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    03/07/2024

Boscia, il prete contadino che lottò contro i padroni e il fascismo

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b_300_220_15593462_0___images_stories_Cultura_don_teodorico_boscia.jpgGRECI – Saranno Generoso Picone, responsabile della redazione del Mattino di Avellino, Antonio Di Nunno, l’ex sindaco di Avellino nonché giornalista della Rai, Fausto Baldassarre, docente di filosofia della religione, e Michele Caso, segretario della Uil, a presentare il libro di Antonio Anzivino Teodorico Boscia-Storia di un prete contadino ad Orsara di Puglia, edito da Delta3, nel corso di un convegno in programma, lunedì prossimo, alle ore 17.00, nella sala consiliare del Comune di Greci. Dopo i saluti del sindaco Bartolomeo Zoccano introdurrà i lavori Antonio Sasso, presidente della Pro loco “Arbëreshë”. Le conclusioni saranno affidate all’autore del volume, Antonio Anzivino. Sulla figura e sull’opera di don Teodorico Boscia interviene con questo articolo Antonio Di Nunno.

*  *  *

Non ci siamo messi alle spalle l’atavica arretratezza del Meridione rispetto al Nord d’Italia, eppure ci sembra comunque di appartenere ad un altro mondo, lontanissimo nel tempo, quello dello scontro che fu la costante della società meridionale: il duello micidiale tra contadini e proprietari terrieri (tra questi ultimi,  residui di nobiltà, borghesia parassitaria, presunti “galantuomini”). Il tutto in un contesto di lotte politiche, di scontri sociali che vedeva la Chiesa – a seconda dei casi – sia in funzione “progressista” che “conservatrice”.

Queste considerazioni derivano dalla lettura di un più che interessante libro scritto per raccontare la vicenda umana di un intrepido sacerdote, l’arciprete di Orsara di Puglia don Teodorico Boscia. La storia di Orsara – perché intrecciata a quella di don Teodorico è proprio la vita che si svolge nel paese (allora seimila abitanti) posto al confine tra Irpinia e colli della Daunia  o Capitanata, l’attuale provincia di Foggia) – è efficacemente raccontata, per il cruciale periodo che va dalla fine dell’Ottocento all’ultimo dopoguerra, da Antonio Anzivino nel libro Teodorico Boscia, storia di un prete contadino ad Orsara di Puglia (Delta3 edizioni).

Perché è cruciale quel mezzo secolo di permanenza ad Orsara di don Teodorico Boscia? Perché dalla scelta di don Teodorico quale parroco di Orsara (1904) alla sua morte (1951) c’è tutta la lotta, politica e sociale, che ha consegnato l’Italia alla fase del suo dignitoso accesso al processo europeo. Don Teodorico, nato a Greci, paese di frontiera in tutti in sensi (all’incrocio tra Sannio, Irpinia e Foggiano, ma soprattutto storica enclave di una comunità albanese che da secoli difende la sua identità e la sua lingua d’origine, l’arbëreshë) si avvia subito alla vita ecclesiastica e diventa salesiano. Ad Orsara, dove arriva perché chiede una pausa al suo percorso da salesiano (a Greci il padre ha bisogno di assistenza) giunge dopo tappe significative a Roma, Torino, Livorno, Lucca e Reggio Calabria. Quella pausa, malgrado tentativi di rientrare nella congregazione salesiana per riprendere quello che credeva fosse il suo cammino nelle file della congregazione fondata da don Giovanni Bosco, durerà tutta la vita.

Orsara, peraltro, ad un tiro di schioppo da Greci, contiene tutte le problematicità dei Comuni e dei territori del Sud (povertà, sottosviluppo, lotte anche feroci tra diseredati ed abbienti che porteranno ad occupazione della terra ed assalti al municipio con conseguenti maxiprocessi; da ricordare almeno i fatti del 1902 e del 1909) e in più ha qualcosa di tutto suo: una non piccola comunità di protestanti, valdesi e aderenti all’esercito della salvezza. Non cattolici, dunque, che all’epoca erano per la Chiesa di Roma – allora non proprio dialogante – nemici da convertire. E don Teodorico si mise a “combattere” su tutti i fronti. Contro i benestanti a favore dei contadini e dei poveri; contro gli interessi che esprimevano – con due famiglie rivali che si alternavano in municipio – l’amministrazione locale; contro i nobili che rifiutavano il passaggio di vaste tenute e terreni demaniali a cooperative di contadini; contro il fascismo che intanto era diventato padrone e condizionatore di tutto e tutti (ma in questo caso le uniche armi a disposizione di don Teodorico, usate una sola volta, l’8 settembre 1943, furono le campane…); e poi i valdesi e gli altri non cattolici contro i quali usò sempre l’opera di convincimento e magari “furbate” alla don Camillo.

Alla don Camillo, ma non certo per accomodamenti, ci sembrano oggi certe intemperanze antifasciste come il suo ridurre dal pulpito il credere obbedire combattere in “credere in Dio (non in un uomo falso e bugiardo), obbedire alla legge di Cristo non a quella di un uomo, combattere per la libertà e la dignità della persona. Ed al rientro da una processione di un Venerdì santo, ad Orsara il maggiore evento religioso dell’anno, dal balcone della canonica, controllato e contraddetto da un maresciallo dei carabinieri piuttosto preoccupato esclamò: “Ma che Duce e Duce, l’unico vero duce è il Cristo”. E rivolto al maresciallo ed alla folla che gremiva la piazza, beffardo esclamò (lo faceva ogni anno): “Ho terminato”.

Ma il capolavoro assoluto di don Teodorico Boscia fu la guida dei contadini verso l’emancipazione e l’acquisizione delle tenute dei nobili, in particolare della tenuta di Torre Guevara del barone De Riseis di Napoli. Costituì in cooperativa contadini cattolici (ed anche valdesi) e soprattutto ex combattenti della Prima guerra mondiale (la falange scontenta che aprì la strada allo squadrismo in Italia); indicò una strada nuova per i problemi sociali di Orsara sulla scia di quanto stava accadendo in altri parti d’Italia. Paese all’epoca prevalentemente contadino diviso tra il nascente socialismo (supportato dal cooperativismo) e dalla morente classe dirigente liberale che pure aveva costruito l’unità d’Italia. La Grande guerra fu un sussulto forte che portò tanti a vedere lontano e a capire che c’erano tanti diritti da conquistare e da difendere.

Prima che un corto circuito istituzionale-popolare regalasse al fascismo il compito di riempire i vuoti creatisi in quella fase fu don Luigi Sturzo ad indicare una strada democratica basata sulla giustizia sociale, ovvero sulla fase nuova che l’Italia doveva imboccare per ottenere la salvaguardia dei diritti e della dignità del popolo italiano. In sostanza, la giustizia sociale diffusa a livello popolare doveva consentire il riscatto di tutto il Mezzogiorno. Si trattava, a distanza di un secolo dagli editti napoleonici, di una sorta di fase due dell’eversione della feudalità decisa nel 1806. Il popolarismo sturziano, trascinando finalmente i cattolici in questa grande opera trasformatrice (il veto di Pio IX di partecipare alla vita pubblica italiana – il non expedit –  era ormai caduto) apriva davvero tante possibilità di cambiamento sociale sulla falsariga dell’industrializzazione e del cooperativismo fiorenti nel Nord.

Il fascismo bloccò entrambi questi processi solo che il Sud – fermo ai Borbone ed ai prefetti di Depretis, Crispi, Giolitti – rimase paralizzato. Non a caso fu prevalentemente meridionale sia l’emigrazione di fine Ottocento-inizio Novecento quanto quella – ancora più micidiale, un vero esodo anche verso il Nord Italia (che così costruì il “miracolo economico”) – del secondo dopoguerra quando si arrivò alla desertificazione delle campagne meridionali ed allo svuotamento dei paesi.

Ad Orsara, paese per lungo tempo irpino ma sempre sotto la diocesi pugliese di Troia, si verificò anche un singolare fenomeno di importazione (grazie ad emigranti che rientravano in patria, nel loro paese) di religioni diverse, soprattutto il protestantesimo che fiorì con una non piccola comunità. Don Teodorico Boscia visse in questo tumulto, se ne fece interprete ed osteggiò le ricche famiglie locali, combatté il fascismo mentre molti vescovi (è il caso di quello di Ariano Irpino, Giuseppe Lojacono, alla guida di una diocesi non irrilevante non lontana da Orsara) misero il clero a disposizione del regime mussoliniano.

Fece nascere la cooperazione. Abbracciò in sostanza la causa ed il programma di Luigi Sturzo, programma che fu per lui un altro vangelo. Militante e dirigente in Irpinia del partito dei cattolici, raccolse anche sul finire della sua vita tante soddisfazioni anche se, come tanti, non ha mai visto sconfitte le vere ragioni della povertà del Sud. Ragioni che vengono meglio comprese scoprendo le pagine del libro di Anzivino, e seguendo mezzo secolo di vita del prete di Greci che fu per quasi cinquant’anni anche parroco di Orsara.

P.S. Questo articolo la redazione lo dedica al carissimo amico professor Mario Dattolo di Cesinali che ad Orsara ha insegnato per molto tempo e sempre in quel periodo ci ha parlato dell’Orsara dei nostri tempi facendocela conoscere ed amare.

More images...Aggiornamento del 17 dicembre 2012, ore 20.03 - GRECI - Come annunciato, si è svolto questo pomeriggio nella sala consiliare del Comune di Greci la presentazione del libro di Antonio Anzivino Teodorico Boscia. Storia di un prete contadino ad Orsara di Puglia. A fare gli onori di casa è stato il sindaco, Bartolomeo Zoccano, che ha introdotto i lavori. Sono quindi intervenuti Antonio Sasso, presidente della Pro Loco, il sindacalista della Uil Michele Caso, il professor Fausto Baldassarre, Antonio Di Nunno, l'autore del volume.

 

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