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    03/07/2024

C’è bisogno di arte per raccontare la memoria e poter costruire il nuovo

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Villa Amendola, sede del museo civicoAVELLINO – Ho letto dai giornali in questi giorni due notizie meritevoli di attenzione: l’inaugurazione ufficiale, avvenuta domenica scorsa a Bagnoli Irpino, del Museo-Pinacoteca “Michele Lenzi” e l’acquisizione da parte del Museo Civico di Avellino (ex Villa Amendola) di opere “donate” di artisti contemporanei. Le due iniziative, senz’altro degne di apprezzamento e di lode, mi inducono a fare qualche riflessione circa l’utilità e la funzione sociale che le opere d’arte svolgono, soprattutto oggi.

Qualcuno ha scritto che “l’arte è il fiore dello spirito”. Un valore essa stessa, l’arte, infatti, si ispira ed ispira ai valori dello spirito. L’artista, uomo tra gli uomini, pur vivendo in solitudine la sua esperienza spirituale, non si isola, non si chiude agli interessi umani, ma, pur in solitudine, accoglie le istanze altrui, le interpreta, le fa proprie, e, pur tra i contrasti che incontra, si realizza, avviando l’arte (e l’uomo che ne fruisce) ai valori più alti dello spirito, ai valori universali.

L’arte, che così riflette l’immagine dell’artista e l’autenticità dell’uomo, nel momento in cui comunica all’esterno la sua spiritualità svolge una precisa funzione sociale. Non a caso si dice che gli artisti  “sono stati e sono da sempre i profeti morali dell’umanità”. “Verso gli artisti -  avvertiva Jacques Maritain - ma anche verso se stessi gli uomini, nel giudicare le conquiste artistiche dei contemporanei, hanno una responsabilità in quanto hanno bisogno di poeti e di bellezza. Gli uomini dovrebbero essere coscienti di questa responsabilità”.

Nel mondo c’è bisogno dell’arte. Soprattutto oggi, in un momento così confuso, di smarrimento generale dei valori. Lo annunciava solennemente già qualche decennio fa Giovanni Paolo II: “Oggi, c’è bisogno di arte. Nel mondo c’è dubbio, c’è tristezza, c’è crisi, soprattutto morale”. Ed aggiungeva: “contemporaneamente c’è anche bisogno di confortare, illuminare, aiutare”. Concludeva: “Oggi c’è bisogno di costruire”. Solo chi crea costruisce; l’artista crea e, quindi, costruisce.  Crea  chi non distrugge; e solo chi non distrugge  crea e costruisce. Tuttavia, se l’arte è “creare nella solitudine del proprio mondo senza distruggere”, si può convenire con questa definizione di arte solo intendendosi sul significato della parola “solitudine”.

La solitudine dell’artista è “volontario e tormentato chiudersi nello spazio di una cella segreta ( il proprio mondo interiore), piena di luce e di mistero, in cui  l’artista coglie il dramma di permanente tensione che unisce la “bellezza” e la “verità”: dall’anelito al vero nasce il bello (Guido Giustiniano, “Un’esperienza tra arte e spiritualità ”, Ed. Laurenziana, Napoli, 1985). L’artista, superando la sua finitezza, trasmuta la propria solitudine in “comunicazione”.  È indubitabile dunque  che,  per la sua precipua funzione  sociale, l’arte, come  è stato scritto da qualche parte, “è un gesto sociale di una persona che vive in solitudine”.

È il gesto dell’artista che, nella solitudine del suo mondo interiore, elabora, crea, dà vita alle sue creature artistiche che comunicano messaggi e valori  agli altri. Di qui la ragione , e la necessità, per cui oggi c’è bisogno di guardare ai grandi artisti, ai maestri del passato, alla storia, alla memoria, perché, recuperandone l’insegnamento, si ritrovi la strada per la salvezza. I maestri del passato vanno oggi ricordati, riconsiderati, commemorati e, soprattutto, onorati, specialmente in patria. Attraverso il linguaggio del proprio stile, attraverso il racconto delle proprie emozioni, dei propri ricordi, della memoria, l’arte si fa strumento di socialità, e si fa poesia, linguaggio universale che comunica agli altri. Si fa “racconto della memoria”.

E, come ogni racconto, l’arte ha un suo eroe. Chi è l’eroe del  “racconto della memoria”? Ce lo suggerisce Tolstoi nel suo Sebastopoli: “L’eroe, quello che io amo con tutte le forze dell’anima, quello che mi sono sforzato di rappresentare in tutta la sua bellezza, e che è sempre stato e sarà supremamente bello, è la verità”. Anche nell’auspicio di Camus “l’arte è bellezza e verità”. È l’artista, dunque, l’eroe del “Racconto della memoria”. È l’artista, perché l’arte è  bellezza e  verità.  L’artista è l’eroe inerme, senza scudo né spada, umile cantore della storia dell’anima. Non a caso, personalmente ho cercato sempre di ricordare e seguire l’avvertimento paterno: “ciò che rimane di un  artista è l’opera “. A beneficio dell’umanità. Infatti: le opere, realizzate, una volta divenute nel tempo parole senza tempo, diventano universali, comprensibili, sempre, ovunque, da tutti. È dovere di tutti noi raccogliere le opere degli artisti, con la consapevolezza, però, che queste opere pretendono rispetto profondo e  devozione, come tutto ciò che è sacro.

L’arte serve all’uomo del nostro tempo, sempre più povero di valori, come profonda lezione di recupero di essi, di riscatto e salvezza .

 

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