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    03/07/2024

Il sole tornerà a splendere più bello e più radioso di prima

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b_300_220_15593462_0___images_stories_Cultura3_p.anton.jpgMONTEFUSCO – Proponiamo ai nostri lettori un intervento di padre Antonio Salvatore, superiore del convento dei frati Cappuccini Sant’Egidio di Montefusco nel quale fu ospite, dal novembre 1908 al maggio 1909, Padre Pio da Pietralcina (foto in bianco e nero).

*  *  *

L’avvicinarsi delle festività pasquali porta con sé una moltitudine di sensazioni, impressioni e riflessioni che provengono dalla festa stessa, celebrata, da circa duemila anni, come commemorazione dell’evento fondante della storia cristiana: la risurrezione di Cristo, e come punto di partenza della risurrezione dell’uomo a una vita nuova sulle orme di Cristo, causa e modello della rinascita del cristiano.

Le celebrazioni di Pasqua, analogamente a quelle natalizie, arrecano gioia nel cuore di coloro che credono nel Signore Gesù morto e risorto; gioia che sperimentano soprattutto coloro che vivono intensamente la propria fede. È una gioia profonda e viva, che si manifesta anche all’esterno, e, al pari di tutte le situazioni emotive intensamente vissute, sgorga all’esterno e non può non essere comunicata agli amici.

L’uomo non è fatto per vivere solo. Un tempo si diceva: vae soli (guai a chi è solo). Qualcuno, poco esperto di latino, potrebbe tradurre guai al sole – era un detto nato dall’esperienza e dall’osservazione della realtà umana –. Infatti, sia la gioia sia il dolore diventano, rispettivamente, più grandi o più piccoli quando sono trasmessi agli altri. Le feste di qualsiasi origine e natura non sono mai state circoscritte a una sola persona o a una sola famiglia, ma sempre vissute da tutto il gruppo sociale di riferimento; tanto è vero che le feste religiose sono sentite e vissute da tutti, seppure in modo diverso, anche da parte dei non praticanti e dei non credenti.

Lungo i secoli la Pasqua ha provocato la nascita di usi, tradizioni e manifestazioni che la comunità vive nel suo insieme e che si tramandano da sempre da padre in figlio. Essi fanno parte ormai della tradizione di un popolo e sembrano assolutamente naturali e necessarie per conservare e rendere più bello il clima festivo. Si pensi alla partecipazione ai riti religiosi della Domenica delle Palme, della settimana santa e della stessa Pasqua; si pensi allo scambio degli auguri, alle visite ai parenti, ai pranzi abbondanti e alle leccornie tipicamente pasquali, ai doni che ci si scambia, alle gite fuori porta e al sole splendente.

Negli ultimi decenni s’era alquanto attenuata la sensibilità religiosa e la festa era stata caratterizzata da spese, talvolta eccessive per vestiti di lusso, regali costosi, abbuffate senza misura. Nessuno più ricordava i tempi antichi, quando le feste erano attese e desiderate per sfoggiare un vestito più decente e, finalmente, mangiare a sazietà. Imperversava il consumismo sfrenato, frutto di un benessere illusorio e di una follia collettiva.

Questo benedetto 2020 e il cosiddetto “coronavirus” hanno guastato la festa quasi del tutto. Le dolorose e strazianti esperienze sofferte dalle regioni settentrionali della nostra penisola e, in misura ridotta, anche dalle regioni meridionali hanno indotto i governanti ad adottare misure drastiche, ma necessarie. La chiusura delle fabbriche e dei negozi non alimentari, i divieti di uscire dalle case senza motivi di necessità, le mascherine e le distanze di sicurezza e tutte le altre restrizioni hanno ridotto le comunicazioni dirette al punto che è preferibile restare chiusi in casa.

Quanto è triste, per vescovi e sacerdoti, celebrare senza fedeli, nelle chiese vuote! Ci si deve sforzare, quando si usano televisione, facebook e quant’altro, perché manca il contatto umano immediato che da sempre è la cosa più naturale. Ne soffrono certamente anche i fedeli, costretti ad usare i predetti mezzi di comunicazione sociale i quali, pur se utili e preziosi, rappresentano sempre un surrogato virtuale della comunicazione diretta.    L’andata in chiesa, in occasione della Pasqua, è un’occasione per uscire dal guscio familiare, scambiarsi le palme e gli auguri, rivedere amici che s’incontrano raramente, sentirsi coinvolti nella gioia di tutti, mostrare il lato migliore di se stessi. Da che mondo è mondo, e in qualsiasi contesto sociale, etnico e culturale, la festa, anche quando non è di carattere religioso, è qualcosa di naturale, spontaneo e insopprimibile.

Riusciranno le predette restrizioni e la paura del contagio a rovinare del tutto una delle feste più belle e sentite del nostro modus vivendi? Sono dell’opinione che quest’annus horribilis rappresenti una pausa di riflessione, un trampolino di lancio per un mondo più umano, un’occasione per riscoprire i valori familiari, uno stimolo per riscoprire la solidarietà; esso può limitare le manifestazioni esteriori, far evitare spese inutili, rendere virtuali i contatti interpersonali, ma non può togliere a nessuno la gioia del cuore che è qualcosa d’interiore e profondo di una sfera dove nessuno, dall’esterno, può arrivare.

Il tutto è una nuvola, un temporale, un uragano, ma il sole tornerà a splendere più bello e più radioso di prima.

*Superiore del convento dei frati Cappuccini Sant’Egidio di Montefusco

 

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