www.giornalelirpinia.it

    03/07/2024

La visita di Carlo III di Borbone ad Avellino e Ariano

E-mail Stampa PDF

b_300_220_15593462_0___images_stories_Cultura_carlo_iii.jpgLa data del 15 maggio 1734, inizio del governo di Carlo III di Borbone, acquista per il Regno di Napoli un significato importante. Dopo aver sconfitto l’esercito austriaco a Bitonto e avuta notizia della conquista della Sicilia da parte del conte di Montemar, colà inviato dalla regina madre, che già aveva assicurato al figlio nell’ottobre del 1732 il ducato di Parma e Piacenza,  il 3 gennaio del 1735, primo anno del suo regno, il diciannovenne Carlo, scortato da cento granatieri a cavallo, partì da Napoli con un numeroso seguito con a capo Francesco Benavides conte di Santostefano, primo maggiordomo regale – e di cui facevano parte, oltre la guardia del corpo comandata dal capitano Lelio Carafa marchese d’Arienzo, fratello di Carlo duca di Maddaloni, i suoi ministri, tra cui Giuseppe Gioacchino di Montealegre marchese di Salas, il marchese Bernardo Tanucci, i membri della segreteria di Stato, i componenti di «prima sfera» della corte tra cui il principe Bartolomeo Corsini, cavallerizzo maggiore, il marchese Angelo Acciaiuoli,  Francesco Caracciolo duca della Miranda, il marchese Azzolino Malaspina, già ambasciatore presso la corte del suocero, Augusto III, re di Polonia – per recarsi a ricevere la corona a Palermo seguendo l’itinerario prestabilito attraverso i territori del Principato Ulteriore (Avellino, Montemiletto, Grottaminarda, Ariano), della Puglia (Torre di Guevara-Bovino, Ascoli Satriano, Spinazzola, Gravina), della Basilicata (Matera, Montescaglioso), della Calabria (Terranova, Cosenza, Cirò, Crotone, Cutri, Catanzaro, Monteleone, Rosarno, Palmi, quindi, via mare,  Messina e Palermo).

Il viaggio, come annunziava un foglio fatto stampare dopo il rientro a Napoli, durò «mesi sei e giorni nove», dal 3 gennaio al 12 luglio 1735, nel corso dei quali il giovane don Carlos, tra ricevimenti e rappresentazioni teatrali in suo onore e senza tralasciare la sua passione per la caccia, ebbe modo di instaurare un primo contatto diretto con i suoi sudditi e rendersi conto de visu dei problemi e delle necessità soprattutto delle province interne.

Tutto fu curato nei minimi particolari e in tal senso oscura ma preziosa fu l’opera di Diego Merlo, il real posentatore, che aveva l’incarico di precedere il corteo reale, insieme con i cuochi e il personale di servizio, al fine di controllare gli alloggi dove si doveva dormire e i luoghi dove si doveva mangiare, perfino quelli dove – come racconta in una cronaca minuziosa il giureconsulto napoletano Giuseppe Senatore – si potesse fare « al giorno di passaggio qualche interina pausa».

Una delle prime tappe di quel viaggio, la cui partenza fu preceduta alla reggia da tutto il cerimoniale di corte con saluto, baciamano e voti bene auguranti da parte dei dignitari e ministri e con la recita delle litanie, presente lo stesso sovrano, prima nella cappella del tesoro del Duomo, poi nella chiesa del Carmine, fu Avellino che don Carlos raggiunse nel pomeriggio del 4 gennaio di quel 1735 dopo essere passato per Poggioreale, Pomigliano d’Arco e Marigliano e dopo aver trascorso la notte a Nola nel palazzo del marchese Michele Capecelatro, allora abitato da Felice Mastrilli. 

Qui aveva assistito ad una commedia, La contessa – che aveva avuto un sonetto di elogio da parte di Giambattista Vico – recitata da nobili e allestita dalla compagnia di Domenico Luigi Barone barone di Liveri, destinato a entrare, da allora in poi, nelle grazie del re che lo fece responsabile del teatrino di corte.

A riceverlo nella nuova residenza dei Caracciolo – il sontuoso palazzo fatto costruire nel Largo (nella foto, Palazzo Caracciolo oggi; nel riquadro, Carlo III), nei pressi di porta Napoli, da donna Antonia Spìnola Colonna, magnificato nei versi di Silvestro Homodei, poeta e segretario del marito – fu l’allora padrone di casa, il principe Marino IV che, affiancato dalla consorte, Maria Antonia Carafa, e circondato dalla sua corte e da “altri nobili napoletani”, seppe tenere alto il nome ed il prestigio della famiglia che già in altre circostanze – in modo particolare, giusto un secolo prima, in occasione della visita della regina Marianna, sorella del re di Spagna e moglie dell’imperatore d’Austria – aveva dato prova di un’accoglienza «veramente alla reale».

Scendendo da Monteforte, dove era giunto a mezzogiorno e dove aveva pranzato e si era riposato, erano andati incontro al re, «al Capo del Miglio», all’inizio cioè del viale dei Pioppi - «così appellato per essere quella strada piantata d’amenduni i lati di ben grandi, e frondosi pioppi, che molto grata, ed ombrosa la rendono» – numerosi “gentiluomini di Avellino, a cavallo”, che lo accompagnarono fino alla Porta Napoli: qui lo attendevano, per “rendergli il dovuto omaggio”, le autorità civili e religiose. Oltre ai rappresentanti del governo della città vi era il vescovo, monsignor Giovanni Paolo Torti, insieme con i membri del Capitolo e i rappresentanti del clero. Da qui, in mezzo ad una folla plaudente e in un clima di festa allietato dal suono delle campane e lo scoppio di fuochi artificiali, fu scortato “processionalmente, sotto il pallio” sino al palazzo del principe, dove, in attesa della cena cui avrebbe provveduto il suo cuoco personale, si esercitò nella caccia – che era la sua passione dominante – “nella magnifica sala del palagio, trasformata in vago e ben formato giardino”.

Dopo aver visionato il regale appartamento, dove era stato preparato il suo letto da campo, e dopo essersi riscaldato, «a cagion del gran freddo che faceasi di molto sentir in quella jemale stagione», accanto ad un camino «nel quale fecesi ritrovar fuoco di legna», il re, accompagnato dai suoi Grandi di corte e dalle dame con in testa la contessa di Santostefano, le due figliole, la nuora e le loro damigelle, prima ritornò nel finto giardino che trovò muy lindo, poi «degnò calare nel vero gran giardino del palagio, (qual erasi preventivamente dal Principe padrone a bello studio fatto a dovizia provvedere d’ogni spezie di animali e quadrupedi, e pennuti) in cui la Maestà Sua con gran piacere si divertì alla caccia per tutto lo rimanente del giorno».

A distoglierlo dal divertimento della caccia fu, mentre si ritirava nelle sue stanze, la vista di un orologio matematico, «formato da un contadino col solo suo natural talento, con ruote di legno, nel quale con varie dimostrazioni moveansi moltissime figure, com’eziandio dopo d’alcuni giuochi batteva l’ore». Data speciale udienza all’intero “Corpo della città di Avellino” che aveva portato in dono all’illustre ospite “varie spase di cacciagione, e più sorta di frutta, fiori e tartuffi” ottenendo di “essere ammesso al bacio della mano reale”, il re, dopo aver cenato verso le due della notte, assistito dai Grandi di corte e dalla nobiltà napoletana, che, nella gran sala illuminata da un’infinità di «torchi a quattro lumi di cera e da quattro ben magnifici lampadari di cristallo con altri lumi eziandio a cera che rendevano un chiarore pressocchè di mezzo giorno» continuarono la lauta cena «per ben insino alle sette della notte», andò a dormire nel suo appartamento.

Il mattino seguente, 5 gennaio, fatta colazione «con esquisitissimi dolci, rosolì, caffè, erbatè, cioccolato ed altri preziosi licori», don Carlos e i personaggi della corte, «tutti giulivi, ed al sommo ammirati, e paghi del cortesissimo, e magnifico trattamento ricevuto dallo più volte mentovato Principe che fè in tale occasione ei risplendere con tutta proprietà, ed eccellenza la sua generosità, mercè l’ottima disposizione delle cose, sotto la direzione del dotto Ingegnere D.Filippo Buoncore», ripresero il viaggio e nell’uscire dalla città “nuovamente intesesi il rimbombo de’ fuochi artificiali, de’ mortaretti, el suono festevole delle campane, qual continuò per lunga pezza di tempo, nonostantecchè la Maestà Sua fossesi già per molte miglia da quella dilungata”.

A rendere l’omaggio del commiato al re era il principe  Marino che, con tutto “il Corpo della città e moltissimi cittadini” lo scortò “insino a un miglio fuori della città” da dove proseguì, poi, “con tutto il suo nobil seguito per la strada che conducea nella terra di Montemiletto”. Qui pernottò nel castello del principe Tocco «che ben vanta discendere da Regio sangue». La mattina successiva, dopo aver attraversato Grottaminarda e ricevuto gli onori da parte del duca Coscia che gli fece dono di una «pelle di zibellino, che aveva amenduni gli occhi di grossi diamanti, e i suoi piedi di ben lavorato e ingemmato oro», giunse ad Ariano alla cui periferia era stato ricevuto dal vescovo Filippo Tipaldi in abiti pontificali, dai rappresentanti del clero, dalle autorità cittadine «e forestieri concorsi da tutt’i circonvicini luoghi ad ossequiar la M.S.».

La città del Tricolle recava ancora i segni del terribile terremoto del 29 novembre 1732, uno dei più devastanti della storia, che aveva colpito in modo particolare l’Irpinia e aveva causato danni rilevanti alle costruzioni in muratura, per cui fu necessario allestire una struttura in legno – una sorta di prefabbricato pesante dei tempi moderni, naturalmente addobbato in modo regale – per potere degnamente ospitare un così illustre ospite. Altre baracche, sempre in legno, furono innalzate per i dignitari del seguito.

Dopo aver, infatti, attraversato il centro della città «vagamente illuminata e tutta abbigliata di tappezzerie», il re – come annota Giuseppe Senatore – «pernottò nella baracca di D. Carlo Passero, costrutta di travi e fabbriche a forma di palagio, tutta a maraviglia ornata di arazzi, e contratagli, che fu ella per la sua ampiezza e commoda struttura la più propria estimata per lo albergo di un tanto Monarca (conciosiacosachè tutte le più belle, e magnifiche abitazioni di fabbriche della Città, erano elleno state in parte rovinate, ed in altra parte sconciate dal fier ben noto tremuoto ne’ passati anni accaduto) essendo i Personaggi di Corte iti a stanziar’ in altre contigue baracche, per non essere la Regale di tutti capace. Il trattamento, che in questa Città la Maestà Sua ricevette, fu veramente magnifico, tantocchè oltremodo pago con tutti di Corte ne rimase; quindi avendo alla perfine quelli che la rappresentavano ammesso al bacio della Regal mano, si partì collo stesso accompagnamento il seguente mattino, verso le ore 15 d’Italia dello giorno de’ 7. gennaio, alla volta di Bovino, feudo del molto saggio Duca di Bovino Guevara, posto nella Provincia di Capitanata».

A causa del maltempo, il re dovette attendere ben quattro giorni – fino al 12 gennaio –  a Torre di Guevara, non molto lontano da Bovino, il rifacimento del ponte sul fiume Ofanto che era stato abbattuto dalle violenti inondazioni causate dalle piogge continue ed ininterrotte (eguale situazione dovette affrontare nell’attraversamento del fiume Basento nei pressi di Bernarda e del fiume Crati presso Terranova).

Le altre tappe di quel viaggio furono Ascoli, «detta di Puglia», attuale Ascoli Satriano, l’antica Ausculum, luogo della sconfitta romana nel 279 a.C. ad opera di Pirro, durante le guerre tarantine, dove fu ospite del duca Marullo; Venosa, dove alloggiò nel palazzo del principe di Torella, Caracciolo, «a maraviglia preparato, ed ornato veramente alla regale»; Spinazzola, dove fu ospite del duca di Calabritto, Tuttavilla; Poggiorsino, luogo così «dinominato da un delizioso casino colà situato del Duca di Gravina Orsino»; e poi, Gravina, in terra lucana; quindi, Matera dove soggiornò nel palazzo dell’arcivescovo Mariconda; Montescaglioso, Bernalda, ospite del marchese della Terza Navarretta; Policoro, ospite dei Gesuiti; Montalbano, feudo del duca di Ferrandina Toledo; Rocca Imperiale; Casalnovo, feudo del duca di Monteleone Pignatelli; Torre d’Orria; Cassano; Terranova, feudo del principe di Tarsia, Spinelli; Corigliano, feudo del duca Saluzzo; Rossano, dei principi Borghese; Calopezzati, feudo del principe di Campana, Sambiase; Cariati, sulla costa ionica; Torre di Crucoli; Cirò, feudo del principe di Tarsia, Spinelli; Cotrone (Crotone), Strongoli,, Cutri, Cropani,, feudo del barone Basilio Fiore; Catanzaro, Borgia, Mayda, Monteleone, Rosario.

Qui, prima di arrivare a Palmi e a Gioia e di lì, via mare, raggiungere Messina, quindi Palermo (dove, il 3 luglio, ricevé la corona nel duomo dalle mani di monsignor Basile), si verificò un simpatico episodio. Mentre andava a caccia, sorpreso dalla pioggia, il re trovò riparo in una misera capanna dove una giovane donna si era «or ora sgravata». A lei donò cento «doppie» d’oro mentre al neonato, che volle portasse il suo nome e di cui si fece padrino, assegnò una rendita di 25 ducati al mese «finché in età di sette anni venisse alla reggia». Il 12 di quello stesso mese rientrò a Napoli.

 

Aggiungi commento

Codice di sicurezza
Aggiorna

DG3 Dolciaria

Geoconsult

Condividi


www.puhua.net www.darongshu.cn www.fullwa.com www.poptunnel.com