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    03/07/2024

La testimonianza/L’angoscia per il futuro immediato

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Nicola CecereAVELLINO – Ospitiamo un intervento di Nicola Cecere, il giornalista avellinese della Gazzetta dello Sport che vive a Milano.

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Caro Direttore, rispondo con un convinto «sì» alla tua domanda: sembra di essere tornati al novembre 1980? Questa pandemia riporta in effetti tutti noi irpini al dopo terremoto. Ritrovo l'angoscia per il futuro immediato, il dolore per le tante vittime ché se non avevi perso un parente nel tragico computo c'era sicuramente un amico. E ritrovo, dominante, l'incertezza: in questi giorni cosa dobbiamo fare? E ancora: quando finirà? Quando riprenderemo una vita normale? Quando potremo di nuovo farci catturare dai nostri amatissimi hobby?

Mi hai riportato alla mente, Direttore, i giorni della fuga al Nord dell'Avellino. Quel campionato di serie A dopo l'Ascoli, battuto brillantemente al Partenio poche ore prima che si scatenasse l'inferno, ci riservava una doppia trasferta. Partite sulla carta abbordabili: la prima con la Pistoiese, la seconda a Udine. Il giovanissimo segretario tuttofare del club, il nostro amico Pierpaolo Marino, mise in piedi un programma di emergenza, un maxi ritiro, che allontanando i calciatori dalle rovine cittadine poneva al sicuro (c'era sempre il terrore di nuovo devastanti scosse) le loro famiglie.

Venni inviato al seguito di questa squadra in fuga dal terremoto da Gino Palumbo, direttore della Gazzetta dello Sport, (mi avevano preso come corrispondente il primo luglio) con l'ordine di non perdere di vista un solo giorno di quell'improvvisato esilio. Ricordo che Pierpaolo, che pure era giovanissimo, si rivelò un organizzatore fantastico e anche un abile psicologo: spostamenti, alberghi, campi di allenamento. Tutto funzionò alla perfezione. Purtroppo perdemmo entrambe le partite, la prima 1-0 (ma la squadra con la testa non c'era e non ce ne stupimmo) e la seconda 5-4, esito anomalo di un match rocambolesco che ci vide più volte in vantaggio.

Tornammo in pullman, venni ospitato a bordo, viaggio interminabile anche perché di indicibile mestizia: luci spente a bordo, non volava una mosca. Nessuno se lo diceva ma ognuno pensava che quella domenica avevamo dato l'addio alla serie A. Poi, invece, ci fu un miracoloso recupero fino alla punizione con la quale lo stopper di riserva, Venturini, il 24 maggio (data epica), riacciuffando la Roma scattata avanti con Falcao, acciuffò anche quella miracolosa salvezza. Per quanto mi riguarda, da tifoso, quello è stato il campionato più esaltante della mia vita, non so se concordi, Direttore.

A proposito il tifo: l'altra settimana sono stato intervistato da una televisione di Reggio Calabria, appuntamento preso in quanto si era alla vigilia di Reggina-Avellino, e poi mantenuto nonostante ci fosse stato lo stop all'agonismo. I colleghi calabresi mi hanno chiesto, visibilmente preoccupati: ma i campionati verranno portati a compimento? Domanda alla quale ho risposto evocando quale soluzione lo spostamento al prossimo anno dell'Europeo: unica mossa da fare per salvare i tornei nazionali. E difatti è stata fatta. Al quesito “cosa pensi dell'Avellino di oggi?” ho risposto più o meno in questi termini: “quest'anno è fondamentale mantenere la categoria, dopo di che se la società si rivelerà forte sarà possibile tentare un salto in alto”. Io, sotto sotto, spero sempre di potermi gustare qualche altra stagione in serie A seguendo i nostri Lupi da pensionato. Ma chissà.

Un caro saluto a te e ai nostri lettori, in una serata milanese molto triste. Hanno da poco comunicato che i decessi odierni sono stati 627, cifra record al momento, e che l'onda dei ricoveri non si ferma. Nel mio palazzo abitano due medici e un'infermiera. Con la quale mi sono incrociato poco fa. “La situazione negli ospedali è molto più pesante di quanto viene raccontato. Intanto perché il cinquanta per cento di quanti entrano in rianimazione non ne viene fuori. E poi perché ci sono tanti operatori sanitari in isolamento poiché infettati dal virus e mancano i ricambi. Senza medici e infermieri inutile attrezzare nuovi reparti di rianimazione, chi li fa funzionare?”.

Smettiamola quindi con questi slogan del tipo “ce la faremo”, o “andrà tutto bene”. Qua sta andando tutto malissimo e se l'Italia non “chiude” uffici, metropolitane, tutto ciò che può essere fermato, per le prossime due settimane, ci sarà l'ecatombe.

Ti abbraccio, Carlo, salutami gli amici.

 

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