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    03/07/2024

Il ricordo/Dall’Irpinia a Napoli la parabola artistica di Giuseppe Antonello Leone

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Giuseppe Antonello LeonePRATOLA SERRA – La formazione di base nel suo paese nativo, il salto di qualità a Napoli, l’affermazione definitiva su scala internazionale: la parabola artistica di Giuseppe Antonello Leone, al pari di tanti irpini illustri, si è sviluppata attraverso due poli distinti ma complementari, in un rapporto dialettico e creativo tra le solide radici in provincia e la scoperta di nuovi e più ampi orizzonti nella metropoli del Sud.

Lo scultore e pittore irpino scomparso il 26 giugno scorso era nato a Pratola Serra nel 1917 e si formò da bambino nel laboratorio del padre e di nonno Giuseppe, scultori del legno, e successivamente presso la Scuola d’Arte per la ceramica di Avellino, direttore Emanuele de Palma, dove nell’anno scolastico 1933-34 si diplomò “Maestro d’arte”.

Lo stesso Leone, in diverse interviste, ha ribadito l’importanza dell’ambiente irpino sulla sua vocazione artistica: “Oltre agli stimoli avuti nel laboratorio di mio nonno – ricorda in un colloquio con il critico Maurizio Vitiello – nella bottega di mio padre e nelle scuole elementari, dal maestro Filippo Giannini, una vera coscienza del “fare”, come linguaggio ed espressione comunicante, prese consistenza con l’insegnamento di Settimio Lauriello (artista futurista), insegnante di Disegno professionale e Decorazione pittorica in ceramica presso la Scuola d’arte di Avellino; tanto che, oltre all’insegnamento scolastico, mi incaricò di preparare dei bozzetti a tempera per decorare, su grandi pareti, la zona destinata all’esposizione dei minerali di zolfo, estratti dalle miniere dei comuni di Tufo e di Altavilla Irpina”.

Il ricordo più compiuto di quella formazione artistica in Irpinia fu pubblicato nell’ottobre del 1958 su un mensile culturale di Napoli, “Nostro Tempo”, con il titolo Esperienza sul problema dell’educazione estetica, ora riproposto integralmente nel primo numero di “Vallea. Annali di letteratura irpina”, edito da Mephite a cura di chi scrive, insieme al diario – insieme delicato e realistico – del viaggio di nozze a Ospedaletto d’Alpinolo scritto dalla moglie, la poetessa e pittrice Maria Padula. Ecco il brano più significativo del testo del ’58: “Eravamo intorno al 1926, quando Lombardo Radice si batteva in favore del disegno infantile, avevo allora nove anni. Nel mio paese questi problemi erano vivamente sentiti. Pratola Serra vantava in quell’epoca due pirotecnici di fama nazionale, diversi stagnini capaci d’intagliare nella latta le forme geometriche più strane e di creare oggetti dalle forme surreali, ebanisti intagliatori e «sanitari». C’era Giuseppe Pistone, architetto di luminarie e apparatore abilissimo. I figli conoscevano tutti il mestiere del padre; i fabbri nelle loro fucine davano al ferro la forma che volevano e Antonio Di Menella, imbianchino audace, caricava le pareti di calce colorata dalle chiazze più strane e bizzarre. Sosteneva che solo così le pareti sembravano più profonde. Il disegno serviva a tutti questi artigiani, e i maestri delle scuole elementari lo sapevano; ma purtroppo un manierismo, residuo del vecchio sistema di copiare e ricopiare da testi, addormentava ogni immaginativa e, per quanto i maestri cercassero di svincolare se stessi da un gusto e da una cultura in contrasto con lo scopo per cui il disegno venne introdotto nelle scuole elementari con la riforma Gentile del 1923, non ci riuscivano, perché la loro formazione artistica era inadeguata. Noi ragazzi a scuola provavamo un grande disagio a copiare cose lontane da noi; chi aveva tendenza al disegno sperava di essere alunno di Filippo Giannini che, tra l’altro, si dibatteva in lavori a traforo e costruiva giocattoli mobili”.

Il percorso artistico di Leone registra una svolta a Napoli, che dal 1929 si impone come uno dei centri del secondo Futurismo, grazie ai soggiorni di Marinetti e all’insegnamento di Emilio Notte, che ottiene la cattedra di pittura all’Accademia di Belle Arti.  Entrambi hanno un peso determinante sulla formazione di Leone nonché sulle tendenze dei “circumvisionisti” Carlo Cocchia, Mario Lepore, Paolo Ricci, Guglielmo Peirce e Antonio D’Ambrosio. Sulla scia di Emilio Notte, alcuni di loro (Ricci, Peirce, lo stesso Leone) aderiranno ben presto all’antifascismo. Ecco come Leone, nello storico convegno a Napoli sui “Futurismi partenopei”, ha rievocato il legame con la città adottiva e quella di origine: “Venivo da un paese della provincia irpina, Pratola Serra, e ogni giorno dovevo alzarmi alle 3 di notte per studiare a Napoli. Fondamentale fu la conoscenza di Settimio Lauriello, che portò a Napoli quella volontà di ribellione e rinnovamento che animava gli ambienti culturali della capitale. Subito fui contagiato dalla sua personalità, dalle sue idee, anche se ciò mi costò l’espulsione dell’Accademia, nel 1937”.

Di straordinaria importanza è il ricordo di un’esibizione di Filippo Tommaso Marinetti ad Avellino: “La mia adesione al Futurismo – disse Leone al convegno di Napoli – fu sollecitata anche dall’incontro con Marinetti, che si esibì al teatro di Avellino con una performance illuminante. Per l’occasione feci filone e raggiunsi il teatro in compagnia di amici. Eravamo ansiosi e intimoriti quando finalmente si aprì il sipario, ed apparve Marinetti con una scatola di fiammiferi ed un pacchetto di sigarette dal nome allusivo: Eva. Lasciò bruciare il primo fiammifero, poi accese la sigaretta e, in silenzio, la fece girare in aria. Il fumo delineava delle forme in movimento, come una scultura. Infine Marinetti baciò la sigaretta e la spense in un bicchiere d’acqua. Allora compresi la forza comunicativa dei gesti”.

 

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