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    03/07/2024

Quaresima, quando il sindaco chiese al vescovo di Avellino una deroga ai divieti

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Piazza della Dogana nell'Ottocento nel dipinto di Giuseppe BattistaAVELLINO – Sebbene in Irpinia il Carnevale ha sempre goduto di una breve proroga festaiola, con il mercoledì delle Ceneri si entra nel vivo del periodo penitenziale imposto dalla chiesa con la Quaresima. Il periodo quaresimale, secondo i canoni della fede cattolica, serve a temprare lo spirito in attesa della Pasqua di Resurrezione.

Oggi il rito e le privazioni quaresimali hanno perso molto dell’austerità e del rigore dei secoli scorsi. Nell’archivio parrocchiale della Collegiata di Manocalzati si è conservato un documento illuminante sulla Quaresima di un tempo. Il documento in parola è una copia a stampa emessa il 10 febbraio 1657 dalla Curia vescovile di Avellino ed conosciuto come “l’editto della Quaresima”. Il documento, a firma del canonico Don Francesco Antonio Iandolo, vicario del vescovo di Avellino Tommaso Brancaccio, riporta una serie di prescrizioni da osservarsi nel periodo quaresimale.

Un esplicito divieto riguardava la vendita ed il consumo “né publicamente né secretamente sorta alcuna carne, ova, né formaggio, né altra sorta di cibi paschali, sotto pena di perdita della robba da distribuirsi a’ poveri infermi…in sussidio di scomunica”. La scomunica che si comminava ai trasgressori era stata emessa a distanza di pochi mesi dalla fine del terribile flagello della peste che aveva causato la morte di circa ventimila persone nel vasto feudo dei Caracciolo. A rendere operativo le prescrizioni si imponeva ancora che “nessun hoste, seu tavernaro, o albergatore  permetta in  modo alcuno, che nelle loro hosterie, taverne o alberghi si cuoci, o mangi carne, o altra sorte di cibo, sotto le stesse pene”.

Una speciale deroga veniva usata per le persone “non sane di corpo”. Per evitare richiami o punizioni spirituali l’ammalato doveva munirsi di una “fede” rilasciata dal medico. L’austerità si estendeva anche ai giochi e divertimenti. L’editto vietava il gioco delle carte e dei dadi, perché occasioni di bestemmie e litigi. Altre volte è stato richiesto l’intervento delle autorità civiche per mitigare i rigori e la durezza delle imposizioni. È il caso della Quaresima del 1831 per la quale fu necessario l’adozione di una speciale deliberazione del Decurionato (Consiglio comunale) con la quale si supplicava il vescovo di mitigare i divieti in considerazione che l’anno prima era stato particolarmente segnato dalla penuria dei raccolti che aveva interessato l’intero territorio diocesano. La richiesta avanzata al vescovo dal sindaco Francesco Villani, costatando il particolare stato di necessità nel quale si trovava la popolazione, emise un documento contenente una speciale deroga alle draconiane disposizioni.

 

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