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    03/07/2024

Nell'Irpinia del secondo Ottocento il Viaggio elettorale di De Sanctis

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Francesco De SanctisMORRA DE SANCTIS – In Un viaggio elettorale Francesco De Sanctis fa il resoconto di un’aspra lotta politica condotta nel fantastico e invernale paesaggio dell’Alta Irpinia nel gennaio del 1875. Tanti sono i modelli che ne influenzano la stesura: Dante, Sterne, Manzoni, d’Azeglio e soprattutto Heine, il cui poemetto Germania (1844), costituisce, con lo sterniano Viaggio sentimentale, il riferimento letterario principale. Un testo di apparente semplicità cronachistica, che, mentre costituisce un capolavoro di analisi antropologica e politica e il primo manifesto del meridionalismo, rivela una insospettabile complessità, mescolando al diario il genere romanzesco. De Sanctis si sdoppia, quindi, in autore realistico d’un reportage e in eroe di una epica impresa sul modello dei romanzi storici e d’avventura del suo tempo.

Nei quattordici capitoli del Viaggio, apparso a puntate sulla «Gazzetta di Torino» nel 1875 e in volume pei tipi dell’editore napoletano Antonio Morano l’anno successivo, vi sono una serie cospicua di elementi per riflettere sulla natura romanzesca di questo meraviglioso testo di narrativa e di militanza meridionalista.

Nel capitolo tredici, quello intitolato Il Re Michele, ambientato ad Avellino, De Sanctis riesce a sviluppare al meglio i motivi caratterizzanti della sua vocazione alla scrittura d’avventura, al punto da poter dire, riprendendo un suo giudizio sugli scrittori umoristi come Sterne e Heine risalente al 1856, che “l’eroe di questo viaggio è lo stesso autore”.

L’onorevole Michele Capozzi e i suoi avevano fatto di tutto per evitare il passaggio di De Sanctis in città: ritenevano che il suo rientro a Napoli dovesse avvenire in treno via Foggia anziché in carrozza e a cavallo lungo la cosiddetta “strada dello studente”, che da Morra conduceva al capoluogo attraverso la piana di Torella dei Lombardi e quella di Volturara Irpina. I malumori erano tanti e la presenza del professore avrebbe acuito le lacerazioni apertesi nel corso del serrato confronto elettorale tra il barone Francesco Bresciamorra, esponente dell’opposizione appoggiato da Giovanni Nicotera, leader incontrastato della Sinistra storica nel Mezzogiorno, e l’avvocato Francesco Spirito, sostenuto dai capozziani. La vittoria di Bresciamorra nel ballottaggio del gennaio ’75, avvenuto dopo un precedente annullamento del voto, rendeva la situazione piuttosto fluida. Nicotera in persona, in quei giorni, con un gran seguito di carrozze, era stato in Irpinia per una decina di giorni per sostenere i suoi candidati Bresciamorra appunto e Serafino Soldi, avversario del Professore nel collegio di Lacedonia.

De Sanctis, dopo una settimana trascorsa in Alta Irpinia, battuta dal vento e dalla pioggia, sfidando una situazione politica complessa, giunse ad Avellino nella giornata di sabato 23 gennaio 1875, scortato da Romualdo Cassitto e da don Marino Molinari, il prete di Morra artefice della venuta del Professore nel suo collegio elettorale e plenipotenziario di Re Michele. Prese alloggio al Convitto Nazionale, che gli avversari e i giornalisti avellinesi ribattezzarono con esplicita malevolenza l’Hotel Colletta. In città il professore visitò Carlantonio Solimene, padre di Catello, in quel momento a capo dell’amministrazione comunale, vicino alle posizioni nicoterine e, di conseguenza, avversario di Capozzi.

Al termine di una faticosa giornata di saluti e di incontri, De Sanctis nella serata decise di rivedere un vecchio e fidato amico: “Fatte le visite, ancora inquieto ed un po’ eccitato, mi raccolsi con un amico intimo, e stemmo un pezzo solo con solo”. Il racconto di questa misteriosa conversazione può considerarsi una soluzione letteraria, così come il dialogo con il teologo Antonio Pescatori nel capitolo quarto, ma non è da escludere che il colloquio sia realmente avvenuto. Ad Avellino De Sanctis, dove aveva svolto le sue funzioni di governatore della provincia tra il settembre e l’ottobre del Sessanta, aveva rapporti di familiarità con Raffaele Genovese, discepolo di Lorenzo De Concilj, vicino politicamente al gruppo capozziano, e con l’avvocato Gioacchino Napoleone Testa (Avellino, 1810-1881), anch’egli tra gli assidui frequentatori del club liberale sorto nella elegante villa ai Platani del vecchio generale.

Patriota anticlericale - definito da Michele Capozzi in una lettera del 20 gennaio 1875 amicissimo dell’amico ossia di De Sanctis, edita da Attilio Marinari nel prezioso Il dossier Capozzi e altri inediti (1973) -, Testa, figlio di un ricco imprenditore,  proprietario in città di un importante palazzo in via Seminario e di una frequentata locanda, poi adibita a padiglione militare al Corso Vittorio Emanuele II, era stato capitano della Guardia nazionale durante i violenti moti reazionari che, nell’immediato periodo post-unitario, nel luglio 1861, avevano sconvolto i paesi di Montefalcione, Montemiletto, Lapio, Manocalzati, Sorbo Serpico.

Consigliere e assessore comunale dal 1861 al 1871, aveva avuto rapporti con la loggia massonica diretta dal giornalista Rocco Mercuro: De Sanctis, tra l’altro, era altamente considerato tra i fratelli massoni per la sua adesione agli ideali dell’Ordine. Il sabato sera, se la congettura dovesse rivelarsi fondata, De Sanctis lo incontrò nella sua casa in Piazza Centrale n. 5, a pochi passi dall’obelisco fanzaghiano dedicato a Carlo II d’Asburgo, dove don Gioacchino Napoleone, impenitente scapolo, aveva lo studio legale e la sua abitazione privata.

Nel fitto dialogo tra i due, Michele Capozzi viene descritto con impietosi tratti umoristici: “Non sai chi è Re Michele? Quel basso tarchiato, con quel panciotto in avanti e con quegli occhi sempre su quel panciotto, come se fuori di quello non ci fosse altro al mondo. Mi par quel panciotto in avanti come un tamburo, che suona a raccolta e dice: marche”.

De Sanctis dimostra quanto consapevole realismo vi fosse nelle sue scelte, quanto non fosse disposto a passare per un ingenuo ed efficace strumento degli obbiettivi politici dei suoi sostenitori locali e meno che mai di essere considerato un “covierchio” dei tanti “dietroscena” che avevano segnato la difficile tornata elettorale appena conclusa.

In un contesto dominato da una società politica affollata di indaffarati avvocati e guidata da scaltri tirannelli di provincia, De Sanctis completò volutamente la sua avventura ad Avellino. La scelta, dopo essersi immerso con audacia in una imprevedibile “baraonda”, consacrò non solo le ragioni del suo impegno militante ma la sua aspirazione a scrivere un romanzo, seguendo le piste narrative offertegli sin dalla prima giovinezza, quando frequentava la scuola dello zio Carlo in via Formale 24 a Napoli, dalla lettura appassionata di Sterne e di Heine e dei manzoniani d’Azeglio e Grossi.

Al fantasma del teologo nella notte di buio e gelo polare di Lacedonia aveva promesso di fare un romanzo. Con la pubblicazione del racconto del suo Viaggio elettorale aveva mantenuto la promessa.

 

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