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    03/07/2024

La formazione della classe dirigente nel meridionalismo politico di Guido Dorso

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Ferruccio Parri con Guido Dorso alla redazione di Napoli de L'Azione nel luglio del 1945AVELLINO – Da qualche anno si è riaperto una sorta di “caso Dorso” nel Paese. L’improvvisa riscoperta del problema del Mezzogiorno ha recato altresì la riscoperta di Dorso. Su un quotidiano d’oggi lo storico Sabbatucci lo ha citato parlando del sempiterno ritorno del “metodo Depretis” nelle vicende italiane, ovvero il nodo patologico nazionale: il trasformismo.

L’anno scorso ai “Cantieri Aperti” di Torino al centro del dibattito è finita la ristampa del celebre Appello ai meridionali scritto da Dorso, curato dal giovane Raffaele Molisse per la casa editrice dell’Archivio Bobbio (Aras, Fano 2015), ma anche l’antologia di testi dorsiani, Un delitto storico, curato da Paolo Saggese et alii (Delta 3,2015). Dell’avvocato avellinese venivano sottolineate dagli studiosi presenti i suoi concetti-chiave, da “conquista regia” a “trasformismo”, da “logica del sistema” a “l’ora dei fiancheggiatori”, così ben tratteggiata dall’articolo del 19 giugno 1924 sul Corriere dell’Irpinia. È la “logica del sistema” a trionfare contro un intero Paese che sperava di scrollarsi di dosso, insieme, il regime e la monarchia. L’azione reazionaria dei fiancheggiatori evidenzia il carattere gianesco, bifronte, del fascismo, reazionario e rivoluzionario insieme.

È il momento topico in cui Mussolini mette via ogni possibile “seconda ondata” invocata a gran voce dai “rivoluzionari” impenitenti in camicia nera e riporta al re, a due anni di distanza dalla marcia su Roma, “l’Italia di Vittorio Veneto”: una nuova “conquista regia”? Certo! Anche le “vecchie cariatidi del Mezzogiorno” sono parte attiva dei “fiancheggiatori”, “una schiera sterminata di gente di ogni risma e di ogni sentimento”, tutti insieme uniti dal compito supremo di “isolare e rigettare nell’impotenza tutti i migliori, per collezionare una nuova schiera di arrivisti e di servitori, disposti a continuare la grande tradizione nazionale [al fine] ancora una volta di alterare e corrompere il naturale processo di formazione della classe politica”.

In fondo è questo il nodo storico che disegna anche il fallimento delle opposizioni e la tragica fine dell’Aventino. Al fianco del fascismo, nell’ora della sua estrema crisi, a un passo dal baratro, vien riesumato d’incanto il “vecchio ceto dirigente dell’Italia monarco-conservatrice”, quei “fiancheggiatori”, da Federzoni a Bonomi, decisi a dar via libera al regime contro tutto e contro tutti, con la complicità dei Savoia. È lo stesso ceto politico che, contro Giolitti e contro la maggioranza del Parlamento, aveva trascinato, nella cosiddette “radiose giornate” del 1915, il Paese in un’inutile strage con la pretesa di voler completare l’opera risorgimentale: nient’altro che rafforzare la “conquista regia”!

Come scriverà successivamente Dorso in Un delitto storico sulla rivista di Riccardo Bauer, Realtà politica, nel 1945, il vecchio ceto politico-conservatore mirava a “alterare e corrompere il naturale processo di formazione della classe politica”, ossia “non solo perpetuare l’ingiustizia storica, che patirono nel 1922 le nobili formazioni affiorate nel primo dopoguerra, ma altresì estenderla alle generazioni successive…”. “Un delitto storico” è stato fondamentalmente questa alterazione permanente del processo di formazione di una classe politico-dirigente, anche con l’assassinio come nel caso Matteotti, un metodo esteso esattamente tredici anni dopo, nel 1937, a Carlo e Nello Rosselli pugnalati a Bagnoles-de-l’Orne dai cagoulards al soldo dell’Ovra.

Ma, nel 1945, mentre le formazioni partigiane, da Dorso definite “l’organizzazione armata del popolo”, lottano per scacciare definitivamente dal Paese i tedeschi invasori e i loro alleati fascisti, il problema è come far nascere una nuova “organizzazione democratica del Paese, che già appare smentita dal tentativo di rafforzamento della vecchia struttura dello Stato”, dal permanere della vecchia classe politica pre-fascista. Ma se Bonomi ed altri erano la continuità del vecchio Stato liberal-conservatore, che aveva dato via libera al fascismo nel 1922 e nel 1924 con l’apporto dei “fiancheggiatori”, non mancano ora simboli di coerenza, di coscienza morale e di probità politica, persino nel Sud ove la vita pubblica era troppo spesso un contrasto permanente tra individui in una esasperazione personalistica e in una “lotta di municipio senza alcuna luce ideale”.

Luigi Sturzo, Gaetano Salvemini, Tommaso Fiore sono sopravvissuti al fascismo e sono un esempio vivente per riuscire a costruire, finalmente, un’altra Italia. “S’approssima l’ora delle grandi risoluzioni: l’ora in cui la vecchia Italia, vissuta fortunosamente dal 1865 al 1943, dovrà crollare […] infatti, secondo la logica più elementare, la demolizione deve precedere la ricostruzione”. In fondo è questa la scommessa di Dorso, la sua linea di continuità dal primo al secondo dopoguerra, dal confronto con Sturzo e Salvemini nel Mezzogiorno nell’imperversare del fascismo alla volontà di compiere finalmente nel 1945 quel che non era riuscito dopo la prima guerra mondiale. Ed in questa riedificazione d’Italia anche il Mezzogiorno deve fare la sua parte per risolvere il problema cruciale, il problema dei problemi: far sorgere  una nuova classe politica del tutto aliena dalle “vecchie cariatidi” meridionali.

Il “meridionalismo politico”, per l’irpino, “deve avere un’impostazione politica propria”, infatti “dobbiamo tentare di elaborare un’élite seria, preparata, organizzata […] oppure dovremo al momento buono lasciare che le plebi meridionali si abbandonino a una vasta serie di jacqueries?”. Così scriveva il 31 agosto del 1925 sul Giornale delle Puglie per intendere che se era poi necessario passare a un “meridionalismo applicato”, come ebbe a scrivere poi nello stesso anno, questo non poteva non esser altro che l’autonomismo politico nella sua più completa espressione. Dorso elabora una vera e propria strategia politica in un’autentica chiave di “realismo politico” facendo i conti con la teoria della classe politica di Mosca e Pareto. Ed in tal senso mi sembra quanto mai opportuno ribadire l’episodicità dell’esclamazione in veste interrogativa che Dorso si ritrovò a scrivere su Irpinia Libera il 13 novembre del 1943 nel noto articolo Ruit Hora!

È una  frase divenuta famosa, alla quale è stato da sempre “impiccato”  sino a tentar di snaturarne il pensiero, sino a farlo diventare una sorta di imbelle ed impotente sognatore: “Ma esiste una nuova classe politica nel Mezzogiorno? Esistono cento uomini d’acciaio, col cervello lucido e l’abnegazione indispensabile per lottare per una grande idea?”. Si è dinanzi a chissà quale astratta, utopica rielaborazione teorica o è soltanto il grido esasperato di un uomo, che è stato per  vent’anni “esiliato in patria” sotto il fascismo e che ora richiede, a gran voce, se vi sono finalmente uomini capaci di mutare alla radice il corso  degli eventi della vecchia Italia, “vissuta fortunosamente dal 1865 al 1943”,  alla quale si presenta  l’occasione storica del riscatto?

Se si finisce una volta per tutte con l’assurda storiella dei “cento uomini d’acciaio”, riproposta asfitticamente a ogni convegno o commemorazione dorsiana, ci terrei a far presente che Dorso soleva scrivere che  “c’è un mezzo più sicuro per dominare la politica ed è quello di teorizzarla”, mostrando di esser un uomo del tutto alieno da immagini semplicistiche e rapsodiche. Scriveva nel 1944 a Manlio Rossi-Doria in una lettera, ora compresa nel Carteggio pubblicato dall’indimenticabile segretario del Centro Dorso, Bruno Ucci: “Qualche volta ho l’impressione che nessuno lavori, che tutti aspettino per lavorare: chi dovrebbe costruire  aspetta per costruire, chi dovrebbe far politica aspetta a farla, chi dovrebbe governare aspetta per governare”. Come non rammentare che in tal senso si è espresso anni fa pure un protagonista della prima Repubblica, Ugo La Malfa, che titolò  un testo: Intervista sul non-governo (Laterza, Bari 1977)?

È una base seria per riproporre, a partire dalla condizione del Sud, la questione storica della formazione di una classe politica? Dorso era solito scrivere che la formazione di una classe politica è un “mistero della storia”, talora un “mistero divino”, in quanto “una classe politica è la più misteriosa delle formazioni umane”. Ma per Dorso la formazione di una classe politica è veramente così misteriosa o non si è  dinanzi  alla più dissacrante battuta del suo finissimo humour?

 

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