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    03/07/2024

Dalla Dalmazia in Irpinia: il potere economico dei baroni Zamagna nel Regno di Napoli

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Il palazzo baronale degli Zamagna di PrataPRATA PRINCIPATO ULTRA - Nel passato più o meno remoto è talvolta capitato che la storia di alcuni paesi irpini abbia incrociato quella di alcuni Stati europei, suscitando interessi e suggestioni negli irpini di oggi. Alcuni anni fa fu la comunità di Monteverde a riscoprire il proprio legame con i principi Grimaldi di Monaco, che secoli orsono ne detennero il feudo. E non si contano, ovviamente, i rapporti che altri paesi intrattennero con l’aristocrazia spagnola e con quella francese nei periodi in cui il Regno di Napoli fu dominato da potenze straniere. In questo contesto assolutamente singolare fu il caso di Prata di Principato Ultra. Il paese della Valle del Sabato fu a lungo feudo dei baroni Zamagna, membri di una delle famiglie più prestigiose della Repubblica di Ragusa. Alla storia di questo legame è dedicato il libro di Fiorentino Pietro Giovino, “Gli Zamagna di Prata e il loro Palazzo Baronale” edito da “Il Terebinto Edizioni”.

L’interesse per l’argomento trattato nasce già dal Paese di provenienza degli Zamagna. Nella prefazione dell’opera il prof. Francesco Barra offre una serie di spunti per cogliere in pieno le caratteristiche peculiari della “Svizzera balcanica”, vera e propria città-stato racchiusa tra l’entroterra balcanico, l’Adriatico ed i possedimenti veneziani dell’Alto Adriatico. Ragusa (l’attuale Dubrovnik) fu – tra gli inizi del Quattrocento e la fine del Settecento – luogo d’incontro di etnie, religioni e culture diverse, e centro di scambi e commerci di ogni tipo. Vaso di terracotta tra le potenze straniere che circondavano il suo territorio e quelle che, più distanti, reggevano – comunque – le sorti dell’Europa, lo stato raguseo, grazie ad un’intelligente e brillante strategia politica ispirata alla non belligeranza ed al formale ossequio prestato all’impero ottomano ed alla Serenissima, conobbe secoli di prosperità e ricchezza. Non ultimo, anche al Regno di Napoli la Repubblica di Ragusa riconobbe una sorta di parziale protettorato, riservando al sovrano napoletano la designazione del “Governatore delle Armi”. Non solo: i ragusei investivano nell’economia napoletana, dedicandosi sia agli investimenti finanziari sia alla gestione degli appalti delle imposizioni indirette e fiscali (i cosiddetti “arrendamenti”). Rari, invece, furono gli investimenti immobiliari, e, tra i più significativi, quelli effettuati proprio dalla famiglia Zamagna.

In questa cornice si inserisce il saggio di Giovino, che segue fedelmente e ricostruisce rigorosamente il cammino e le vicende dei futuri signori di Prata nei territori napoletani. Nella trattazione Giovino riserva opportunamente un ampio spazio all’importante ruolo diplomatico (e, in definitiva, anche politico) che gli Zamagna recitarono presso la corte napoletana dove rappresentarono a più riprese la Repubblica di Ragusa. In varie occasioni furono chiamati a mitigare piccoli conflitti insorti tra i due stati, che ruotavano – per lo più – intorno al privilegio di designazione del Governatore delle Armi riconosciuto al sovrano napoletano. E in altrettante occasioni il loro prestigio a Napoli e nel territorio del Regno fu riconosciuto persino dalle Corti di giustizia che mostrarono un’insolita benevolenza rispetto alla famiglia ed alle sue ragioni e pretese. E, tuttavia, dopo un secolo di permanenza a Napoli gli Zamagna scelsero di radicarsi ancor più sul territorio, acquistando il feudo di Prata per la considerevole somma di 45.000 ducati. Scelta poco conveniente, almeno apparentemente, perché le rendite del feudo erano piuttosto esigue. Probabilmente, però, l’acquisto fu ispirato da un diverso intento, quello, cioè, di acquisire finalmente un titolo nobiliare (barone) da spendere sia a Napoli che nella patria ragusea.

Se questi furono i motivi dell’acquisto, fino a che punto gli Zamagna furono interessati ai destini ed allo sviluppo di Prata e degli altri territori del feudo? Dal libro di Giovino emerge chiaramente che l’interesse palesato dai ragusei fu sostanzialmente ondivago. Scarso, ad esempio, fu l’impegno profuso dal primo esponente della dinastia, quel Savino Zamagna che aveva acquistato il feudo, salvo, poi, dimostrare un interesse superficiale per la soluzione delle problematiche che lo riguardavano. Diverso, invece, fu l’atteggiamento di suo figlio Serafino, che si fece promotore della realizzazione di alcune opere pubbliche e – nello stesso tempo – di liti e controversie con i feudatari e le università limitrofe per la gestione del territorio e delle sue risorse. La condotta altalenante dei baroni Zamagna, sempre più impegnati nelle trame politiche e diplomatiche presso la corte napoletana, sembrò interrompersi agli inizi dell’Ottocento con l’avvento di Francesco, l’ultimo vero barone di Prata a godere dei privilegi feudali derivanti dal suo titolo ed abrogati nel 1806 con l’eversione della feudalità. Tuttavia, egli conservò la proprietà di vasti possedimenti immobiliari (terreni e case) ed altri diritti. Non avendo ambizioni politiche e venuto meno il ruolo diplomatico svolto dai suoi predecessori (Ragusa fu annessa alla Francia napoleonica, prima, ed all’Impero austro-ungarico, poi), si dedicò ad un’amministrazione accorta, che, però, non sopravvisse alla sua morte, avvenuta nel 1854. Dopo di lui il feudo, ereditato da Niccolò Gradi, figlio della sorella, conobbe un declino inarrestabile, che conobbe il suo apice agli inizi del Novecento, allorquando la pressione dei debiti contratti dai Gradi divenne a tal punto insostenibile da determinare la vendita dei possedimenti pratesi all’asta.

Si chiude qui la pagina degli Zamagna di Prata. Giovino non rincorre la facile tentazione di rievocare le leggende ed i miti fioriti negli anni successivi alla loro scomparsa, a partire dallo jus primae noctis e dal leggendario omicidio del barone Savino Zamagna che, secondo la tradizione, l’avrebbe a lungo esercitato. Non si chiude, però, la pagina delle testimonianze tangibili della loro presenza a Prata. Prima fra tutte, la presenza del Palazzo Baronale la cui struttura, realizzata in forma castellare prima dell’avvento della famiglia ragusea, fu da questa sostanzialmente modificata a partire dal XVII secolo in poi. Proprio al “palazzo” (così è comunemente conosciuto ed appellato dai pratesi) è dedicata la seconda parte del volume, che ne contiene un’accurata e rigorosa descrizione.

Benché scrupolosa e puntuale, la trattazione non rischia di annoiare il lettore (anche quello che non è solito frequentare le pagine di storia), ma, anzi, gli offre spunti molto interessanti, che consentono la riscoperta di vicende locali spesso dimenticate o mistificate. Da questo punto di vista Giovino ha l’indiscusso merito di avere restituito a Prata ed ai pratesi (e non solo) la vera storia della famiglia Zamagna, evidenziandone l’importante ruolo recitato nel quadro politico e diplomatico del Regno di Napoli tra il XVI ed il XVIII secolo. Nello stesso tempo, ha fatto giustizia di una serie di pregiudizi e leggende che, dal Novecento in poi, hanno offuscato e – in un certo senso – “banalizzato” la loro presenza a Prata. La chiarezza e l’essenzialità dell’esposizione agevolano certamente il lettore, anche quello meno avvezzo agli argomenti trattati. Dall’altra parte, la ricca bibliografia ed i riferimenti puntuali alle varie fonti storiche consultate (non solo italiane, ma anche croate) consentono agli addetti ai lavori di apprezzare ancora di più il pregevole lavoro dell’autore.

 

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