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    03/07/2024

Nel libro di Garofalo la storia della letteratura irpina

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b_300_220_15593462_0___images_stories_Cultura3_letter_irpina.jpgAVELLINO – Esiste una letteratura irpina? E se sì, chi ne sono gli esponenti? Sono queste le due principali domande che Mario Garofalo, autore di “Storia della letteratura irpina – dalle origini al secolo XIX” (recentemente edito da Il Terebinto), si pone e pone ai lettori.

In realtà, il primo interrogativo trova risposta già nell’introduzione, laddove l’autore sostiene che “di una specificità irpina della cultura si può parlare solo a partire dalla fine dell’800 e dagli inizi del ‘900, ma precisamente per settori e generi che possiamo definire paraletterari, come il giornalismo e la storiografia civile”. Da questa valutazione, pienamente condivisibile, deriverebbe la risposta all’altra domanda: se una letteratura irpina non esiste, non esistono nemmeno letterati irpini. Anche in questo caso è lo stesso Garofalo a risolvere l’empasse, sostenendo espressamente – ancora una volta nell’introduzione – che “assumeremo il concetto di “irpinità” nel significato…di origine irpina. Con una semplificazione storiografica, certamente bisognosa di ulteriori giustificazioni, tratteremo cioè dei poeti e degli scrittori nati in Irpinia o che con l’Irpinia hanno avuto non effimeri legami”.

Sennonché, anche il criterio adottato dall’autore per l’individuazione dei “letterati” proposti al lettore prevede soluzioni più ampie di quelle desumibili dalla affermazione che precede. Infatti, gli scrittori che trovano spazio nell’opera non sono solo romanzieri e narratori. Nella “Storia della letteratura irpina” molte pagine sono dedicate a giuristi, studiosi delle più differenti branche del sapere (matematica, scienze naturali, medicina), e persino astrologi. Parimenti, i legami che i letterati intrattennero con l’Irpinia talvolta risultano più che “effimeri”. In alcuni casi la “irpinità”, come la definisce Garofalo, si limita al luogo di nascita (talvolta poco più che casuale) o alla ascendenza familiare. Da questo punto di vista, salvo pochi casi (a partire da quello di Scipione Bella Bona), i letterati “irpini”, compresi quelli che con l’Irpinia ebbero un legame non effimero, vissero ed operarono a Napoli dove ebbero contatti non solo con gli intellettuali locali, ma anche con altri letterati di altre regioni italiane ospiti della corte napoletana, dei circoli aristocratici o delle varie accademie letterarie cittadine.

Alcuni di questi (uno su tutti, Torquato Tasso) si spinsero persino nelle terre irpine, trovando accoglienza nelle dimore di nobili “illuminati”. La circostanza – ovviamente – non sfugge all’autore, che dà ampia contezza dei soggiorni irpini dei letterati provenienti da altre aree geografiche, dedicandosi alla ricostruzione rigorosa degli eventi salienti dei vari soggiorni.

Le considerazioni svolte sinora sembrerebbero indicare i limiti dell’operazione editoriale. Tuttavia, non di limiti veri e propri si tratta, ma – piuttosto – di spunti per l’approfondimento non convenzionale della storia dell’Irpinia. In tal senso, in più punti il saggio di Garofalo si concretizza in una “storia” tout court della nostra terra, e non in una semplice ricostruzione della vita e delle opere dei letterati che con essa intrattennero legami più o meno effimeri. In molti casi la vita degli autori si incrocia con gli eventi civili e religiosi che segnarono la storia irpina. Anzi, soprattutto nei secoli che videro l’alternarsi di diverse dinastie al governo del Regno di Napoli (ed il passaggio dal dominio degli Angioini all’affermazione degli Aragonesi, in particolare) le vicende civili condizionarono anche la vita (e, quindi, le attività e le opere) dei letterati irpini.

Altrettanto significativa è la ricostruzione della vita di alcuni scrittori e poeti che operarono tra la fine del XVIII e gli inizi del XIX secolo, allorquando una serie di importanti accadimenti (la Repubblica Partenopea, il governo di Murat, la restaurazione borbonica) segnò la nascita o il tramonto di ideali e valori che influenzarono in misura decisiva e determinante la produzione letteraria del tempo.

“Storia della letteratura irpina” è anche una storia dei circoli letterari operanti nel Regno di Napoli (e proprio a Napoli ed in Irpinia, in particolare). Tra tutti si segnala per la sua specificità irpina l’Accademia dei Dogliosi, che conobbe un periodo di singolare successo negli anni del principato di Maria de Cardona (lei stessa letterata) e di Francesco Marino Caracciolo, governanti illuminati di Avellino. In generale, poeti e scrittori irpini furono particolarmente attivi nelle varie Accademie. In alcuni periodi, anzi, furono proprio i letterati delle aree interne a sostenere il peso di un dibattito culturale che nella capitale si era ormai spento a causa delle vicende politiche assai travagliate.

Nondimeno, Napoli restò il luogo fisico (e, quindi, il fulcro) in cui si svolgeva la vita culturale dell’intero reame. L’esodo dei letterati irpini verso la capitale continuò incessante, conoscendo un’inversione di tendenza solo dopo il 1806, allorquando Avellino, divenuta capoluogo di distretto, divenne centro di aggregazione culturale. In realtà, la rinascita (se non, addirittura, nascita) della vita culturale fu diretta conseguenza della diffusione in città delle professioni liberali, fucina di intelligenze che all’interesse per il diritto o per le scienze aggiungevano la passione per le lettere. E proprio quest’ultima circostanza ribadisce una caratteristica (già evidenziata) del ceto letterario irpino (o – quantomeno – di quei letterati catalogati da Garofano), l’essere, cioè, uomini di ampi interessi, dediti, prima ancora che alle lettere, alle arti e professioni liberali o alla teologia.

Terminata la lettura, resta da chiedersi quale sia la valenza di un saggio come quello scritto da Garofalo. È senz’altro un’opera meritoria per diversi profili. Consente, ad esempio, di svelare una galleria di intellettuali per lo più sconosciuti al grande pubblico, persino a quello abituato a frequentare le pagine delle antologie letterarie.

Da questo punto di vista, è significativo che la “Storia della letteratura irpina”, dopo una parentesi dedicata a Giuliano da Eclano, si apra con Rinaldo d’Aquino e si chiuda con Pietro Paolo Parzanese, che rappresentano (il primo più del secondo) i letterati irpini più conosciuti nel periodo che va dal Medioevo all’Ottocento. Tra questi due estremi sono compresi intellettuali che non hanno finora ricevuto molte attenzioni (anche da parte della critica) e che, però, offrono non pochi spunti di interesse. E, ancora, altro merito dell’autore è quello di avere descritto alcuni contesti culturali che l’Irpinia conobbe in periodi storici particolarmente felici.

È, infine, apprezzabile il rigore dell’autore nell’analisi e nella valutazione delle fonti, di modo che trova giustificazione anche la rivisitazione critica di alcune ricostruzioni contenute in altri scritti. Sulla base di queste premesse è lecito attendere con interesse la pubblicazione di un secondo volume riguardante il periodo successivo a quello già considerato dall’autore. Nella prosecuzione dell’opera, infatti, il lavoro di Garofalo offrirà spunti di interesse ancora più rilevanti, che – per di più – si riferiranno ad autori che certamente non ebbero legami “effimeri” con l’Irpinia.

 

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