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    03/07/2024

L'Irpinia del dopo Unità nell'epistolario di Aurelio Saffi

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Aurelio SaffiAVELLINO – Il 22 dicembre 1862 segna una data importante per la storia dell’Italia Meridionale: veniva, infatti, nominata una commissione parlamentare che per la prima volta si sarebbe recata nelle regioni dell’Appennino meridionale per acquisire informazioni sul fenomeno del brigantaggio. La Commissione, presieduta dal deputato di Cosenza Giuseppe Massari esponente di spicco della Destra storica, era chiamata, in particolare, ad “indagare le cause del brigantaggio, studiare le condizioni attuali e proporre i mezzi più acconci per battere quel flagello”. Una sorta di Commissione antimafia ante litteram, insomma, con il compito di definire – una volta per tutte – se il nuovo Regno d’Italia aveva di fronte un movimento di natura esclusivamente delinquenziale in parte strumentalizzato dai clerico-borbonici o se, viceversa, i briganti esprimevano un disagio sociale che sfociava in atti di ribellione nei confronti della classe dirigente del neonato Stato unitario. Il compito, che era indubbiamente arduo in considerazione del livello già elevato di scontro che il conflitto aveva raggiunto, fu affidato ad un gruppo di parlamentari che, oltre al Massari, contava la presenza, tra gli altri, di uno dei capi della spedizione dei “Mille” (Nino Bixio), di un deputato irpino di Sant’Angelo dei Lombardi (Achille Argentino, che, però, era stato eletto nel collegio di Melfi) e di un deputato mazziniano della Sinistra democratica (Aurelio Saffi), che era stato il braccio destro di Mazzini in vari tentativi insurrezionali, non ultimo quello che era sfociato nell’esperienza della Repubblica Romana.

Partiti agli inizi di gennaio da Genova, i membri della Commissione il 10 gennaio 1863 giunsero a Napoli, dove si trattennero per quindici giorni. Modificando il programma di lavoro originario, che prevedeva una lunga permanenza in Terra di Lavoro ai confini con lo Stato Pontificio, i parlamentari decisero di recarsi da subito nelle zone interne per mostrarsi “più sollecita delle popolazioni che più soffrono, e più sono infette dall’anarchia da una parte e dal mal governo dall’altra, quali sono quelle della Capitanata e della Basilicata”. È una citazione tratta da una delle lettere di Aurelio Saffi che intrattenne nel corso del viaggio una copiosa corrispondenza con la moglie, una sorta di diario in cui descrisse le zone che la Commissione attraversò. Alcune delle pagine più significative di questo epistolario sono dedicate ad Avellino ed all’Irpinia. Da esse emerge, innanzitutto, un dato interessante: la Commissione decise di fermarsi nel capoluogo irpino per alcuni giorni non solo per indagare sul brigantaggio in sé, ma soprattutto per chiarire alcune vicende legate ai comportamenti tenuti dai rappresentanti dello Stato nel corso delle azioni ed iniziative di repressione del fenomeno. Il riferimento più immediato ed esplicito è quello alla condotta del prefetto De Luca, che, “ardito a combattere il brigantaggio anche in persona, trascese, poi, per più modi, ad arbitri, che la Commissione dovrà indagare” (lettera del 27 gennaio 1863). La vicenda si sarebbe successivamente conclusa in modo inglorioso per il prefetto, che, fatto oggetto di ben due dibattiti parlamentari, fu infine trasferito ad altro incarico nell’ottobre del 1864.

La Commissione partì alla volta dell’Irpinia il 28 gennaio. Il primo impatto fu assai positivo. I parlamentari furono accolti con entusiasmo dalla Guardia Nazionale e dai cittadini di Baiano e degli altri paesi del Mandamento. Alcuni membri della Commissione furono coinvolti persino in un pellegrinaggio improvvisato al Santuario di Santa Filomena di Mugnano del Cardinale. Identica accoglienza calorosa i commissari ricevettero dalla città di Avellino e dai rappresentanti delle istituzioni locali. La popolazione invocava pubblicamente l’intervento dell’Amministrazione centrale per la repressione del brigantaggio, che – evidentemente – non riscuoteva successo e non aveva seguito tra gli abitanti del capoluogo e dei paesi viciniori, che meno avevano risentito delle conseguenze del passaggio dalla dominazione borbonica a quella sabauda. Le reazioni delle popolazioni irpine (o meglio, di Avellino e del suo hinterland) impressionarono favorevolmente i commissari e lo stesso Saffi, secondo il quale l’accoglienza ricevuta era la “prova che le provincie, secondo me, valgono meglio della capitale; e che, sebbene più travagliate, hanno sempre ferma la fede ne’ destini d’Italia, e non sentono le passioni separatiste che dominano in certe classi della città centrale” (lettera del 29 gennaio).

Ad Avellino la Commissione si trattenne due giorni, nel corso dei quali concesse udienza ad alcuni maggiorenti locali e, soprattutto, ad alcuni oppositori del prefetto De Luca, che, come già detto, dalla visita dei parlamentari subì non pochi disagi. Il 31 gennaio i commissari ripartirono alla volta della Capitanata. Il tragitto che dovettero compiere si snodò lungo l’antico cammino consolare che, attraversando la valle del Sabato e quella del Calore, tuttora conduce da Avellino ad Ariano. La bellezza dei paesaggi conquistò Saffi: “i luoghi per cui passeremo, come questi intorno ad Avellino, sono de’ più pittoreschi e belli ch’io m’abbia veduto in Italia. Sono bellissime vallate tra colline e monti che ricordano le più vaghe regioni della Svizzera” (lettera del 30 gennaio); e, ancora: “la via che da Avellino conduce in Capitanata è una delle più belle d’Italia … gruppi distinti di alte montagne formano ad occidente e a mezzodì una scena delle più svariate e pittoresche che siano in Italia” (lettera del 1 febbraio). In queste contrade non allignava il brigantaggio: “non avremo neppure la soddisfazione di vedere un costume di brigante”, scrisse Saffi. Lungo il cammino i parlamentari incontravano un’umanità varia e composita: oltre che patrioti più o meno improvvisati e comici delegati di pubblica sicurezza i commissari incontrarono persino un prete che auspicava l’annessione di Roma al Regno d’Italia: dai “più intelligenti” ai “meno educati” si comunicava il senso di patriottismo.

Di ben altra natura sono le sensazioni che i commissari provarono approssimandosi ad Ariano. All’epoca la città era posta sul confine ideale che separava l’Irpinia dalla Capitanata, e, per certi versi, il territorio pacificato da quello ancora infestato dai briganti. I parlamentari vi giunsero al tramonto del 1 febbraio e furono subito impegnati in una serie di colloqui con i cittadini (“poi venimmo al triste lavoro degl’interrogatori sulla storia e le condizioni della piaga che affligge il Paese”). La sosta nella città del Tricolle fu brevissima; la mattina dopo i commissari ripresero il viaggio verso la Capitanata, preparandosi ad attraversare il valico più pericoloso dell’Italia Meridionale, il Vallo di Bovino, che all’epoca era ancora controllato da varie bande di briganti. Giunto a Foggia, Saffi trovò condizioni sociali, economiche e politiche assai differenti rispetto a quelle osservate in Irpinia: “è tutt’altra vita, tutt’altro costume da quello degli abitanti delle provincie montane. Là una razza forte, energica, generosa d’affetti e di disposizioni; atta anche adesso a risorgere, ad educarsi, a prosperare moralmente e materialmente; … qua, invece, inerzia, viltà, corruzione profonda; un’avidità sordida di guadagni, a costo di qualunque prostituzione o frode” (lettera dell’8 febbraio).

L’Irpinia, la terra della “razza forte”, non avrebbe più suscitato negli anni seguenti l’interesse del Governo e del Parlamento. Fatta salva una brevissima visita di Mussolini nel corso del Ventennio fascista, l’Irpinia non fu più visitata dagli esponenti della politica nazionale; a rompere questa damnatio memoriae fu per primo Alcide De Gasperi ed il suo celebre discorso ad Avellino in Piazza Libertà rivolto agli “irpinesi”.

 

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