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    22/07/2024

Sorse lungo la via Francigena l’abbazia dell’Angelo di Orsara

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Una bella veduta di Orsara con l'abbazia dell'Angelo in primo pianoIl complesso abbaziale sviluppatosi intorno al fulcro della grotta di San Michele sorge sul fianco scosceso di un vallone. All’interno di esso vi sono la grotta di San Michele, la chiesa di Santa Maria e la cappella dell’Annunziata.

Non vi sono notizie relative all’origine della devozione micaelica in Orsara, ma indubbiamente la grotta si collega al santuario del Gargano e costituisce una tra le numerose repliche della Sacra Grotta. La grotta di Orsara è in parte di origine naturale, in parte è stata adattata per le esigenze del culto scavando la roccia. Si presente come un’unica navata irregolare; da ovest si accede alla grotta attraverso una chiesa subdivale con funzione di vestibolo, sul lato Sud, un arco grosso modo ogivale, in parte scavato nella roccia costituisce forse l’ingresso originario: vi si giunge da una tortuosa scala, anch’essa scavata nella roccia che esce all’esterno verso il lato dell’abbazia. La grotta di San Michele presenta un soffitto in roccia naturale che si configura verso ovest, grosso modo come una volta a botte. La zona presbiteriale presenta ai lati due strette aperture ogivali che affiancano l’altare sul quale si apre una nicchia che, durante la festa di San Michele, ospita la statua dell’Arcangelo. Il fianco Nord della grotta, a parte piccole aperture e nicchie naturali, presenta una parte di roccia pressoché liscia sulla quale però è possibile vedere incise delle croci che testimoniano il passaggio di pellegrini e la devozione popolare. Per di più, entro riquadri incavati nella roccia, è possibile riconoscere frammenti di iscrizioni. La friabilità della roccia ne ha cancellato i contorni.

Non si sa molto delle varie fasi di costruzione della chiesa di Santa Maria antistante la grotta. La primitiva costruzione, il cui unico accesso era, in un primo momento, la torre campanaria risalente, nelle forme attuali, al XII o al XIII secolo da cui si diparte ancora oggi la scalinata che scende alla grotta. Solo in un secondo tempo, cioè nel XVI secolo, si pensò di erigere una chiesa vera e propria che, pur non eliminando il primitivo ingresso, consentisse di ampliare la costruzione e migliorare il luogo di culto. La data di costruzione è il 1527, ricavabile da una lapide su cui sono scolpiti anche i nomi degli autori: Martino e Mino di Altamura. La costruzione fu completamente distrutta dal terremoto del 1930 e rifatta nel 1934. Essa, nelle forme attuali riprende a grandi linee l’aspetto gotico. L’interno della chiesa è ad aula terminante in fondo con una piccola abside sulla cui finestra, con vetri colorati, è rappresentata la figura di San Michele, sulle finestre laterali sono invece raffigurati i dodici apostoli. Sul lato destro della chiesa si apre l’ingresso alla grotta a cui si accede per mezzo di alcuni gradini formati da strati alternati di roccia e tufo.

La cappella dell’Annunziata, dichiarata monumento nazionale nel 1906, è quanto oggi rimane dell’antico tempio chiamato Sant’Angelo di Orsara. Situata su di uno sprone montuoso, essa, dal palazzo dei Guevara, cui aderisce e si uniforma per la scura pietra di costruzione, si protende nel vuoto simile al bastione di una fortezza. E della fortezza ha l’aspetto nudo, severo, inaccessibile. La chiesa si presenta come un parallelepipedo solido e compatto; a questo aspetto contribuisce la mancanza dell’ingresso sulla facciata occidentale. È costruita in pietra arenaria silicica che, con le sue tonalità rosate, richiama la pietra di Fontanarosa, località non lontana da Orsara. Essa è costituita all’interno da un’unica navata, in origine conclusa ad Est da un’abside che è stata smantellata nel XVII secolo in occasione dei lavori di trasformazione delle fabbriche abbaziali nel Palazzo dei Guevara. L’edificio, così modificato, si addossa al lato orientale della chiesa.

Una volta a botte centrale separa due cupole di differenti dimensioni: una più alta, con base circolare, su tamburo e l’altra più bassa, ellittica. Le cupole sono raccordate alla base mediante cuffie angolari. A suddividere lo spazio interno in tre campate asimmetriche concorrono anche i due archi trasversi a tutto sesto sui quali si imposta la volta a botte centrale. Le pareti laterali sono articolate in alto da archetti pensili su peducci, tre per lato. Sulla parete meridionale, un grande arco tompagnato e la soprastante cornice rettilinea ornata da un motivo a dentelli costituisce la fronte di una cappella gentilizia, poi demolita. In chiave d’arco, infatti, è sistemato lo stemma dei Guevara.

I Guevara operarono interventi e il più vistoso è certamente la chiusura dell’abside e lo spostamento dell’altare sul lato Ovest. Sulla parete Est si delinea l’archivolto a tutto sesto che introduce all’abside. Nella parete in pietrame che occlude l’abside è stato ricavato in alto un balconcino che, mettendo in comunicazione direttamente il palazzo dei Guevara con la chiesa, doveva permettere al feudatario di assistere alle funzioni religiose. Due finestre si aprono ad Ovest, sullo strapiombo, e il loro slancio verticale, l’altezza cui sembrano poste, la cornice che sottende il bruno cordolo di delimitazione, tutto concorre a farle apparire più strette. Altre due sono sulla facciata meridionale, molto in alto: infatti una si apre nel tamburo della cupola maggiore ed è di dimensione assai esigue, e poco appariscente per via della cornice bruna e non rilevata; l’altra, di dimensioni maggiori e dalla delimitazione non più netta a causa dei guasti operati dal tempo e dalle intemperie, non ha riscontro nell’interno della chiesa.

L’interno è severamente sobrio, conserva un’interessante epigrafe, murata di recente, che parla di un certo abate Pietro, originario di Leon, sepolto nella cappella. Specularmente alla lastra tombale è sistemato l’ambone: è un insieme di strutture architettoniche recuperate: un leone stiloforo sorregge una colonna federiciana, sormontata da tre pannelli rinascimentali, un tempo romanici; un capitello romanico sorregge la lastra della mensa eucaristica, mentre dietro l’altare è stata ricostruita una sedia in pietra utilizzando due leoni romanici. Nei pressi della “spelunca Ursariae”, citata per la prima volta in una pergamena del 1024, venne costruita l’abbazia di Sant’Angelo. Aveva monastero, ospizio per i pellegrini e i viandanti e chiesa, detta oggi dell’Annunziata. Restano ancora le mura perimetrali e, soprattutto, il seminterrato che ricorda la possente struttura architettonica del complesso, occupato, prima, dai basiliani e, poi, dai benedettini. L’abate godeva delle insegne vescovili e, quindi, di esenzione da ogni giurisdizione vescovile (abbas exemptum aut nullius).

Un collegamento stretto tra pratica del pellegrinaggio e nuove fondazioni monastiche lo si ritrova in un contesto che merita molta attenzione: il caso è quello di Sant’Angelo di Orsara. Il monastero venne fondato all’inizio del secolo XII lungo la cosiddetta via Francigena del Sud, attorno ad una grotta, da pellegrini spagnoli diretti a San Michele di Monte Sant’Angelo. Il primo abate fu un leonese di nome Giuliano, fu popolato da monaci spagnoli: notizie attestate dalla bolla pontificia del 28 marzo 1229 di Gregorio IX. I suoi possedimenti erano vasti in Capitanata e fuori. Un diploma di Onorio III (1216-1217) parla del possesso della città di Bamba in Spagna. Il carattere spagnolo della fondazione non impedì l’organico inserimento nella realtà locale, di cui sono testimonianza le donazioni di terre e chiese a Monte Calvello, Foggia e Siponto.

Il monastero divenne il polo intorno al quale si sviluppò non solo il centro attuale di Orsara, ma anche la pratica devozionale dei suoi abitanti, talché ancora oggi la festa patronale è quella dell’8 maggio, giorno dell’apparizione dell’angelo nella grotta sul Gargano e del 29 settembre, che a partire dalla metà circa del V secolo era in Occidente la data più diffusa della celebrazione dell’Angelo.

Nel 1228 il pontefice Gregorio IX chiamò dalla Spagna i cavalieri dell’ordine di Calatrava, concedendo loro l’abbazia e la loro presenza durò sino al 1294, quando vennero chiamati dalla casa madre spagnola per combattere i Mori. Le caratteristiche molto “spagnole” dell’Ordine hanno reso la sua presenza in Italia abbastanza rara, ma ad Orsara ne abbiamo forse il primo esempio fuori dalla nazione natale.

 

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