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    03/07/2024

L'eccidio della Guardia nazionale ad Orsara nel giugno del 1863

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Orsara, uno scorcio del centro storicoL’eccidio della Guardia nazionale, avvenuto il 23 giugno 1863 ad Orsara di Puglia, all’epoca Comune della provincia di Avellino, fece strepito per la massa degli assalitori, per la spettacolarità, la rapidità e l’efficacia dell’azione.

Una testimonianza inedita su uno degli episodi dimenticato del brigantaggio postunitario in una terra di confine. Territorio che fu teatro di scorribande da sempre. Nel decennio francese, ad esempio, gli episodi al riguardo, nel famigerato Vallo di Bovino, sono numerosissimi. Il brigantaggio meridionale deriva, tra l’altro, da uno storico sottosviluppo delle campagne e assume proporzioni più ampie ad ogni trasformazione politico-amministrativa, nelle difficili fasi economiche e in situazioni di forti conflittualità sociali. Inoltre i  terreni montuosi, le valli impervie, le difficili comunicazioni per insufficiente viabilità, l’ignoranza, la povertà dei luoghi, classi intermedie opportuniste, militari del disciolto esercito napoletano sbandati, contadini terrorizzati nelle campagne per la presenza di grassatori, sono il quadro della società meridionale e favoriscono il fenomeno del brigantaggio.

Il brigantaggio postunitario conserva gli elementi negativi di quello tradizionale (delitti, violenze, rapine, saccheggi) e ne acquisisce di nuovi: il carattere più classista, che procura ai briganti il sostegno o la complicità di larghi strati del popolo, l’organizzazione di tipo militare e una forte caratterizzazione ideologica. Con esso, infatti, si passa, dalle imboscate ai viaggiatori e ai possidenti, allo scontro frontale con l’esercito italiano. La tattica dei briganti era la guerriglia: agivano di sorpresa, scariche improvvise sul fianco delle colonne avanzanti e attacco principale da altre direzioni, in località dominanti accuratamente scelte, con vie di ritirata sempre aperte per i boschi o verso i monti.

Le bande armate costituivano un’incombente e permanente minaccia per la sicurezza della via delle Puglie, costretta dopo Ariano a risalire la Valle del Cervaro e ad incunearsi nel pericolosissimo Vallo di Bovino, da secoli uno dei punti caldi del brigantaggio meridionale. Anche quando i componenti la commissione parlamentare d’inchiesta sul brigantaggio il 1 febbraio 1863 ripartirono da Ariano Irpino per Foggia, nei pressi del Vallo di Bovino,  il comandante la squadra di scorta fu avvisato della presenza, in una masseria vicina, della banda del brigante Schiavone.

L’azione repressiva dell’esercito italiano si rivelò ardua di fronte ad un brigantaggio organizzato, guidato da capi esperti, condotto su un terreno vasto, accidentato e boscoso. I distaccamenti di fanteria e di cavalleria potevano fare poco contro le bande a cavallo dei briganti. Nel 1860 molte furono le rivolte dei contadini nella nostra zona. In Irpinia la prima reazione scoppiò ad Ariano Irpino nei primi giorni di settembre del 1860. Inoltre altre comunità urbane si scontrarono, causando spargimento di sangue e perdite umane. A Bovino, agli inizi dell’anno, ottantacinque persone furono arrestate dopo aver incendiato il comune e compiuto atti di violenza; nell’agosto dello stesso anno i contadini assalirono la casa vescovile e il municipio, incendiando e seminando terrore.

Cesare Bardesano, governatore della Capitanata, riteneva drammatica la situazione della provincia nel 1861 tanto che a San Severo il 3 gennaio una massa di contadini assaliva le carceri liberando gli arrestati di alcuni giorni prima e vi fu anche uno scontro violento con la Guardia Nazionale e i morti furono diversi. Nelle carceri di Capitanata quasi tutti i briganti erano contadini proletari; il Massari dava la notizia che alla data del 15 aprile 1863 su 375 detenuti per imputazione di brigantaggio ben 293 erano braccianti agricoli.

All’inizio dell’inverno 1862-63, l’epicentro del grande brigantaggio era la zona che dalle rive del Fortore, attraverso Capitanata, la parte orientale della Basilicata e le Murge, si estendeva fino a Terra d’Otranto. Nella zona pugliese non soltanto pullulavano le bande autoctone, ma convergevano frequentemente anche le temibili bande a cavallo lucane. Nel 1862 vi furono diversi scontri violenti nel nostro territorio, tra i briganti e le forze dell’ordine. L’8 ottobre militi di Guardie Nazionali con un distaccamento del 22° Fanteria, capitanato dal sottotenente Carlo Nava, tre carabinieri e tre guardaboschi mentre eseguivano una perlustrazione nel tenimento di Montaguto catturarono un brigante di Greci, il ventenne Leonardo Orlando, e lo giustiziarono. Il giorno seguente la Guardia Nazionale nel tenimento di Crepacore scoprì una banda di diciannove briganti a cavallo, ne catturò uno passandolo per le armi. Il 10 ottobre nel bosco Magliano furono uccisi tre briganti e feriti cinque. L’8 febbraio 1863 nel bosco di Cervellino fu catturato un brigante di nome Michele Rafaniello di Lioni e condotto ad Orsara fu ucciso.

L’avvenimento più doloroso nella storia di Orsara fu quello del 23 giugno 1863. Il giorno precedente la banda Caruso-Schiavone, forte di una settantina di briganti, fu attaccata a Camporeale, presso Ariano, dai bersaglieri, che la misero in fuga infliggendole gravi perdite. Tutti i Comuni della Valle del Cervaro, Bovino, Panni, Montaguto, Savignano, Orsara e Greci, erano in allarme perché non ignoravano le prodezze selvagge dei briganti, tra i quali agivano non poche donne disumane e spietate.

Il 23 giugno i gruppi di Schiavone e Caruso si riorganizzarono in contrada Ischia. Pervenuta la notizia ad Orsara, il capitano della Guardia Nazionale, Giuseppe Calabrese e il prosindaco Michele Grilli raccolsero 35 militi armati tra cui due guardie di pubblica sicurezza e si diressero verso Sannoro per affrontare i briganti e lungo la strada si imbatterono in un garzone, Pasquale de Maria, che riferì al capitano Calabrese che stava recandosi dai briganti per riavere una giumenta che essi gli avevano sottratto. I militi si portarono sulla collina sovrastante il fiume Sannoro e dalla masseria di Francesco Saverio Stefanelli furono mandati dei segnali di avvicinamento e giunse il figlio Mattia che comunicò al Calabrese che i briganti si erano allontanati dirigendosi verso Celle San Vito. L’informazione fu presa per veritiera e i componenti la Guardia Nazionale si accingevano a ritornare ad Orsara non più inquadrati per respingere un attacco, ma a piccoli gruppetti. Al Piano dei Perazzi apparvero all’improvviso i briganti e l’unico sopravvissuto all’eccidio, nonostante le gravi perite riportate, fu il sarto Antonio de Salvio, che il 10 novembre 1863 consegnava personalmente al re, che passava nel tenimento del Vallo di Bovino per andare da Foggia a Napoli, una supplica, in cui così descriveva lo scontro: “… Inaudita sventura! Apprezzarsi per due vallate opposte, come tante belve furibonde e fameliche, la detta banda inserrando alla sprovvista in dettaglio ed alla spicciolata la sperperata Milizia, e fingendo di chiedere solamente armi e vestimento, e liberarli, dopo spogliati, lungi a mantener la parola, barbaramente li fucilavano. Che spettacolo! Quanti lamenti nell’atto che venivano così spietatamente immolati in mezzo al panico timore! Venti di essi,  compreso il supplicante,  caddero bocconi, chi morto, chi spirante, chi mortalmente ferito! Ed egli nell’atto che chiedeva in grazia la vita ad un più umano della banda tenendo per mano la briglia del di costui cavallo, altro di lato gli fa fuoco addosso, trapassandolo il braccio destro e l’interno della regione toracica, intromettendosi il proiettile dallo sterno, lacerando la superficie del globo sinistro del polmone, ed uscendo alla punta della seconda costola dorsale! Rimasto così a buttar sangue morto, e mentre la banda si affrettava a ricercare gli altri, e finirne la strage ecco avventurosamente comparire in soccorso il Capitano Renzoni, Carabinieri e G.B., che facendo fuoco istantaneamente, fecero dare a frettolosa fuga essa banda… Maestà di tutti i venti caduti nell’eccidio solo il supplicante mercè l’aiuto di Dio …vedesi tra i viventi, e gli altri tutti estinti”.

Diciannove  furono massacrati selvaggiamente e nello scontro il prosindaco Grilli e il luogotenente Francesco Saverio Fragassi furono uccisi da una spietata, crudele assassina, Filomena la Santagatese.

Il paese fu scosso e quasi tutta la cittadinanza si recò sul luogo del massacro e il giorno successivo i morti furono accompagnati al cimitero tra il pianto generale. Pasquale de Maria di Orsara, Leonardo Boscia di Greci, Mattia Stefanelli di Celle e Lorenzo Poppa di Orsara furono accusati di corrispondenza criminosa coi briganti e di complicità negli assassini dei componenti la Guardia Nazionale. Boscia e Poppa furono prosciolti nel corso del procedimento, il de Maria e lo Stefanelli furono condannati a otto anni ciascuno e alla sorveglianza della pubblica sicurezza per la durata di tre anni. La sentenza fu emessa dalla Corte di Assise di Avellino ed il 30 giugno 1865 la Corte di Cassazione di Napoli respinse il ricorso presentato dai due imputati.

 

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