www.giornalelirpinia.it

    22/07/2024

Dalle «novità» del ’48 a Napoli al maggio di Ariano Irpino

E-mail Stampa PDF

Le barricate di Napoli in un dipinto di Filippo Palizzi. Popolano annuncia le Tra il 16 e il 18 maggio del 1848, sulla scia delle contemporanee vicende di Napoli e delle “novità” provenienti dalla capitale, Ariano Irpino ebbe un rilevante sussulto rivoluzionario. Sia pure senza particolari episodi di violenza, ebbero vita le tipiche manifestazioni ed i conseguenti effetti degli eventi sovversivi: furono, infatti, creati organi di governo rivoluzionari esautorando le autorità legittime; furono, inoltre,  poste in essere varie azioni finalizzate a difendere il nuovo ordine di cose, come l’interruzione delle comunicazioni telegrafiche, il sequestro del procaccio (dal quale, secondo Nicola Valdimiro Testa, si volevano sottrarre 36000 ducati poi lasciati al loro posto per l’intervento del vescovo Capezzuti) e il tentativo di  formazione di una forza militare.

I fatti arianesi del 1848, in verità, hanno formato oggetto di studi storici, sia pure non recenti e non solo di rilievo localistico, che hanno chiarito nei dettagli lo svolgimento dei fatti medesimi. Un punto in particolare è stato oggetto di dibattito, rimanendo non del tutto chiarito, se i fatti di Ariano furono frutto di una cospirazione preparata da tempo o se si trattò solo di una diretta e immediata conseguenza dei fatti di Napoli.

La prima ipotesi è stata sostenuta da vari autori come il De Sivo,  Nicola Valdimiro Testa ed altri. “Trattasi, così quest’ultimo, di una cospirazione vera e propria, mirante al tentativo di ridurre all’inazione e all’impotenza le truppe regie e ad imporre al Governo i frutti della rivoluzione delle Calabrie”. La seconda da Alfredo Zazo (“Gli episodi del 16-18 maggio - quelli del 14 e del 15 non sono mai esistiti – non furono effetto di una cospirazione, ma conseguenza immediata dei fatti napoletani del 15 maggio”). Proprio quest’ultimo pubblicò nel 1951 sulla rivista Samnium una relazione del 27 maggio del 1815 inviata all’allora Ministro dell’Interno dal nuovo sottintendente di Ariano, Benedetto Napoleone Stragazzi, appartenente alla famiglia di origine magiara dei Racozky, giunto nella citta irpina il 22 maggio del 1848, a cose ormai tornate nell’alveo della legalità,  per sostituire il sottintendente  Biagio Antonio Mandarini che si era lasciato coinvolgere negli avvenimenti rivoluzionari.

Un altro manoscritto anonimo (MCRR, B.676-11(3)), scritto in Napoli nel maggio del 1848, contiene un racconto dei fatti arianesi. Esso ricalca per struttura, per i fatti raccontati, per la presenza, in alcuni punti, di frasi identiche, quello dello Stragazzi, fino a far nascere il dubbio di provenire dalla stessa mano. Tra l’altro, sostiene la tesi della rivolta arianese come conseguenza immediata di quella napoletana.  Così in esso sono raccontati gli avvenimenti: “Nella sera del 16 corrente maggio, verso un’ora di notte giunsero in Ariano delle notizie alterate sugli ultimi avvenimenti della capitale. Si diceva manomesso ed ucciso il corpo legislativo; le guardie nazionali distrutte dalla truppe regie, lo statuto costituzionale infranto. I quattro capitani della guardia nazionale ed altri notabili del paese, dopo la detta ora, si recarono dal maggiore del cacciatori, volendo conoscere quali disposizioni  aveva ricevuto, se di progredire il viaggio per Foggia, oppure ritornare in Napoli per dare rinforzo alle truppe di linea. Il maggiore rispose che non aveva ricevuto ordini, ma che se gli fossero giunti di tornare in Napoli li avrebbe eseguiti. Alle ore due i detti capitani riunirono gli uffiziali della guardia nazionale, i vari notabili del paese nel corpo di guardia e decisero impedirsi la segnalazione telegrafica nel dì susseguente per non far arrivare al maggiore gli ordini di ritornare in Napoli e decisero di mettersi sulle difese. La diligenza straordinaria del 16 maggio eccitò maggiormente gli animi per essere giunta con ritardo verso le ore tre e venne per poco trattenuta, onde conoscere le notizie della capitale che si annunziavano funestissime senza che si fosse ricevuta alcuna lettera. All’alba del 17 le guardie nazionali si portarono sul telegrafo per impedire che la truppa ricevesse ordine di ritornare sopra Napoli. La segnalazione telegrafica fu per poche ore impedita. I segnalatori portati al corpo di guardia. Ciò nonostante il maggiore del battaglione ebbe l’ordine per telegrafo di marciare sopra Napoli. Verso le ore 13 tutti i notabili del paese, nel numero di più di cento, ed i capitani ed uffiziali della guardia nazionale si riunirono nella sottintendenza. L’assemblea generale preliminarmente stabilì che, pria di divenirsi alla nomina del comitato, fosse conveniente arrestare la posta proveniente dalle Puglie e, per fare evitare allarmi, ciò fosse eseguito dalla guardia nazionale, che dista circa un miglio da Ariano; che si concedesse il libero passaggio al battaglione cacciatori, senza molestarlo; che s’impedisse al telegrafo di segnalare. Fu di poi annunziato l’oggetto dell’adunanza. Si disse che lo statuto era stato infranto; l’onore nazionale offeso e bisognava prendere espedienti di difesa. L’adunanza propose divenirsi alla elezione  di un comitato a maggioranza di suffragi di undici individui, i quali furono eletti componenti. I medesimi ebbero facoltà di occorrere alle urgenze presenti, alla tutela dei diritti costituzionali, alla sicurezza interna ed alla organizzazione della forza nazionale”.

Fecero parte del comitato il sottintendente Biagio Antonio Mandarini, Pietro Paolo Parzanese, Luigi Anzani, Ercole Figlioli, Raimondo Albanese, Giuseppe Aliprandi, Francesco Gelormini, Carlo Luparelli, Fedele Carchia, Vito Purcaro fu Michele, Giuseppe De Miranda. “Loro benanche si concesse la facoltà di nominare commissioni e comitati suppletori, ogni qualvolta lo credessero essere necessario. Il sottintendente si vide sorpreso e non poté far argine al torrente malgrado avesse cercato far tutti uscire d’inganno. Il comitato, riunitosi, nominò altri due comitati; uno per gli affari interni  ed esterni, l’altro per le finanze. Ordinò che la posta non si fosse fermata; che il telegrafo avesse il suo corso regolare; che i congedati diretti in Napoli per far parte della riserva si ritirassero nelle provincie”. Del comitato suppletorio per gli affari interni fecero parte Vito Purcaro fu Michele, Giuseppe De Miranda e Giuseppe Vitoli (avvocato), tre personaggi “di spinti sentimenti liberali”, il primo  addirittura accusato di aver in passato attentato alla vita del re, che diedero vita, secondo Nicola Valdimiro Testa, ad un vero e proprio “governo provvisorio”, ad “un triunvirato” e ritenuti perciò i veri animatori della rivolta e che, sempre secondo il Testa, erano in rapporto con altri rivoluzionari del Beneventano e dell’Avellinese, come Nicola Nisco, nonché “gli Imbriani a Roccabascerana, i Del Balzo, i Verna, i Piccolo, i D’Orsi a Cervinara tutti affiliati alla setta repubblicana”.

“Intanto il cennato maggiore - prosegue la relazione - col suo battaglione, verso le ore 9 dello stesso giorno, si allontanò da Ariano prendendo la volta di Avellino. Nelle ore pomeridiane del giorno 17 si radunò di bel nuovo il comitato ed ordinò interrompersi tutte le comunicazioni e si pensò ad armamenti per la difesa interna ed esterna; e temendo che i carabinieri avessero volte le armi contro i paesani, mandò a chiamare nel comitato il capitano di pubblica sicurezza, onde pregarlo disporre la consegna delle armi dei suoi dipendenti, ed il comitato suppletorio della sicurezza interna ed esterna fu incaricato per la consegna e la scorta.         Il mattino del 18 fu impedito nuovamente il telegrafo di segnalare. All’annuncio di tali fatti vennero in Ariano 56 grecesi armati, i quali dipesero in tutto dai capitani di questa guardia nazionale, mantenendo il buon ordine. A questi grecesi fu assegnato dal comitato il presto di carlini tre al giorno che si pagarono dal capitano della guardia nazionale per ripagarsene dal comitato suppletorio delle finanze. Durante il giorno il comitato della sicurezza interne ed esterna fortificò tutti i posti e provvide al necessario senza che si fosse commesso alcun inconveniente. L’ultimo avvenimento di questo giorno fu la fermata della posta; ed  essendosi ricevute notizie che le cose a Napoli erano state esagerate, si lasciò alla stessa il libero corso.

Il comitato riunitosi di bel nuovo credette necessario sciogliersi, poiché non vi era necessità di continuare nelle sue funzioni. Nello stesso tempo essendosi ciascuno ravveduto dell’inganno nel quale era ciascuno caduto, si diede ogni opera per rimetter tutto nel pristino stato. In effetti il telegrafo prese il suo corso; le comunicazioni si aprirono; gli armati si ritirarono, non esclusi i 56 grecesi; si restituirono le armi e le munizioni ai gendarmi; il procaccio continuò a custodirsi dalle guardie nazionali e di sicurezza con i suoi suggelli intatti per mandarsi incolumi nella capitale: tutto in una parola ritornò nel perfetto ordine e tranquillità. E’ notabile che in tutto questo trambusto l’effigie e gli stemmi reali furono rispettati; né vi fu proclamazione alcuna tendente a rovesciare il real governo e lo statuto costituzionale. E’ notabile ancora che né la vita né la proprietà di qualche cittadino soffrì oltraggio.

Da queste premesse si può dedurre: 1) che la commozione fu generale per un falso supposto, la quale non può attribuirsi all’opera di pochi, mancanti di forza per farsi ubbidire; 2) che il movimento di Ariano fu una conseguenza di quello di Napoli; non potendo ritenersi concerto alcuno con la capitale e perché il fatto e le epoche degli avvenimenti non sono in armonia, e perchè non vi sono altri elementi che lo dimostrino. Se quindi il movimento non ebbe scopo d’innovazioni governative, ma fu praticato nel solo ed unico fine di garentire e conservare l’attuale regal governo e regime costituzionale, al quale ciascuno vien chiamato per la santità del giuramento, sembra che nello stato presente manchi l’oggetto punibile, e quand’anche ciò non fosse, vi è ragione sempre d’interessare per tutti la sovrana clemenza. Maggio 1848 in Napoli”. La relazione indubbiamente non sembra avere per scopo di approfondire troppo i fatti né di individuare i responsabili o di distinguere le tendenze politiche e le mire dei rivoltosi. Piuttosto cerca di sorvolare, di coprire persone e di attutire responsabilità. Del resto, se lo scopo era quello  di dimostrare la mancanza dell’ “oggetto punibile”, o al limite, d’interessare per tutti la grazia sovrana” non poteva fare altrimenti.

 

Aggiungi commento

Codice di sicurezza
Aggiorna

DG3 Dolciaria

Geoconsult

Condividi


www.puhua.net www.darongshu.cn www.fullwa.com www.poptunnel.com