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    03/07/2024

L'architettura visionaria di Simon Rodia

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b_300_220_15593462_0___images_stories_Cultura_simon_rodia.jpgSERINO - Nel 1967 i Beatles pubblicarono un album rivoluzionario, Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band, sulla cui copertina figura un unico italiano, l’artista  originario di Serino, Simon Rodia. La sua foto è in alto a destra, in compagnia di Edgar Allan Poe, Fred Astaire, Carl Gustav Jung e Bob Dylan.

Simon nasce e vive a Ribottoli, una delle ventiquattro frazioni di Serino, da dove emigra all’età di quindici anni negli Stati Uniti insieme al fratello maggiore per lavorare in Pennsylvania. Dopo la morte del fratello, causata da un incidente in miniera, decide di spostarsi a Seattle, dove sposa, nel 1902, Lucia Ucci. La coppia si stabilisce successivamente in California, nella città di Oakland, dove nascono i tre figli, fino a quando, in seguito al divorzio, nel 1912,  Rodia si sposta a Long Beach dove si mantiene per lungo tempo con  lavoretti da muratore, operaio e piastrellista prima di trasferirsi nel quartiere di Watts a Los Angeles. Qui, a partire  dal 1921, avvia la costruzione delle Watts Towers e delle varie sculture, che riesce a  terminare solo nel 1954. I numerosi atti di vandalismo del vicinato costringono Rodia a trasferirsi a Martinez, dove trascorre gli ultimi anni della sua vita e muore nel  1965.

Di questo artista fuori dagli schemi, per formazione e per carriera, poco si conosceva sino agli anni scorsi, fino a che un fiorire di studi, di pubblicazioni e la realizzazione di un documentario indipendente, uscito nel 2006, intitolato “I Build the Tower” (scritto, diretto e prodotto da Edward Landler e Brad Byer), hanno contribuito a ricostruire  la sua vicenda, per renderla nota ad un pubblico più vasto.

La caratteristica più originale delle Watts Towers, un’installazione permanente composta da 17 strutture interconnesse, due delle quali alte circa 30 metri, è che esse sono interamente  realizzate con materiali di scarto e di risulta, con tubi di acciaio, con rete metallica e malta, e integrate con porcellana, mattonelle e vetro. Rodia le ha plasmate con pazienza e in completa solitudine, aiutato talvolta dai ragazzini del quartiere, che ogni tanto gli portavano telai di letti, bottiglie rotte, piastrelle in ceramica, rottami metallici e conchiglie marine.

Le torri di Rodia sono considerate un esempio isolato di architettura visionaria non riconducibile a nessuna corrente artistica precisa; del resto pare che, a chi gli chiedesse perché le avesse costruite,  egli rispondesse semplicemente “Non so dirlo. Perché un uomo realizza i pantaloni? Perché fa delle scarpe?”. Sta di fatto che dal punto di vista tecnico-costruttivo e per la varietà dei materiali usati, le torri rimandano inevitabilmente alle realizzazioni artistiche di Gaudì e al confronto con movimenti artistici come il dadaismo, l’arte povera e il surrealismo. Probabilmente, l’immaginazione artistica di Rodia trovò ispirazione dai ricordi iconografici della sua fanciullezza, difatti qualche studioso ha approfondito la similitudine costruttiva con i famosi “Gigli” di Nola.

È anche vero che le opere di Rodia assumono una forte valore sociale: Francesco Dragosei, in Città d’America. Fortezza Los Angeles racconta le suggestioni del turista a cui, nel degrado delle famigerate riots della zona di Watts (dove avvennero la rivolta del ‘65  prima, e poi, soprattutto quella del ’92, scatenata dalla clamorosa assoluzione dei poliziotti che batterono a sangue Rodney King), in quei luoghi cioè che offuscano la fama dorata di Hollywood e di Beverly Hills, alvei pericolosi  delle sommosse interetniche, viene incontro quasi miracolosamente la visione delle torri.

Le torri, quindi, rappresentano una sfida al contesto in cui nascono, pur nella sua ingenuità di artista “analfabeta”, Simon Rodia ha creato, infatti,  un  mondo fiabesco e  incantato, per rifuggire dallo squallore e dal degrado del ghetto. Non a caso la sua opera  la chiamò “Nuestro Pueblo”, a significare un luogo ideale,  un giardino incantato, dove si respiri la bellezza e la libertà dell’arte, a dispetto delle tensioni e dell’insicurezza circostanti.

 

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