AVELLINO - Continuano le celebrazioni in occasioni del centenario dell’Istituto tecnico “Luigi Amabile”. Sabato 28 aprile, presso la cappella Amabile del cimitero di Avellino, presenti le autorità cittadine, sarà celebrata una messa dal vescovo Marino. Sulla figura e sull’opera del grande medico-umanista avellinese riproponiamo dal Dizionario biografico degli irpini il testo di Francesco Barra.
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Luigi Amabile nacque ad Avellino il 28 aprile del 1828 nella casa di famiglia alla «Piazza Superiore» da Giuseppe (1798-1871), il più affermato medico chirurgo dell’Avellino del primo Ottocento, e da Teresa Festa (1800-1868); la famiglia, originaria di Castel San Giorgio, nel Salernitano, si era trasferita nel capoluogo irpino alla fine del XVIII secolo. Come scrisse il Masucci, il padre Giuseppe fu «uomo probo, medico esperto e soprattutto patriota fervido ed animoso»; fu infatti capitano della Guardia Nazionale nel 1848 e nel 1860, risultando primo degli eletti con 266 voti al Consiglio comunale nelle prime elezioni libere del 26 maggio 1861. Il genitore lo educò quindi «all’alta e severa scuola del dovere» e, iniziati gli studi ad Avellino e completati quelli letterari nel seminario di Nola, a 14 anni andò a Napoli, dove si laureò in Medicina il 31 maggio 1848. Frequentando i corsi universitari e nello stesso tempo le scuole private di maggior grido, si fece subito distinguere per il suo forte ingegno e il fervido amore allo studio. Nel 1855 egli – che già aveva insegnato Anatomia topografica e istologia nell’ospedale del Sacramento e si era distinto durante l’epidemia colerica del 1854 – venne nominato, ad appena 27 anni, chirurgo degli Incurabili, il più importante ospedale di Napoli, dove dal 1856 prese a insegnare privatamente Patologia e clinica chirurgica, collaborando pure alla rivista “Il Morgagni”. Nel 1860 fu nominato primo chirurgo dell’ospedale dei SS. Apostoli; subito dopo, quando De Sanctis riordinò gli studi universitari, fu chiamato ad insegnare patologia e chimica nel collegio medico diretto da Camillo de Meis, e in seguito, su proposta della facoltà di medicina, fu nominato professore ordinario e direttore di anatomia patologica.
Frattanto, insieme al collega e amico fraterno Tommaso Virnicchi di Montella aveva fondato una scuola privata di chirurgia.
La valentia e l’operosità di cui dava continue prove agli Incurabili e tre lavori scientifici di alto merito da lui pubblicati, di cui due insieme al Virnicchi, fecero sì che egli, ormai divenuto celebre, venisse nominato nel 1862, per voto unanime della facoltà di medicina, professore ordinario della cattedra di anatomia patologica e direttore dell’annesso gabinetto. Accettò l’incarico, senza lasciare né trascurare il suo posto in ospedale, riuscendo a gettare le prime basi del gabinetto di anatomia patologica, in seguito condotto dallo Schron al livello dei migliori in Europa. Ma, sfortunatamente per l’ateneo napoletano, non occupò a lungo la cattedra. Nel 1864, volendoglisi imporre dal rettore Paolo Emilio Imbriani un bidello disadatto all’ufficio, egli, per tutelare la sua dignità, rassegnò le dimissioni, rinunziando alla cattedra e allo stipendio.
Proseguendo con fervore e competenza negli studi e nelle ricerche, acquisì fama in tutta Europa. Nel 1876, quando pubblicò a Napoli la sua più importante opera scientifica, dedicata alle fistole vescico-vaginali e alla loro cura, congressi medici, accademie e governi riconobbero il suo merito, lo vollero loro socio e l’insignirono di onorificenze, e nel congresso internazionale chirurgico di Bruxelles venne proclamato presidente onorario della 3^ sezione. Difatti, quando egli iniziò la sua attività, Napoli, sempre grande nel campo della pratica, era però attardata e appartata dalle grandi innovazioni, mentre altrove in Europa si aprivano nuovi e più vasti orizzonti.
Amabile - con Salvatore Tommasi (Clinica medica), Luigi Semmola (Farmacologia sperimentale) e Antonio Cardarelli (Semeiotica medica) - mostrò arditamente la via da battere e indicò nell’anatomia patologica la base di ogni sapere medico. Il suo lavoro come anatomo-patologo fu in effetti enorme, perché a Napoli, nonostante il Ramaglia, questa disciplina era appena agli inizi. Rifulse per ricerche e scoperte nella chirurgia, ma acquisì fama mondiale soprattutto con la sua classica opera sulle fistole vescico-vaginali, vero capolavoro di scienza chirurgica, oltre che per chiarezza espositiva, chiarezza, metodo e originalità. Ma, oltre che le scienze medico-chirurgiche, egli, che era stato uno dei migliori allievi di Costa, Scacchi e Palmieri, coltivò pure le scienze naturali, che avevano costituito la sua prima passione.
Ricercatore straordinario, lo fu non meno nell’esercizio pratico della professione. Come chirurgo possedeva infatti tutte le doti del grande operatore: conoscenza anatomica perfettissima; eccezionali acutezza e intuito nella diagnosi; mano meravigliosa per fermezza, agilità e precisione; metodi curativi di straordinaria efficacia. Esperto in ogni genere di operazioni, eccelleva però in quella della “pietra” (calcoli), come pure nella cura delle fistole vescico-vaginali. Anche nell’applicazione della chirurgia l’ingegno dell’Amabile si mostrò fecondo con l’introduzione di nuovi metodi e tecniche. Fu infatti inventore di uno specolo particolare per le operazioni vagino-uterine, di un apparecchio per la causticazione e di altri vari ingegnosi quanto efficaci ritrovati chirurgici. Possedendo un intelletto originale e creativo, quando i mezzi chirurgici e i ritrovati della scienza non bastavano, faceva appello al proprio genio creativo; quando ancora non esisteva la moderna asepsi e allorché non si pensava neanche ad una laparotomia, per primo aprì l’addome e resecò e suturò l’intestino; come per primo ugualmente trapiantò la pelle (innesto epidermico).
A tale valentia accoppiò un senso altissimo della professione medica, intesa innanzitutto come missione: fu infatti di una generosità davvero ammirevole, accontentandosi sempre di parcelle modeste e prestando gratuitamente la sua opera ai poveri, e anzi spesso soccorrendoli col suo danaro. Come ricordò l’alto magistrato e amico Giovanni Masucci, del quale egli curò amorosissimamente per cinque anni un figlio, in lui poteva non già l’avidità del lucro, ma l’amore dell’arte che professava. La franchezza delle sue maniere, la diligenza che poneva nelle analisi, la fiducia illimitata che gl’infermi avevano nella sua dottrina erano all’umanità lenimento e conforto; e quando, sul volto del sofferente vedeva addensate le nubi del dolore, una sua parola consolatrice valeva a ridonargli la fede e la speranza.
Politicamente, aderì fin da giovane agli ideali nazionali e patriottici, e negli anni ’50 contribuì alla diffusione clandestina della propaganda antiborbonica. Agli inizi del 1859 prese a frequentare con altri giovani intellettuali irpini (Alfonso Beatrice, Tommaso Virnicchi, Antonio Galasso, Carlo Contrada) e napoletani (Enrico Pessina, Vincenzo Tenore, Beniamino Marciano) un caffè di via Costantinopoli nei pressi di Port’Alba, dove semiclandestinamente si leggevano e commentavano i giornali stranieri; i frequentatori erano «tutti giovani e ricchi di fede liberale, unitari convinti – commenta il De Cesare – e che onorarono più tardi il Parlamento, l’Università, la cultura e le pubbliche amministrazioni». Il caffè, per l’assiduità dei clienti e la costanza delle parche consumazioni, fu battezzato dal Beatrice «caffè della Perseveranza». Nell’agosto-settembre del 1860, insieme al padre, a Francesco Pepere, allo scolopio Tamburini, a Giovanni Masucci, a Domenico Giella, a Nicola Imbimbo, fu uno dei più giovani e più audaci componenti del clandestino Comitato irpino dell’Ordine, presieduto da Luigi de Concilj.
Ritornato di lì a poco agli studi, fu però eletto, il 21 agosto 1864, deputato del collegio di Avellino, resosi disponibile per la nomina a senatore proprio di Paolo Emilio Imbriani, al quale, come rettore dell’Università di Napoli, lo contrapponeva una durissima polemica. Nettamente battuto a primo scrutinio, il 14 agosto, dall’ex sindaco di Avellino Francesco Villani con 336 voti contro 151, Amabile riuscì a ribaltare in ballottaggio il risultato, affermandosi sia pure di stretta misura con 415 voti contro 390.
Devotissimo alle istituzioni, amante dell’ordine e delle temperate libertà, moderato per convincimento e per indole, alla Camera sedette a destra, rivelando però subito il suo spirito indipendente e insofferente di ogni costrizione di partito, come a proposito della riforma delle circoscrizioni amministrative, da lui ritenuta «pericolosa»; serio ed operoso, si fece apprezzare per la competenza con cui trattava le questioni, soprattutto per quanto riguarda l’istruzione pubblica, ma per il suo carattere inflessibile, ostinato e incapace di infingimenti era del tutto inadatto alla vita politica e parlamentare, tutta fatta di convenienze e transazioni.