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    03/07/2024

Il convegno/Decentramento, democrazia ed educazione nel pensiero di Leopoldo Franchetti

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Il prefetto Maria Tirone AVELLINO – Una due giorni di studi, dedicata a Leopoldo Franchetti, il Mezzogiorno e la società italiana, si è svolta, presso il circolo della stampa di Avellino, nei giorni 11 e 12 aprile. Il simposio, organizzato dal Comitato nazionale per il centenario della morte di Leopoldo Franchetti e dall’Associazione nazionale per gli interessi del Mezzogiorno d’Italia, entrambe presiedute dall’on. Gerardo Bianco, e programmato con il patrocinio del Centro di ricerca Guido Dorso di Avellino, ha visto l’intervento di numerosi studiosi, locali e nazionali, che hanno posto al centro della loro attenzione l’opera di Franchetti, uno dei principali esponenti del meridionalismo classico, declinandola in quei temi  – si pensi al tema dell’autonomismo e del regionalismo differenziato – che ancora oggi sono al centro del dibattito pubblico e che riguardano, in generale, il problema del rapporto e dello sviluppo delle due Italie.

Storia ed attualità si sono dunque intrecciate nel corso dei lavori, organizzati in due sessioni – la prima nel pomeriggio di ieri, la seconda nella mattinata odierna – presiedute, rispettivamente, da Giampaolo D’Andrea e da Stefano Rogari. Troppi, e troppo densi, i diversi interventi per pensare di proporre un riassunto di ognuno di loro; del resto per chi vorrà approfondire i temi che qui si accenneranno solamente sarà a disposizione, entro la fine dell’anno, un volume, all’interno del quale saranno pubblicati gli atti di questo convegno e che va ad aggiungersi ad un altro, Leopoldo Franchetti, la nuova Destra e il modello toscano – pubblicato dalla casa editrice Rubbettino nello scorso mese di marzo – che raccoglie gli interventi di un altro convegno organizzato nell’ambito delle celebrazioni per il centenario della morte di Franchetti.

Dunque, i temi del convegno. Ad introdurre la figura e l’opera di Franchetti è stato, nel corso del suo saluto inaugurale, Luigi Fiorentino, presidente del Centro Dorso di Avellino, che ha ricordato l’attenzione posta dal politico toscano su alcuni temi – quelli del decentramento, della democrazia, dello sviluppo e dell’educazione – che costituiscono un riferimento ancora oggi attuale.

Leopoldo Franchetti, nato nel 1847, fa parte di quella generazione che, come ha ricordato la professoressa Maria Marcella Rizzo nel suo intervento, «ha scoperto il Mezzogiorno»: nel 1875, infatti, in quell’anno che, riprendendo il titolo dell’intervento di Toni Iermano, ha rappresentato «una data fondamentale per il dibattito meridionalistico», Franchetti pubblicò le Condizioni economiche ed amministrative delle province napoletane. Era, quella, la prima grande inchiesta, «nata nel contesto culturale dominato dal positivismo, secondo il quale – ha ricordato Francesco Barra – le classi dirigenti dovevano governare sulla base della conoscenza delle condizioni della società sulla quale essi governavano», sulle condizioni politiche ed amministrative di quelle che allora venivano chiamate “province napoletane”, ovvero le attuali regioni meridionali.

A quella seguì, nell’anno successivo, l’inchiesta, condotta questa volta con l’ausilio di Sidney Sonnino, sulle condizioni della Sicilia nel 1876. Con queste due grandi inchieste, con le quali Franchetti e Sonnino guardavano alla società meridionale «con gli occhi del sociologo, dell’antropologo, dello storico delle istituzioni», insomma con quelli stessi occhi con i quali, nello stesso 1875, De Sanctis compiva il suo Viaggio elettorale nel collegio elettorale di Lacedonia, nasceva quel grande dibattito noto come questione meridionale, che si sarebbe arricchito, nel 1878, con la pubblicazione delle Lettere meridionali di Pasquale Villari. Un dibattito, quella della questione meridionale, segnato da alcune parole chiave; se si volesse realizzare – seguendo lo spunto proposto da Iermano – un “dizionario della questione meridionale”, questo sarebbe composto principalmente dalle seguenti parole: «riforma, arretratezza, rimedi». A queste parole chiave andrebbe aggiunta quella del «capitale»: in Franchetti la questione del capitale – e della mancanza dei capitali nello sviluppo agricolo del Meridione – è presente in maniera problematica.

Il viaggio di Franchetti e Sonnino, è stato notato più volte nel corso del dibattito, in particolare da Ester Capuzzo, è «un viaggio diverso da quelli del grand tour settecentesco che portavano, nelle regioni meridionali, i giovani europei; è, piuttosto, un grand tour dell’arretratezza», il quale, usato come uno strumento di conoscenza, permette di disvelare la realtà del territorio e della società. E, soprattutto, permette di chiedersi «come mai è stato fatto così poco» verso le popolazioni meridionali. Questo tema si ricollega all’altro, fondamentale, della classe dirigente meridionale. La visione di Franchetti è, da questo punto di vista, «molto schematica e semplicistica», secondo l’interpretazione data da Gerardo Nicolosi nel suo intervento: Franchetti propone, infatti, una visione della società meridionale contraddistinta dalla contrapposizione, da un lato, di una classe abbiente (la grande borghesia terriera) e, dall’altro, di una classe subalterna che deve essere educata e condotta a partecipare alla vita politica. Una visione – e un programma politico – distante da quella di un Salvemini e di un Dorso che, invece, come è noto, rifiutavano tale quadro manicheo, per indirizzare la loro polemica contro quella piccola borghesia considerata, da entrambi, il vero flagello delle regioni meridionali.

Come si inquadra, quindi, il pensiero di Franchetti nel quadro di quel meridionalismo che è stato definito classico? È certamente il pensiero di un conservatore, esponente della Destra storica, attivo in quel momento storico in cui la Destra conosceva il suo declino ai danni di una Sinistra che puntava al governo proprio facendo leva sul malcontento delle regioni meridionali. Ma era un conservatore toscano, appartenente quindi a quella Destra che aveva il suo maggiore esponente in Marco Minghetti e che, per certi versi, aveva posizioni diverse da quella Destra piemontese che deteneva le redini dei primi governi postunitari. Ed era, soprattutto, un conservatore illuminato: discepolo di Pasquale Villari – a sua volta discepolo del De Sanctis – era anche interessato ai problemi educativi e pedagogici e con l’adorata moglie Alice, pedagogista statunitense, fondò una scuola, aperta anche ai figli dei contadini in cui venne ad insegnare Maria Montessori, che poté mettere in pratica il suo modello educativo.

Dunque, una personalità complessa e poliedrica, quella di Franchetti, spesso ingiustamente dimenticato dalla storiografia italiana, come ha evidenziato nella sua relazione Sandro Rogari. E il convegno di Avellino, aperto, dopo i saluti istituzionali del prefetto di Avellino, Maria Tirone, nel ricordo di due intellettuali – Francesco Saverio Festa e Giandonato Giordano – ha rappresentato non solo un momento di riflessione accademica, ma soprattutto un momento di dibattito pubblico che – anche grazie alle “interviste” condotte ai relatori da Gianni Festa – può e deve aprire le coscienze.

 

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