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    03/07/2024

L’Irpinia: il paesaggio come teatro

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b_300_220_15593462_0___images_stories_Irpinia2_casalbore.jpgAVELLINO – Ogni contadino che muore porta con sé nella tomba il segreto del paesaggio nel quale è vissuto e che ha contribuito con le sue stesse mani a modellare. Non siamo mai entrati nella sua testa per sapere che cosa pensava quando osservava i suoi campi e il paesaggio intorno, né siamo mai neanche entrati nel suo animo per sapere quali sentimenti provava guardando quel giro di colline in cui era nato e in cui aveva lavorato per tutta la vita, il piacere di scoprirsi in quello scenario nel quale si erano svolte vicende indimenticabili: dalla sparatoria di un commando tedesco durante la seconda guerra mondiale al primo bombardamento aereo degli alleati in un giorno di settembre sino all’arrivo degli americani, e poi i tumulti, i gridi della gente e le sue vicende personali, le passeggiate furtive nei campi con la ragazza dei vicini, il primo atto d’amore un giorno di primavera, e infine i  funerali dei parenti, la crescita dei figli in quello stesso luogo in cui lui era nato e dov’era nato suo padre, anch’egli contadino che aveva tribolato sugli stessi campi.

Ma al di là della vicenda agricola noi capivamo che egli amava profondamente quel mondo in cui era vissuto da vero “uomo abitante”. Quando morì comprendemmo che anche il suo viaggio al cimitero, che attraversava tutti i luoghi della vicenda di ogni personaggio del paesaggio in cui aveva operato, era una sorta di ultima recita, che con quel viaggio aveva finito di essere l’attore che si muoveva sul palcoscenico a cui la vita e la storia lo avevano destinato e di cui conosceva a memoria ogni minima piega.

Capimmo così che il paesaggio non è soltanto, come lo intendono i geografi, lo spazio fisico costruito dall’uomo per vivere e produrre, ma anche il teatro nel quale ognuno recita la sua parte facendosi al tempo stesso attore e spettatore, che, cioè, il territorio vissuto – la fatica del vivere e del produrre – è sempre, contemporaneamente, territorio rappresentato, cioè scena, visione, contemplazione. Con ciò il paesaggio assume un significato nuovo o mai sino ad oggi pienamente riconosciuto, che lo fa rientrare funzionalmente nel rapporto tra uomo e natura, tra uomo e mondo. In tale contesto si capisce e si giustifica anche meglio la metafora del paesaggio come teatro; per limitarci alla storia recente, il progetto di una “città giardino” è il solo esempio della visione del paesaggio come coscienza ecologica coniugata con la propensione a difendere le identità e la memoria che vi sono riflesse, convergenza dei poteri del fare e del pensare che rendono l’una e l’altra, urgenza del presente e memoria del passato, in condizione di superarsi e aprirsi a una nuova scena della vita.

La metafora del paesaggio come teatro è, così, una chiave di lettura che ci porta a riflettere sul valore e sull’incidenza che ogni nuovo scenario può avere sull’uomo e sulla propensione a rispecchiarvisi e a sentirlo come proprio. Nel tempo e nello spazio di ogni comunità di vita si esplica la capacità umana di costruire il paesaggio-teatro nel quale essa comunità traduce il proprio modo, adeguato o inadeguato, di costituirsi quale incontro e nodo di natura e cultura.

A noi pare che tale capacità possa crescere solo con una appropriata “educazione a vedere”, che ci abitui a sentire il paesaggio come manifestazione di ciò che si è, della propria cultura, del proprio modo di rapportarsi con gli spazi di vita. In tal modo la nozione di paesaggio riunifica sotto un comune denominatore le conoscenze dei naturalisti, dei geografi e degli storici, il sentire degli artisti e dei poeti, la progettualità degli architetti e degli urbanisti, tutti compartecipi dello stesso impegno: quello di far crescere la cura di sé, l’attenzione per il mondo che ci circonda, sempre più violentato dalle forze beute dell’economia, capaci di distruggere passioni territoriali, disarticolare armonie, talora ineffabili, tra uomo e natura.

L’Irpinia recente ne è l’esempio lampante, con la scelta di imboccare come unico sentiero percorribile l’economia del cemento, che desertifica, abbattendo quanto di buono la natura e la storia le aveva affidato, ogni spazio ed ogni tempo. Fortunatamente, l’incredibile ricchezza dell’editoria locale, il moltiplicarsi dei piccoli musei e delle associazioni volontarie, la presenza dei centri di studio, degli specialisti, degli appassionati a cui stanno a cuore il territorio e i suoi beni naturali e culturali stanno lì a resistere al disfacimento: da essi soltanto possono venir fuori le forze capaci di ricucire un tessuto lasciato in mano alle forze più incolte e meno avvertite dei valori ereditati.

 

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