splendore della sua bellezza formale, nell’originalità del suo stile, riaffermando valori universali (sociali, spirituali, culturali). Il murale di De Conciliis ha il valore dell’autonomia di un’opera d’arte che sa far pensare e riflettere su ciò che agita il mondo e sa contemporaneamente indurre lo spettatore alla più piena e lirica contemplazione estetica. “Mentre si esplica la mia personalità artistica, vedo intorno, e non posso ignorare, il disastro provocato dall’amianto e le circa cinquantotto terribili guerre che si combattono nel mondo” (sono le parole significative dell’artista rilasciate  in un’intervista).

Nell’iter formativo di Ettore de Conciliis quel murale segna una tappa fondamentale: l'esordio ufficiale (1965) dell’autore in campo internazionale, quando, nella città natale, quell’opera di provocatoria impostazione iconografica denunciava con alto grido gli orrori della guerra e della violenza ed esaltava contemporaneamente il messaggio di pace lanciato dal Santo di Assisi. Il riferimento agli “Impiccati” di Guttuso e ai personaggi che avevano già fatto in qualche modo storia non era casuale. L’autore intendeva contrapporre alla tradizionale espressione figurativa dell’immagine di San Francesco (quale si era protratta nei secoli dinanzi agli occhi dei devoti attraverso la pittura medioevale e giottesca principalmente) la modernità di un linguaggio attento alla lezione neorealista di Guttuso e proteso a rendere nella sintetica stereotipia delle forme-segni esiti di espressione astratta.

Il gusto, la passione per il “racconto” con cui presentava la sua posizione critica di fronte alla realtà socio-religiosa rappresentata, caratterizzava e caratterizzerà sempre, d’ora in poi, il linguaggio stilistico dell’artista. Lo sorreggeva la conoscenza del mestiere, nella difficile tecnica del “murale”, approfondita ulteriormente alla scuola di David Alvaro Siqueiros in Città del Messico.

I numerosi murales successivi, eseguiti dal 1965 in poi, costituiscono momenti anch’essi significativi della formazione artistica, anche se “diversissimi”, ma nascono tutti da questa stessa matrice di un’“esperienza di intervento nello spazio sociale” ispirata ad una sorta di “mitopoiesi popolare-politica”.

La grande svolta del 1975 – svolta continuativa ma non contraddizione di un percorso coerente –   verso la dedizione piena alla “pittura di paesaggio” e alla “natura morta” deriva direttamente dal germoglio dei semi (bellezza formale, capacità poetica e sensibilità lirica ) espressi dall’autore nelle bellissime immagini del murale di Avellino. Spiega le ragioni Giorgio Seveso: “Ettore de Conciliis, abbandonato il suo “esplicito e totalizzante impegno civile, comprende che questo stesso impegno, per essere davvero efficace deve inseguire la coscienza dell’uomo là dove è stata ridotta e respinta dalle contraddittorie circostanze del nostro presente. Pertanto, egli deve dimostrare o, se volete, deve rimostrare alla gente gli spessori autentici delle cose che abbiamo attorno; deve essere capace di riaccendere un vero trasporto per la fisicità, per la poeticità, per le mille vibrazioni e riconoscimenti sepolti nel nostro inconscio antropologico e rivolti a quell’ambiente di natura che stiamo cancellando, ai suoi valori sottintesi e impliciti, a ciò che stiamo lasciando per sempre alle spalle in nome dell’accettazione in un certo modo aberrante di intendere il progresso e lo sviluppo” (in catalogo della mostra di de Conciliis ad Avellino).

In questo linguaggio nuovo “né politico, né poetico, ma politicamente poetico”, de Conciliis sa ancora sognare, se mai ammirando ancora dal vivo un cielo stellato, sopra le umide erbe della notte, nell’odore della paglia, come dimostrano tanti suoi dipinti anche recenti; e ci invita a non perdere quella sensibilità tutta umana con cui assaporare, godere, anche la ”poesia delle cose”, della realtà quotidiana.

 

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