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    03/07/2024

Nella città di Guido Dorso la sfida culturale di Sellino

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Elio SellinoPrima ancora di incontrarlo personalmente, conobbi il nome di Elio Sellino quando ricevetti da Carla Gobetti il fascicolo su Piero Gobetti contenuto nella “Storia Illustrata di Torino”. Lo custodisco gelosamente tra le cose più gradite, ricevute all'indomani della mia laurea, con una tesi dedicata proprio al pensiero dell’antifascista a cui Mussolini aveva reso la vita impossibile.

In quegli anni Sellino viveva a Milano dove nel 1967 aveva iniziato la sua collaborazione con la Fondazione Feltrinelli come responsabile della Biblioteca di cui divenne direttore nel 1974. In quel periodo, progettò e avviò esperienze di centri di documentazione e di ristrutturazioni bibliotecarie in varie città, oltre a Milano, a Brescia, a Crema, a Imola e nella Repubblica di San Marino. Testimoniano la fervente attività e l’attenta e accurata capacità di riflessione sui sistemi bibliotecari e, più in generale, sui problemi relativi all’organizzazione delle fonti documentarie le diverse pubblicazioni che curò e firmò in quegli anni. Di lì a poco, nel 1980, fondò la casa editrice Aiep con la quale diede vita al progetto editoriale, di alta divulgazione culturale, delle Storie Illustrate, nella collana “Il tempo e la città”.

Poi Sellino tornò ad Avellino: per ragioni familiari, per accudire l’anziano padre Ranieri, ma anche per ragioni professionali, per prendere in mano le redini del Centro di ricerca Guido Dorso (insieme all’indimenticabile Bruno Ucci, scomparso nel 1992), un’istituzione preziosa per la città e per il territorio, che operò nel solco della tradizione segnata dall’autore della Rivoluzione meridionale. Nacque una proficua attività culturale e Sellino si fece il primo custode del lascito di Dorso, costituito da una biblioteca di circa 900 volumi, da un cospicuo numero di lettere e da una notevole quantità di giornali che rappresentano una fonte documentaria di straordinario interesse per la ricostruzione del pensiero politico degli anni dell’antifascismo e del dopoguerra.

Egli diede vita ad una nuova attività culturale, in un contesto difficile, non dico ostile e indifferente, ma certamente guardingo, segnato e ferito dal terremoto e dalle sfide politiche di quegli anni, mostrandosi capace di attuare idee innovative.

Favorì e anticipò una visione della cultura “in rete”, dato che, prima ancora dell’avvento della rivoluzione digitale, capì con intelligenza che gli intellettuali del Sud avrebbero potuto rompere la pigrizia delle coscienze alleandosi, vincendo i settarismi e adoperandosi per un lavoro che egli definiva “intellettuale, solidale e cooperativo”. Allo stesso modo affrontò, con innovativo spirito manageriale, la riflessione sulle risorse della cultura, intravedendo la possibilità che essa creasse delle reali opportunità di crescita, di condizioni di benessere, soprattutto per i giovani del Sud.

Il forte legame con il territorio si è tradotto in un incessante lavoro di pubblicazioni, prima fra tutti il volume “Gente di Serra”, un racconto corale, un omaggio sincero alla sua terra e alle sue radici, ma anche un volume in cui si delineavano i principi ispiratori del suo impegno di organizzatore culturale: “Non proponiamo – scrisse nella prefazione – la conservazione statica di un territorio solo perché è carico di storia, proponiamo di cominciare a conoscerne la storia e la realtà attuale per fare delle scelte consapevoli”.

L’amore per il proprio territorio in lui si coniugò sempre con la denuncia delle emergenze che in esso si continuavano a manifestare: nella prefazione al volume dedicato alla ricostruzione dell’attività scientifica del Centro Dorso dal 1975 al 2005, Sellino ribadiva, in modo puntuale, lo spirito del suo percorso culturale: “Abbiamo sottolineato la necessità di far leva sulle potenzialità locali, ma questo non ha nulla a che fare con le illusioni localistiche, con nuove forme di autarchia coniugate in termini di campanilismo culturale. L’intero impianto del programma del Centro ha privilegiato e privilegia invece gli scambi e il lavoro comune con strutture che sono parte integrante della tradizione culturale cosmopolita espressasi al Sud lungo la sua lunga storia (…) ”.

Questi intenti si sono tradotti nel tempo in un programma ricco ed impegnativo, articolato in numerosi cicli di lezioni, conferenze, mostre, convegni, tra cui il primo del 1987, che a quarant’anni dalla sua morte, celebrava la figura e l’attualità del pensiero di Guido Dorso.

Nel segno di una più approfondita conoscenza del territorio irpino, ma anche di una decisa volontà di “sprovincializzazione”, Sellino avviò un’interessante attività di ricerca che si è concretizzata nella produzione degli Annali e dei Quaderni, ma anche nella raccolta e nella schedatura dei materiali fotografici relativi alle emergenze storiche, architettoniche e paesaggistiche dell’Irpinia. Egli stesso ha donato al Centro un archivio fotografico di indubbio valore, consistente in oltre 10.000 immagini, che riguardano gli aspetti storico-culturali di alcune città del Centro Nord dove egli aveva operato, nonché una raccolta di alcune migliaia di volumi sulla storia politica e culturale dell’Italia contemporanea ed una ricca documentazione sul movimento operaio e socialista nazionale ed internazionale.

Sono convinta che il segno più importante che Elio Sellino ha lasciato alla nostra provincia consista nell’entusiasmo e nella vitalità con cui egli ha lavorato ed ha affrontato le sfide culturali del nostro territorio, anche in momenti delicati e complessi della vita politica e sociale. È l’eredità che hanno condiviso e raccolto Giuliana Freda, segretaria del Centro Dorso e tutti i suoi collaboratori: il convegno del 12 e 13 dicembre sul tema Archetipi e cambiamento. L’intreccio di economia, arte, cultura e storia: paesaggio e Meridione che si terrà nella sala conferenze dell’ex carcere Borbonico, si inserisce proprio in un filone di ricerca che il Centro ha promosso in questi anni e che ha come oggetto l’indagine sui territori e sulle comunità del Mezzogiorno come possibili soggetti privilegiati per lo sviluppo.

Infine, una piccola annotazione personale, avendo avuto il pregio di collaborare con Elio Sellino: solo a volersi soffermare alla scorza egli poteva sembrare, a tratti, un po’ burbero, un uomo di una certa rudezza, che metteva persino in soggezione. Di lui ricordo i grandi silenzi e poi la sorpresa di una fragorosa risata, che scoppiava improvvisa, quasi ad esorcizzare la serietà di certe riflessioni. Ed è quella risata che ora, più di tutto, mi piace ricordare.

 

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