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    03/07/2024

Amabile, il medico-umanista che onorò politica e cultura

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b_300_220_15593462_0___images_stories_Cultura_amabile.jpgAVELLINO - Continuano le celebrazioni in occasioni del centenario dell’Istituto tecnico “Luigi Amabile”. Sabato 28 aprile, presso la cappella Amabile del cimitero di Avellino, presenti le autorità cittadine, sarà celebrata una messa dal vescovo Marino. Sulla figura e sull’opera del grande medico-umanista avellinese riproponiamo dal Dizionario biografico degli irpini il testo di Francesco Barra.

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Luigi Amabile nacque ad Avellino il 28 aprile del 1828  nella casa di famiglia alla «Piazza Superiore» da Giuseppe (1798-1871), il più affermato medico chirurgo dell’Avellino del primo Ottocento, e da Teresa Festa (1800-1868); la famiglia, originaria di Castel San Giorgio, nel Salernitano, si era trasferita nel capoluogo irpino alla fine del XVIII secolo. Come scrisse il Masucci, il padre Giuseppe fu «uomo probo, medico esperto e soprattutto patriota fervido ed ani­moso»; fu infatti capitano della Guardia Nazionale nel 1848 e nel 1860, risultando primo degli eletti con 266 voti al Consiglio comunale nelle prime ele­zioni libere del 26 maggio 1861. Il genitore lo educò quindi «all’alta e se­vera scuola del dovere» e, iniziati gli studi ad Avellino e com­ple­tati quelli letterari nel seminario di Nola, a 14 anni andò a Na­poli, dove si laureò in Medicina il 31 maggio 1848. Frequentando i corsi universitari e nello stesso tempo le scuole private di maggior grido, si fece subito distinguere per il suo forte ingegno e il fervido amore allo studio. Nel 1855 egli – che già aveva inse­gnato Anatomia topografica e istologia nell’ospedale del Sacra­men­to e si era distinto durante l’epidemia co­lerica del 1854 – venne no­minato, ad appena 27 anni, chirurgo degli Incurabili, il più importante ospedale di Napoli, dove dal 1856 prese a insegnare privatamente Patologia e clinica chirurgica, collaborando pure alla rivista “Il Morgagni”. Nel 1860 fu nominato primo chirurgo dell’ospedale dei SS. Apostoli; subito dopo, quando De Sanctis riordinò gli studi universitari, fu chia­mato ad insegnare pato­lo­gia e chimica nel collegio medico diretto da Camillo de Meis, e in seguito, su proposta della facoltà di medicina, fu nominato pro­fes­sore ordinario e diret­tore di anatomia pato­lo­gica.

Frattanto, insieme al collega e amico fraterno Tommaso Virnicchi di Montella aveva fondato una scuola privata di chirurgia.

La valentia e l’operosità di cui dava continue prove agli Incurabili e tre lavori scientifici di alto merito da lui pub­bli­cati, di cui due insieme al Virnicchi, fecero sì che egli, ormai divenuto celebre, venisse nominato nel 1862, per voto unanime della facoltà di medicina, professore ordinario della cattedra di anatomia patologica e direttore dell’annesso gabinetto. Accettò l’incarico, senza lasciare né tras­curare il suo posto in ospedale, riuscendo a gettare le pri­me basi del gabinetto di anatomia patologica, in seguito con­dotto dallo Schron al livello dei mi­gliori in Europa. Ma, sfor­tu­natamente per l’ateneo na­po­le­tano, non occupò a lungo la cat­tedra. Nel 1864, vo­len­do­glisi im­porre dal rettore Paolo Emilio Imbriani un bidello di­sadatto all’uf­ficio, egli, per tutelare la sua dignità, rassegnò le dimis­sioni, rinun­ziando alla cattedra e allo stipendio.

Prose­guendo con fervore e competenza negli studi e nelle ricerche, acquisì fama in tutta Europa. Nel 1876, quan­do pubblicò a Napoli la sua più importante opera scien­ti­fi­ca, dedicata alle fistole vescico-vaginali e alla loro cura, con­gressi medici, accademie e governi riconobbero il suo merito, lo vollero loro socio e l’insignirono di onorificenze, e nel congres­so interna­zionale chirurgico di Bruxelles venne proclamato pre­sidente onorario della 3^ se­zione. Difatti, quando egli iniziò la sua at­tività, Napoli, sempre grande nel campo della pratica, era però at­tardata e appartata dalle grandi innovazioni, mentre altrove in Europa si aprivano nuovi e più vasti orizzonti.

Amabile - con Salvatore Tom­masi (Clinica medica), Luigi Sem­mola (Farma­co­logia sperimentale) e Antonio Cardarelli (Semeiotica me­dica) - mostrò arditamente la via da battere e indicò nell’ana­tomia pa­tologica la base di ogni sapere me­dico. Il suo la­voro come anatomo-patologo fu in effetti enorme, perché a Napoli, nonostante il Ramaglia, questa disciplina era appena agli inizi. Rifulse per ricerche e scoperte nella chirurgia, ma acquisì fa­ma mon­diale soprattutto con la sua classica opera sulle fistole vesci­co-va­gi­nali, vero capola­voro di scienza chirurgica, oltre che per chiarezza esposi­tiva, chiarezza, metodo e originalità. Ma, oltre che le scienze medico-chi­rur­giche, egli, che era stato uno dei migliori allievi di Costa, Scac­chi e Palmieri, coltivò pure le scienze naturali, che avevano co­stituito la sua prima pas­sione.

Ricercatore straordinario, lo fu non meno nell’esercizio pra­tico della profes­sione. Come chirurgo possedeva infatti tutte le doti del grande operatore: cono­scenza anatomica perfet­tis­sima; eccezionali acutezza e intuito nella diagnosi; mano mera­vigliosa per fermezza, agilità e precisione; metodi curativi di straor­dinaria efficacia. Esperto in ogni genere di operazioni, eccelleva però in quella della “pietra” (calcoli), come pure nella cura delle fistole vescico-vaginali. Anche nell’ap­plic­a­zione della chirurgia l’ingegno dell’Amabile si mostrò fecondo con l’intro­duzione di nuovi metodi e tecniche. Fu infatti inventore di uno specolo parti­co­lare per le operazioni vagino-uterine, di un apparecchio per la causticazione e di altri vari ingegnosi quanto efficaci ritrovati chi­rurgici. Possedendo un intelletto originale e creativo, quando i mezzi chirurgici e i ritrovati della scienza non bastavano, faceva appello al proprio genio creativo; quan­do ancora non esisteva la moderna asepsi e allorché non si pensava neanche ad una laparotomia, per primo aprì l’addome e resecò e suturò l’intestino; come per primo ugualmente trapiantò la pelle (innesto epidermico).

A tale valentia accoppiò un senso altis­simo della professione medica, intesa innan­zi­tutto come mis­­sione: fu infatti di una generosità davvero am­mi­revole, acconten­tandosi sempre di parcelle mo­deste e pres­tan­do gratuitamente la sua opera ai poveri, e anzi spesso soc­cor­rendoli col suo danaro. Come ri­cordò l’alto magistrato e amico Giovanni Masucci, del quale egli curò amorosissimamente per cinque anni un figlio, in lui poteva non già l’avidità del lucro, ma l’amore dell’arte che pro­fessava. La franchezza delle sue maniere, la diligenza che poneva nelle analisi, la fiducia illimitata che gl’infermi avevano nella sua dot­trina era­no all’umanità lenimento e conforto; e quando, sul volto del sof­fe­rente vedeva addensate le nubi del dolore, una sua parola conso­latrice valeva a ridonargli la fede e la speranza.

Politicamente, aderì fin da giovane agli ideali nazionali e pa­triottici, e negli anni ’50 contribuì alla diffusione clandestina della propaganda antiborbonica. Agli inizi del 1859 prese a fre­quentare con altri giovani intellet­tuali irpini (Alfonso Beatrice, Tom­maso Virnicchi, Antonio Ga­las­so, Carlo Con­trada) e napo­letani (Enrico Pessina, Vincenzo Tenore, Be­niamino Marcia­no) un caffè di via Costantinopoli nei pressi di Port’Alba, dove semi­clande­stinamente si leggevano e commen­ta­va­no i gio­rnali stra­nieri; i frequentatori erano «tutti giovani e ric­chi di fede libe­rale, uni­tari convinti – commenta il De Cesare – e che onorarono più tardi il Parlamento, l’Università, la cultura e le pub­bliche ammi­ni­strazioni». Il caffè, per l’assiduità dei clien­ti e la cos­tan­za delle parche consumazioni, fu battezzato dal Bea­­tri­ce «caffè della Perseveranza». Nell’agosto-settembre del 1860, insie­me al padre, a Francesco Pepere, allo scolopio Tam­burini, a Giovanni Masucci, a Domenico Giella, a Nicola Imbimbo, fu uno dei più giovani e più audaci componenti del clan­destino Comitato irpino dell’Ordine, presieduto da Luigi de Concilj.

Ritornato di lì a po­co agli studi, fu però eletto, il 21 agosto 1864, deputato del collegio di Avellino, resosi disponibile per la nomina a senatore proprio di Paolo Emilio Imbriani, al quale, come ret­tore dell’Università di Napoli, lo contrapponeva una durissi­ma polemica. Nettamente battuto a primo scrutinio, il 14 ago­sto, dall’ex sindaco di Avellino Francesco Villani con 336 voti contro 151, Amabile riuscì a ribaltare in ballottaggio il risultato, afferman­dosi sia pure di stretta misura con 415 voti contro 390.

Devotissimo alle istituzioni, amante dell’ordine e delle temperate libertà, mo­derato per convincimento e per indole, alla Camera sedette a destra, rivelando però subito il suo spirito indipen­dente e in­sof­ferente di ogni costrizione di partito, come a proposito della riforma delle circoscrizioni amministrative, da lui ritenuta «pe­ricolosa»; serio ed operoso, si fece apprezzare per la com­pe­tenza con cui trattava le questioni, soprattutto per quanto ri­guarda l’istruzione pubblica, ma per il suo carattere infles­sibile, ostinato e incapace di infingimenti era del tutto inadatto alla vita politica e parla­mentare, tutta fatta di convenienze e tran­sazioni.

                                                                                                                         

 

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