www.giornalelirpinia.it

    03/07/2024

La maestrina ed il giornalista, i «Delitti incrociati» di Valentino

E-mail Stampa PDF

Sogni di Vittorio CorcosLa tela di Vittorio Corcos, “Sogni”, rappresenta una ragazza di fine Ottocento seduta su una panchina, accanto ai suoi libri mentre “protende lo sguardo assorto ma penetrante insieme” (così scrive Laura Lombardi nella nota critica al quadro) che ne dice tutta la sua modernità (moderna fu giudicata, infatti, dal pubblico e dalla critica alla Festa dell’Arte e dei fiori di Firenze, dove fu esposta per la prima volta nel 1896).

Cecilia Valentino ha scelto l’immagine per la copertina del suo libro Delitti incrociati (Mephite, Avellino, 2012, con la prefazione di Fiorenza Taricone) che rappresenta una lettura ancor più interessante in questi giorni in cui si è celebrata la Giornata internazionale della donna. Una ricorrenza che negli ultimi anni sembrava aver ceduto alle lusinghe consumiste e che, invece, torna ad essere un momento di importante riflessione sulla condizione femminile (ma anche maschile!), per ricordare come, nonostante le conquiste sociali, politiche ed economiche, le donne siano ancora oggetto di discriminazioni e di violenze, persino inspiegabili in società come la nostra, apparentemente evoluta e democratica.

Non si tratta di un noir, come potrebbe sembrare dal titolo, ma di una narrazione-saggio, frutto di una puntuale ricerca d’archivio condotta su fonti giudiziarie, che ricostruiscono la vicenda avvenuta negli anni Venti del Novecento, a Montella, dove avvennero due delitti, quello di una  giovanissima maestra, Gina Ceccacci, e, due anni dopo, quella del pubblicista socialista Ferdinando Cianciulli.  L’autrice ricostruisce scrupolosamente, anche attraverso la consultazione degli atti del processo che si tenne a Sant’Angelo dei Lombardi  e poi  in Corte d’Assise a Napoli, un omicidio che coinvolse le famiglie allora più in vista a Montella, in una vicenda i cui destini si incrociarono misteriosamente senza che si trovasse né una soluzione né un colpevole definitivo.

Martedì 9 novembre 1920, nella nebbia di un “uggioso mattino” Gina Ceccacci, maestra elementare, percorre le stradine di Montella per raggiungere la scuola elementare dove insegna. A pochi passi dalla scuola, dove i bambini la attendono, viene  freddata, con due colpi di rivoltella al cuore, da un sedicenne, Felice Sarni, la cui mano è stata verosimilmente armata dalla madre Antonietta, che  a sua  volta infierisce sulla donna, secondo i testimoni, tirandole un colpo con una paletta di ferro. Il marito della donna, un notabile spregiudicato del luogo, avrebbe sedotto la giovane maestra, scatenando le gelosie della moglie. Antonietta e il figlio fuggono e riescono ad essere latitanti, per più di un anno, grazie alla complicità omertosa di molti compaesani, molti dei quali, invece di difendere la memoria della giovanissima maestra, colpevole di aver rifiutato le avances del Sarni, ne infangano in ogni modo la sua memoria con false testimonianze.

La sera del 22 febbraio del 1922 Ferdinando Cianciulli esce dalla sezione del Partito socialista ed entra nel caffè Pizza, uscito dal quale, viene raggiunto da due fatali colpi di fucile. La notte precedente alla sua morte, egli ha confidato ad un suo amico, Carmine Marano, di essersi interessato in suo articolo, pubblicato su Il Grido, della famiglia Sarni-Varalli. All’amico che lo mette in guardia dai rischi che possono derivare dal parlare di una tale famiglia, egli risponde fieramente: “Ho compiuto il mio dovere e non temo niente”.

Oltre che ricostruire uno scenario di povertà, soprattutto morale e di gelosie malcelate, Cecilia Valentino offre in questo libro diversi spunti per una seria riflessione, ma soprattutto lascia chiaramente intendere che le battaglie per l’affermazione dei diritti femminili deve essere sostenuta, oggi più che mai, da una convinta progettualità politica e favorita da cambiamenti culturali che possano rimuovere pregiudizi atavici, e differenze di identità e di ruoli, precocemente interiorizzati.

Spicca innanzitutto il contesto, dato che la morte della maestra è letta come una metafora del Sud: Montella era all’epoca un ambiente di privazioni, di gelosie, di diffusa ignoranza e di omertà, in cui la giovane maestra rappresentava una sfida e un cambiamento difficili da accettare. D’altra parte, l’autrice nota come la tragica vicenda della Ceccacci  fosse solo uno dei tanti casi di violenza che si verificarono nell’Italia di quegli anni e che ebbero come protagoniste proprio delle “maestrine” (termine che cela l’ambigua considerazione del tempo per una tale figura professionale, prima del diffondersi dei sindacati e dell’affermazione, agli inizi del ‘900, delle idee socialiste) testimoniate sia dalla cronaca che dai romanzi ottocenteschi. È interessante, scrive l’autrice, e “forse doveroso far emergere dal passato storie vissute in realtà difficili, che hanno pagato duramente il desiderio di emanciparsi e di impadronirsi della propria vita”. Cita, perciò, il famoso caso della maestra Italia Donati, suicida per onore, la cui storia è scritta nelle belle pagine del romanzo storico Prima della quiete di Elena Gianini Belotti e di cui si occupò anche Matilde Serao, sulle pagine del Corriere della Sera, in un articolo dal titolo Come muoiono le maestre.

In questa particolare temperie culturale e sociale si distinguono, come in ogni narrazione che si rispetti, un coro di attanti e di antagonisti, di donne e di uomini che rappresentano una visione fortemente dicotomica della realtà: Gina è la donna dei tempi nuovi, che attraverso il lavoro, vuole affermare la sua identità e per questo, in un piccolo paese di provincia, fa scandalo;  Antonietta è una casalinga di modesta cultura che non ha i mezzi per competere con quella donna, ma ha sposato un professionista, e perciò è benestante ed usa la sua arroganza per punire quella donna di cui è gelosa senza che vi sia un motivo vero. Dall’altra parte, la figura dell’avvocato Sarni, contrapposta a quella di Cianciulli: il primo è un esempio di pusillanimità, un personaggio molto chiacchierato, più per la sua condotta disonesta che per le sue qualità professionali, pronto a gettare fango sulla memoria della maestra assassinata; il secondo un giornalista temerario e coraggioso, un leader del partito socialista irpino, per i suoi detrattori un pazzo e un visionario, che nei suoi editoriali denunciava le condizioni di miseria e di arretratezza in cui versavano i contadini irpini ed incitava alla lotta contro le ingiustizie e le sopraffazioni commesse ai danni dei lavoratori. Per questo suo concreto impegno di lotta il suo giornale, Il Grido, fu letto e sostenuto anche dagli emigranti americani, ma per questo impegno nella lotta concreta Cianciulli catalizzò su di sé anche gli odi più feroci dei suoi avversari politici. Ricevette minacce, lettere anonime, aggressioni, fino a che, la difesa accorata della memoria della Ceccacci gli fu fatale. In realtà, è ben evidente che le accuse di Cianciulli erano più largamente rivolte ad un mondo “di signorotti analfabeti” che spadroneggiava  e si imponeva “in mezzo alla malavita” che, scriveva,  “delizia le nostre contrade”.  Ferdinando Cianciulli, come scrisse l’avvocato Sandulli, nella sua arringa conclusiva dell’agosto del 1925, era un’«anima adamantina»  in cui “aveva preso il sopravvento l’idea della redenzione degli umili (…) voleva pace e giustizia per i sofferenti e gli infelici”.

Le pagine finali del libro sono dedicate alla compagna di Cianciulli, Giovannina Morrone, la donna che aveva condiviso con lui la militanza politica; come Gina un’insegnante e una lavoratrice, impegnata nella lotta per l’emancipazione e per l’indipendenza, a cui il marito aveva fatto scoprire “quegli ideali nei quali anche lei credeva: una nuova morale nel rapporto tra i sessi”.

 

Aggiungi commento

Codice di sicurezza
Aggiorna

DG3 Dolciaria

Geoconsult

Condividi


www.puhua.net www.darongshu.cn www.fullwa.com www.poptunnel.com