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    03/07/2024

Delitti incrociati, un giallo politico a Montella

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La prima pagina della ScintillaMONTELLA - “Sono passati ottant’anni, ma il giorno della morte di Ferdinando Cianciulli me lo ricordo benissimo, come fosse ieri. Come seppi dell’uccisione di “don Ferdinandino”, come lo chiamavano tutti in paese? Avevo sei anni nel 1922, ed ero andato a comprare il latte insieme a mia sorella quattordicenne. Lungo la strada la fermarono delle amiche e ci diedero la notizia”.

La testimonianza di Giulio Dello Buono costituì uno dei momenti più veri e toccanti della grande manifestazione che Montella dedicò il 14 marzo del 2002, nell’ottantesimo anniversario della morte, ad uno dei suoi figli più illustri, “l’apostolo del socialismo irpino”, culminata nell’intitolazione a Cianciulli di una lapide commemorativa nella strada che porta il suo nome e in un convegno al cinema “Fierro”. In quella sede, fra la relazione di Mario Garofalo (lo studioso montellese a cui si deve un libro fondamentale su Cianciulli e il socialismo in Irpinia), i momenti teatrali affidati a Claudia Iandolo e gli interventi di alcuni esponenti politici, a chi scrive toccò l’onore di coordinare i preziosi interventi di memoria orale sulla figura e la tragica fine di “Ferdinandino”, come ancora lo chiamavano gli anziani del paese.

Un primo attentato, per le sue campagne politiche e di stampa, Ferdinando Cianciulli lo aveva subito nel 1911. Il mandante era uno dei notabili del paese, Celestino De Marco. Undici anni dopo, la sera del 22 febbraio del 1922, alcuni colpi di fucile caricati “a grosso piombo” posero fine alla vita di Cianciulli. “Ferdinandino” si spense nelle prime ore del giorno successivo, dopo un’angosciosa agonia, durante la quale trovò la forza di indicare agli inquirenti (guidati da un pretore non corrotto, Settimio Ricciardi) i nomi dei presunti mandanti: le famiglie Varallo e Sarni, fra le più ricche e influenti del paese. Cianciulli stabiliva in tal modo un nesso logico-temporale con un altro memorabile omicidio avvenuto due anni prima a Montella, il 9 novembre del 1920, quando la giovane maestra Gina Ceccacci cadde sotto i colpi di fucile esplosi da un ragazzo di 16 anni, Felice Sarni, accompagnato sul luogo del delitto e spinto al terribile gesto dalla madre, Antonietta Varallo.

Un omicidio premeditato, tra i più efferati nella storia d’Irpinia, che solo grazie alla tambureggiante campagna di stampa condotta per oltre un anno da “Il Grido”, il combattivo periodico fondato e diretto dal leader socialista di Montella, portò all’arresto dei colpevoli. Dopo 14 mesi dall’omicidio, e soli quaranta giorni prima del delitto Cianciulli.

Due delitti incrociati?

Il compagno Cianciulli assassinato per vendetta”, titolò senza esitazione l’Avanti! del 25 febbraio. Sennonché la “giustizia” del nascente fascismo non individuò mai, assolvendo gli imputati per “insufficienza di prove”, i mandanti e gli esecutori dell’omicidio Cianciulli (derubricato nella sentenza a “mafiosa faida di Comune”), ed attribuì quello di Gina Ceccacci al solo Felice Varallo, che avrebbe agito – secondo la Corte d’Appello di Napoli – in totale autonomia e in stato di infermità mentale.

È una storia terribile e avvincente, quella dei delitti incrociati di Montella (persino più del coevo “delitto d’onore” di Lapio reso celebre dalla penna di Giovanni Arpino), che meriterebbe l’attenzione di un grande regista o il rigore narrativo di uno scrittore di vaglia. L’uno e l’altro potrebbero senz’altro avvalersi proficuamente di una recente e preziosa pubblicazione a firma di Cecilia Valentino, quotata docente e studiosa avellinese, edita da Mephite: Delitti incrociati, presentato con successo di recente anche nell’ambito del “Book Festival” a Quaglietta.

Grazie a un lavoro di ricerca appassionato e rigoroso sui documenti, l’autrice riesce a ricostruire dettagliatamente non solo le fasi salienti dei due delitti (e dei lunghi processi che ne seguirono) ma soprattutto il contesto storico ed il clima culturale dell’epoca, con un’attenzione particolare per le tematiche e gli aspetti sui quali si concentra da tempo il suo percorso di studio: la condizione femminile, le istituzioni educative, l’influsso dell’editoria e della pubblicistica nazionale sulle culture locali. La ricostruzione complessiva dei fatti – sottraendosi l’autrice alla suggestiva ma insidiosa tentazione della fiction – ne guadagna pertanto in organicità e spessore, senza perdere il nesso tra l’intreccio e l’analisi dei due episodi di sangue.

Particolarmente felice è la scelta di narrare i fatti attraverso il filtro delle opposte sensibilità e dei rispettivi punti di vista delle due donne del “caso Ceccacci”: la giovane, sensibile e anche spigliata – per i tempi ed i luoghi - maestra elementare Gina, vittima a soli 22 anni di una folle e violenta esplosione di gelosia; e Antonietta, l’artefice dell’omicidio, di cui la Valentino cerca di scrutare con rispetto i tormenti e la psicologia di moglie più volte tradita e ferita, che tuttavia nessuna attenuante generica e specifica può neanche lontanamente giustificare per il duplice ed efferato gesto compiuto: la premeditazione dell’assassinio della (presunta) amante del marito, Antonio Sarni (un “don Giovanni in diciottesimo, sfornito di ogni senso morale”, secondo la definizione di un sostituto procuratore del Tribunale di Sant’Angelo) e, soprattutto, il coinvolgimento nel delitto del figlio appena sedicenne, di cui non esita ad armare la mano, diventando inevitabilmente, oltre all’esecutore materiale, la seconda vittima dell’omicidio.

Un libro da leggere e da discutere, insomma. Aspettando un nuovo Arpino…

 

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