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    03/07/2024

L’Irpinia celebra De Sanctis e Mancini, fondatori della nuova Italia

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Francesco De Sanctis e Pasquale Stanislao ManciniAVELLINO – “Nel mese di novembre dello scorso anno siamo stati ricevuti dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il quale ci ha espresso la sua volontà di poter essere presente in Irpinia per render omaggio ai due grandi irpini dell’Ottocento, Francesco De Sanctis e Pasquale Stanislao Mancini, di cui il prossimo anno ricorre il bicentenario della nascita”: ad annunciarlo è stato, nel corso della conferenza stampa svoltasi lunedì scorso nella sala Grasso di  Palazzo Caracciolo, l’ex europarlamentare Giuseppe Gargani in qualità di componente del comitato nominato dal Consiglio comunale di Castel Baronia per commemorare la figura del grande giurista irpino fondatore del diritto internazionale che proprio a Castel Baronia ebbe i natali nel palazzo oggi divenuta sede del Comune.  Si muovono, dunque, le massime cariche dello Stato per rendere omaggio a due autentici protagonisti della storia d'Italia come già successe nel 1983, in occasione del centenario della morte di De Sanctis, quando alla biblioteca provinciale di Avellino fu Giovanni Spadolini, allora ministro della Difesa, a ricordarne la figura, e nel  novembre del 1988, in occasione del centenario della morte di Mancini, quando ad Ariano Irpino e ad Avellino si ritrovarono il presidente della Repubblica Francesco Cossiga, il presidente del Consiglio Ciriaco De Mita ed il presidente del Senato Giovanni Spadolini.

Gargani ha anche annunciato una proposta di legge dei senatori Luigi Compagna e Cosimo Sibilia per sostenere le celebrazioni in onore di Mancini e De Sanctis che, lo ricordiamo, furono tra i protagonisti della nuova Italia che stava venendo fuori all’indomani dell’Unità. A coordinare le celebrazioni in preparazione sarà il presidente della Provincia, Domenico Gambacorta.

Il convegno di apertura delle celebrazioni dedicate a Pasquale Stanislao Mancini si è svolto giovedì scorso nel salone della scuola dell’Osso a Castel Baronia con la partecipazione degli alunni delle scuole cui è stato distribuito un opuscolo sulla figura e sull’opera del grande giurista e uomo politico.

Il Consiglio comunale di Castelbaronia, paese dove Mancini ebbe i natali il 17 marzo 1817, con delibera del 26 maggio 2015, ha provveduto a nominare un apposito comitato che predisponga e pianifichi conferenze, dibattiti e seminari con la partecipazione di eminenti rappresentanti della politica, della cultura e del diritto. Del comitato fanno parte il sindaco Felice Martone e tutti i consiglieri comunali in carica, va a dire  Carmine Famiglietti, Fabio Montalbetti, Michele Capobianco, Giovanna Romano, Antonio Russo, Giovanna Colella, Sonia Addesa, Carmine Cogliani, Patrizia Reale, Giuseppe Costantino. Ci sono anche gli ex sindaci Dante Tedesco, Domenico Salvatore Montalbetti e Vito Salvatore.

Agli amministratori di Castelbaronia si affiancheranno personalità del mondo della cultura e della politica tra cui Ciriaco De Mita, Sabino Cassese, Ortenzio Zecchino, Gerardo Bianco, Giuseppe Gargani. E ancora: Luigi Famiglietti, Rosa D’Amelio, Vittorio Mele, Benito Melchionna, Rocco Colicchio, Vito Ciriello, Massimo Vitale e Pilade Frattini, Franco Di Cecilia, Domenico Gambacorta, Angelo Cobino, Rosaria Bruno, Salvatore Salvatore, Rino Mele, Paolo Saggese, Michele Ciasullo, Giovanni Orsogna, Costantino Firinu, Marcello Marchetti, Pompilio Dottore. Il coordinamento della commissione è stato affidato all’ex sindaco di Castelbaronia e attuale presidente della Comunità montana dell’Ufita  Carmine Famiglietti.

Le celebrazioni avranno il compito di studiare la figura di Pasquale Stanislao Mancini come uomo, giurista, politico, patriota e operatore culturale. Personaggio unico e particolare della storia italiana  “era – come scrive in una biografia il suo contemporaneo Enrico Pessina, valente docente di Diritto costituzionale nell’Università di Bologna e successivamente professore di Diritto e procedura penale a Napoli – uno dei pochi sopravvissuti di quella forte generazione che consacrandosi alla religione del dovere, ha riconquistato all’Italia il suo posto tra le nazioni”.

Mancini, già dall’infanzia aveva manifestato uno spirito non comune e una capacità immediata di apprendimento sotto la guida della madre Maria Grazia Riola, prima, e di Nicola Boscero, poeta e teologo del seminario di Ariano Irpino, dopo. Appena ventenne cominciò ad esercitare l’avvocatura e immediatamente guadagnò la fama di eccellente giurista e oratore efficace. In proposito, ancora Pessina scrive: “Egli scelse l’avvocheria non come strumento di copiosi guadagni nella vita, ma perché consentanea alle due note proprie dell’indole sua, cioè l’indipendenza dell’animo e l’impulso invincibile a lottare con coraggio a tutela dei deboli”. Forse fu proprio questa inclinazione naturale che gli evitò di essere solo un semplice avvocato e gli consentì di acquisire la dignità di giureconsulto, “il quale nella soluzione delle quistioni arreca sempre quella luce che proviene dall’ampia dottrina giuridica e dal padroneggiare l’interpretazione delle fonti”.

La sua naturale inclinazione verso lo studio e l’approfondimento della filosofia diritto lo portarono in poco tempo a comporre discorsi in forma di lettere che rispondevano ad altrettante lettere del filosofo Terenzio Mamiani, allora esule a Parigi, “intorno al problema filosofico del diritto in generale ed in specie dei fondamenti giuridici della pena”. La sua bravura e la profondità delle sue meditazioni sul diritto lo portarono all’insegnamento, ad educare le menti delle giovani generazioni e a studiare la natura dell’uomo e delle società umane. “Le sue lezioni – scrive Pessina – col duplice lume della filosofia e della storia dichiaravano alle nostre menti l’illegittimità di un sistema penale al cui sommo stava l’estremo supplizio, la necessità di riformare la pena sul criterio della rigenerazione del colpevole…”.

Mancini aveva praticamente avviato la discussione giuridica sulla eliminazione della pena di morte dal nostro sistema penale. Intanto cominciavano a soffiare i venti del Risorgimento. E qui Mancini diede prova del suo senso di libertà moderna e manifestò le profonde convinzioni sul diritto imprescrittibile dei popoli all’autonomia.

Nel 1847, i fermenti che agitavano la penisola italiana e la rivolta in Sicilia convinsero il re Ferdinando a concedere la Costituzione del 1848, ma nel suo animo già era pronto ad abolirla non appena fossero stati spenti i bagliori della rivolta siciliana. Fu convocato il Parlamento napoletano. “Tra gli eletti del popolo scrive Pessina – fu il Mancini… Egli fu l’autore di un indirizzo inviato a nome del popolo napoletano al re Ferdinando per la spedizione delle milizie nell’Italia superiore alla guerra santa dell’indipendenza. Egli distese nella terribile giornata del 15 maggio la protesta sottoscritta dai membri della Camera dei deputati disciolta con la forza. Dopo il secondo ed ultimo scioglimento della Camera, egli nel marzo del 1849 rimase intrepido al suo posto, iniziando come avvocato il sistema delle coraggiose difese nei giudizi di Stato che cominciavano”.

Questo comportamento adirò fortemente il re e contro Mancini fu spiccato un mandato di cattura. L’illustre irpino fu costretto a imbarcarsi su una nave francese e a chiedere asilo al Piemonte. Qui ricevette ottima accoglienza: iniziò a fare l’avvocato, ma quasi subito il governo piemontese istituì per lui, nell’Università di Torino, la cattedra di diritto internazionale. Nel discorso di inaugurazione del suo insegnamento, “gittando un primo guanto di sfida al dominatore straniero, propugnò che il principio organizzatore del diritto delle genti europee è il principio dell’autonomia delle nazioni, elevando così all’altezza di un vero scientifico e giuridico l’aspirazione suprema della coscienza italiana…”

Con quel discorso aveva fondato la scuola italiana sul Diritto internazionale. Cavour apprezzò molto il suo operato e lo chiamò ad esprimere i suoi pareri su tutte le questioni internazionali. Con la costituzione del nuovo Regno d’Italia fu varie volte deputato e ministro.  Nel corso della sua vita ebbe al suo fianco la scrittrice Laura Beatrice Oliva che gli diede una numerosa prole. Morì a Napoli il 26 dicembre del 1888.

 

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