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    03/07/2024

Ritorna in pubblico la statua di «Carlucciello», il re di bronzo caro agli avellinesi

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Carlo II d'AsburgoAVELLINO – Finalmente oggi, alle ore 10, l’inaugurazione ufficiale: si apre al pubblico il Museo civico di Villa Amendola. L’evento, dopo numerosi annunci, era atteso da tempo, con curiosità ed ansia, dalla popolazione irpina. Tre le sale che lo compongono: la sala dei Caracciolo e due sale destinate a conferenze e consultazioni multimediali. Ciò che, però, fa più felici gli avellinesi è il ritorno di “Carluccio” tra la gente che lo ama. Torna, infatti, ad essere esposta al pubblico godimento estetico, presso il Museo civico, la piccola statua del “Re di bronzo” che dal 1668 fino al giorno del terremoto (23 novembre 1980) sormontava l’obelisco di Carlo II d’Asburgo in Piazza Amendola.

Questo piccolo gioiello della produzione artistica di Cosimo Fanzago nell’Avellino del Seicento viene rimesso in mostra  insieme a due busti in pietra raffiguranti una dama e un cavaliere, visibili sino al giorno del sisma nelle nicchie superiori della fontana di Bellerofonte in Corso Umberto I.  È accertata ormai, o almeno è pienamente credibile, la committenza dell’opera al Fanzago da parte del principe Marino Caracciolo. Un documento attesta che il principe di Avellino e Cosimo Fanzago già si conoscevano nel 1656 ed è da presumere che ancor prima l’artista bergamasco avesse lavorato ad Avellino per Francesco Marino Caracciolo.

L’idea di realizzare un obelisco ad Avellino con la statua del re di bronzo potrebbe essere venuta spontaneamente al Fanzago probabilmente dopo che egli ebbe partecipato in prima persona nel 1660 alla cerimonia di inaugurazione della guglia di San Gennaro a Napoli. La realizzazione di qualcosa di simile anche ad Avellino avrebbe potuto costituire ulteriore prova tangibile, nonché inestimabile testimonianza della sua devozione alla casa regnante. E verosimilmente proprio in quell'occasione il principe Caracciolo avrebbe preso contatto con l'artista bergamasco per affidargli la progettazione del rinnovamento della città irpina scegliendo la piazza principale come luogo in cui collocare le opere simboliche della potenza e munificenza della nobile famiglia dei Caracciolo, dal momento che in questa piazza (detta la “piazza dei mercanti”)  si era concentrata e sviluppata, ormai, la vita cittadina facendo perno sulla Dogana, insostituibile centro di uno sviluppo  cittadino polivalente (sociale, giuridico, commerciale, amministrativo).

I lavori per la realizzazione della guglia iniziarono nel 1668, ma l'opera subì nel tempo modifiche che in qualche modo ne falsarono l'aspetto. Definito da Cantone “pallido riflesso delle guglie napoletane “ e “ meno fastoso di queste”, l’obelisco di Avellino (che il De Franchi già nel 1709 attribuiva al Fanzago) “è molto semplice ed elegante nella sua struttura in marmo alla quale sono accostati bronzi di vario genere e di preziosa fattura” (G. Cantone, Guglie fontane di Cosimo Fanzago in Napoli Nobilissima, Napoli 1974, pag.53). Attualmente si eleva su una larga pavimentazione degradante verso i bordi dove un breve spazio quadrato a mo’ di recinto viene delimitato nei quattro angoli da altrettante colonnine in pietra culminanti in sfere marmoree.

All’origine esso doveva assumere una struttura più complessa, come osservano Giovan Battista Pacichelli che, nel Regno di Napoli diviso in dodici province lo descrive munito di “vago intreccio di marmi e bronzi”, e Serafino Pionati che, nelle sue Ricerche sull’istoria di Avellino del 1829, ricorda l’esistenza di una lapide poi scomparsa di cui il testo viene riportato in un’altra lapide successiva, in bronzo, apposta all’obelisco il 5 giugno 1989.

Tuttavia nulla induce a pensare che l’aspetto originario, articolato in due sovrapposte composizioni piramidali, dovesse essere sfarzosamente barocco in virtù di decorazioni, balaustre, festoni, capitelli, volute, o altre bizzarrie che, infatti, non ci sono sopravvenute. Siamo indotti a credere che l’equilibrio compositivo d’insieme prevalesse su tutto, così come si configura attualmente. Possiamo se mai verosimilmente supporre che il basamento, insieme col piedistallo, potesse essere all’origine meno elementare ma più imponente. Il piedistallo, di forma piramidale, è composto da più pezzi sovrapposti.

È documentato, comunque, che l’obelisco abbia subito molte e pesanti trasformazioni in oltre tre secoli di storia. Nel 1974, come riferisce la Cantone, fu persino trasportato (smontato e rimontato) in un punto diverso dell’antistante piazza per fungere da spartitraffico. In cima all’obelisco, come s’è detto, realisticamente rappresentato nel suo aspetto infantile, fa bella mostra di sé, con simpatica ostentazione di spavaldo atteggiamento, il piccolo re, il "reuccio", Carlo II d'Asburgo, succeduto nel regno di Spagna al padre Filippo IV, nel 1665, all'età di appena quattro anni. Un’efficace quanto suggestiva descrizione della statua che ritrae il principino ce la offre Vega De Martini: “Di pregevolissima fattura anche la statua di Carlo II né più né meno di un bambino capriccioso vestito alla grande, col cappello piumato e l’abito della festa, corrucciatissimo non si sa se per qualche affare di stato non andato come doveva o per non averla avuta vinta”.

L'omaggio al principino (che all'epoca dell’esecuzione dell’opera aveva solo sette anni) da parte della città di Avellino va messo in relazione ad una probabile necessità propagandistica avvertita dall’autorevole figura politica che proprio in quegli anni aspirava ad ottenere il titolo di “Grande di Spagna”.  Dell’obelisco possiamo ritenere originali la statua del "re di bronzo", i due rosoni bronzei in ciascuno dei quali è scolpito a rilievo un fiore a più petali circondato da foglie e, di dimensioni leggermente più grandi, l'autoritratto del Fanzago in bassorilievo bronzeo.

Va esclusa definitivamente, ormai, l’ipotesi che l’autoritratto possa essere, invece, il ritratto di Carlo d’Asburgo. Questo “autoritratto” a bassorilievo bronzeo, infatti, è quasi identico a quello che il Fanzago realizzò in marmo per la guglia di San Gennaro a Napoli e che reca la firma incisa dall’autore: “Eques Cosmus Fanzagus fecit”.

Relativamente all’epoca di realizzazione, tra i due  medaglioni intercorre una differenza solo di  otto anni, essendo stato datato quello napoletano 1656. La guglia di San Gennaro fu inaugurata nel 1660 e la guglia di Avellino nel 1668. Vega De Martini fa osservare opportunamente la singolare somiglianza tra la statua del re di bronzo di Avellino e quella in marmo posta sulla facciata dell’Ospedale di San Gennaro dei poveri a Napoli, assegnandole entrambe alla mano di Cosimo Fanzago.

Giustamente la studiosa dichiara di non comprendere “su quali basi, nell’ultima guida del Touring Club di Napoli, la statua in marmo nella facciata di San Gennaro a Napoli sia attribuita a Bartolomeo Mori, allievo di Cosimo Fanzago”. L’obelisco con la statua del re di bronzo ha subito nel tempo molte e travagliate vicissitudini a causa soprattutto di terremoti, incendi ed atti vandalici. Oggi, restaurato, viene riconsegnato alla pubblica fruizione della popolazione, tanto affezionata al suo “reuccio” di bronzo.

 

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