AVELLINO – Lorenzo Alviggi, Angelo Bellucci, Ruggiero Capobianco, Elvira Cataldi, Licia Festa, Carla Perugini, Carlo Silvestri, Giovanni Tranfaglia, Vittoria Troisi: di nuovo insieme, dopo un bel po’ di anni, i compagni di scuola, tutti allievi del liceo Colletta. Qui di seguito la lettera scritta da Carla Perugini.
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In questo stesso mese di maggio di cinquantasette anni fa, insieme a due compagni di scuola e amici per la vita, Licia e Joseph, mi andavo preparando a sostenere il più faticoso esame fino ad allora capitatomi, quello che a lungo avrebbe riempito di terrore le nostre notti, ricevuto il sostegno e la cura dei genitori, lo sfottò dei fratelli minori e le levatacce che, fin dal febbraio precedente, ci avrebbero dato modo di ripetere e approntare l’esorbitante programma, che prevedeva anche i dannati “riferimenti” agli anni di liceo che avevano preceduto il fatidico esame di maturità.
È sintomatico di quella nostra epoca aver affidato, senza dubbi o tentennamenti, a un atto burocratico il conseguimento della nostra maturità, come se solo una commissione di autorità sconosciute (di cui fallimentari tentativi di conoscenze cercavano di scovare inclinazioni e simpatie), provenienti da luoghi estranei al nostro, avrebbe potuto conferirci o negarci quel traguardo della pienezza dell’essere e della consapevolezza di sé che ci avrebbero automaticamente scagliati nell’età adulta, a prescindere dalle esperienze personali, da vicende esistenziali o da patologie costituzionali.
Perché, altrimenti, una persona così complessa, dal comportamento imprevedibile ma dall’intelligenza profondissima e per certi tratti geniale come Joseph veniva rimandato a settembre dagli illustri ignoti, dopo aver subito per tutto il cursus honorum scolastico umiliazioni e giudizi di valore assolutamente accidentali e spesso dovuti alla sua condizione familiare “anormale”? Anche se la presenza di Joseph nella mia vita prescindeva dai legami scolastici, essendo egli mio cugino, il suo esempio è indicativo dell’incommensurabile frattura di valori che di lì a poco si sarebbe consumata fra il nostro modo di essere e di concepire i rapporti umani e sociali e quello successivo alla rivoluzione del Sessantotto.
A distanza di più di mezzo secolo, possiamo ben dire che siamo stati noi the last generation della Storia fino ad allora conosciuta e consentita, anche se i giovani che oggi si fregiano di questa disperata etichetta hanno ottime ragioni per considerarsi sull’orlo della fine di tutto. E noi, come sicuri responsabili della loro sorte e portatori sani del cambiamento radicale di usi e costumi, dobbiamo ammettere che, insieme al ripudio di tante formalità e ingiustizie, abbiamo dato la stura a immotivate condanne di tutto quanto i nostri progenitori avessero costruito nel corso del tempo e all’irreversibilità di cambiamenti fatali per l’intera umanità.
Oggi che i vecchi siamo diventati noi, è facile riconoscere quanto della nostra distruzione di schemi e istituzioni sia stato dovuto all’impulsività e alla generosità dell’età giovanile, in cui spesso ci siamo lasciati sedurre dal fascino di capi carismatici e dalla necessità di sentirci parte di quelle moltitudini che invadevano spazi fino ad allora negati, perdendo così a volte la capacità di distinguere la qualità dalla quantità.
Ma a quel liceo che ci ha formati, a quella classe che ci ha visti uniti e solidali, in gara fra noi ma senza cattiveria, io credo che dobbiamo forse il meglio che ci ha poi guidati a scegliere con consapevolezza e a mantenere una coscienza di appartenenza a certi principi insuperati, quali il senso del dovere, la volontà di approfondire la conoscenza senza fermarsi alla superficie, la bellezza dello studio quale scoperta di sé e del mondo.
È grazie a quel nucleo profondo di ricordi e condivisioni rimasto intatto dentro di noi e che ci fa sentire vicini pur dopo tanti anni di separazione, che possiamo rivederci stasera senza la malinconia del tempo perduto e dimenticando la testimonianza dei nostri irreversibili cambiamenti fisici, ma con l’allegria di chi sa di aver vissuto insieme una storia che ci auguriamo non sia andata del tutto perduta.