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    03/07/2024

Dalla lezione di Guido Dorso la passione civile di Maccanico

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Antonio MaccanicoNella sua lunga ed intensa carriera politica, Antonio Maccanico ha incarnato perfettamente la figura del dirigente al servizio dello Stato: è stato funzionario della Camera dei deputati, poi  segretario generale del Quirinale durante il settennato di Sandro Pertini. Nell’87 a Milano ha rivestito la carica  di presidente di Mediobanca; è stato più volte ministro e sottosegretario alla presidenza del Consiglio con Ciampi.

Il legame che lo ha, invece, tenuto sempre strettamente legato all’Irpinia, e principalmente ad Avellino, è stato segnato dalla studio e dall’ispirazione costante alla figura e al pensiero di Guido Dorso. Il Centro di ricerca “Guido Dorso” di cui egli era presidente dal 1989, nell’annunciarne la morte, avvenuta il 21 aprile scorso, ne ha ricordato “l’alta statura morale e intellettuale e l’appassionato impegno per il progresso civile e culturale dell’Irpinia e del Mezzogiorno”, ma, più in particolare, ha fatto  riferimento ad uno dei suoi più recenti interventi (si rimanda, a tal proposito,  alla pagina facebook del Centro, recentemente inaugurata  e curata dalla segretaria Giuliana Freda), dove egli auspicava che intorno a quella istituzione “si potesse costruire una rete di cooperazione e collaborazione non solo delle istituzioni, ma anche di soggetti della società civile”.

E un grande uomo delle istituzioni lo ha definito di Giorgio La Malfa, nel suo ricordo pubblicato su “Il Sole 24 Ore”: qui oltre a ribadirne l’alto profilo politico e  culturale, il politico  ne ha lodato il carattere e la personalità, sottolineando come in lui “si riscontravano alcuni tratti propri della migliore borghesia meridionale: un impegno rigoroso negli studi, un senso vivissimo del servizio dello Stato, una forte passione civile e politica, il senso del dramma della condizione meridionale”.

Maccanico, nato ad Avellino nel 1924, aveva ereditato la passione politica in famiglia, da uno dei fratelli della madre, Sinibaldo Tino, che era stato, prima del fascismo, un apprezzato giornalista parlamentare, nel “Giornale di Italia” di Bergamini.

Successivamente furono di incitamento ai suoi  studi le letture di Croce e dei maggiori esponenti del meridionalismo, da Giustino Fortunato a Francesco Saverio Nitti; la passione civile e politica gli provenivano anche dalla lezione di Giovanni Amendola, ma principalmente dall’esempio del suo concittadino, Guido Dorso.  Maccanico si fece degno interprete di questa tradizione civile e politica, che seppur in misura minoritaria, travasò nel Pci e lasciò un segno nell’esperienza singolare del  dell’azionismo, per poi concludersi nella stagione dei  repubblicani. All’esperienza azionista, in più occasioni di dibattito si riferiva, ritenendosene, con umiltà, un fedele continuatore, nella ripresa dell’idea animatrice della realizzazione di un progetto di equità, accompagnato dal senso profondo della giustizia sociale  e dall’ispirazione alla democrazia e alla libertà. D’altra parte, Maccanico riteneva  fondamentale il contributo che gli azionisti avevano dato alle politiche europeiste attuali, attraverso la proposta, in uno dei sette punti elaborati dal Partito nel suo atto costitutivo, avvenuto il 4 giugno 1942, di una federazione europea dei liberi stati democratici.

Aveva messo in luce, in più occasioni, come, diversamente da lui, Guido Dorso, salvo qualche breve parentesi, non si era mai allontanato dalla sua città di origine, che rappresentava allo stesso modo della  Praga di Kafka, “una mammina con gli artigli”. Quell’osservatorio, per certi versi angusto e marginale, egli lo aveva fatto diventare un punto privilegiato dal quale aveva guardato agli avvenimenti della storia italiana e mondiale con un occhio vigile ed attento, cosa  che non sfuggì al torinese Gobetti, il quale lo volle come suo collaboratore, pubblicandogli l’opera più nota, nel 1925, con il titolo di Rivoluzione meridionale.

A questa visione rivoluzionaria Maccanico ha attinto lungo tutta la sua intensa carriera politica ed intellettuale: dal fitto scambio di lettere fra i due intellettuali antifascisti, avvenuta a partire dal giugno del 1923, egli assorbe la condivisione del giudizio secondo cui il problema italiano, ereditato dal Risorgimento e passato attraverso il grigiore giolittiano agli estremi dal fascismo, si potesse risolvere solo rivoluzionariamente,  per cui  la rivoluzione meridionale e quella liberale, prima ancora che una trasformazione nelle istituzioni e nell’economia, comportavano un cambiamento radicale  nel costume politico e in quello morale. Anzitutto lo interessava il senso della trasformazione politica (contro la pratica degenere del trasformismo)  che passava, come per Dorso, non semplicemente attraverso la sostituzione delle vecchie classi dirigenti con altre, ma con il cambiamento della loro “funzione”. Tant’è che le principali accuse erano rivolte alla borghesia “redditiera meridionale”, che non aveva rinunciato a poteri e privilegi, segnando il definitivo tracollo del Sud.

Per Maccanico la più alta espressione della politica  consisteva sempre, in ogni passaggio delicato della società (come lo era stato per Dorso il periodo dallo Stato unitario fino alla crisi del fascismo), nella forza di rigenerare la classe dirigente, attraverso una profonda trasformazione istituzionale, che mettesse al centro dell’attenzione l’interesse generale. Nella lucida analisi dorsiana, egli trovava anche la forza a cui il Meridione può appigliarsi per liberarsi da paure, pregiudizi e superstizioni  ataviche, che ancora, a livelli diversi, appartengono alle categorie culturali con cui si studia e si guarda a questa parte del Paese.  Maccanico, in più occasioni, ha messo in chiaro come il Paese sia mutato profondamente e con esso il Mezzogiorno, come gli interventi straordinari non abbiano sortito gli effetti positivi sperati, come molte delle tesi dorsiane appaiono superate di fronte alle recenti e balenanti trasformazioni politiche e sociali e pur tuttavia nessuno –  a suo avviso – “come l’avvocato di provincia ha saputo affrontare i temi della questione meridionale, sul piano del metodo e analisi socio-economica, in modo così fortemente legato alle tematiche del formarsi di una classe politica…Nessuno come lui ha detto così chiaramente che soltanto una soluzione definitiva della questione meridionale può essere la base di una diversa e più profonda e unità del Paese”.

Soprattutto nella speranza di affidare ai giovani il rilancio del Sud e oggi la ripartenza dell’Italia,  Maccanico, inoltre,  ha ripreso la parte più suggestiva della lezione del suo conterraneo,  quando  ha scritto che le nuove leve devono uscire dalla rassegnazione e da quello “stato di fatalismo che incombe sulle anime meridionali, per dimostrare che le élites del Sud non sono costituite da speculatori geniali capaci di anticipare di secoli, ma sono costituite anche da uomini di azione, capaci altresì di compiere il miracolo di svegliare un popolo di morti”.

 

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