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    22/07/2024

Risorse pubbliche deviate, Mezzogiorno ingabbiato

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b_300_220_15593462_0___images_stories_Cultura2_centro_sini_libro.jpgAVELLINO – Di solito dopo la parola “perché” ci si attende un punto di domanda. Emanuele Felice, giovane studioso di storia economica, attualmente impegnato presso l’Università Autonoma di Barcellona, adopera un punto fermo. Oggi pomeriggio ha presentato il suo saggio Perché il Sud è rimasto indietro, edizioni de il Mulino, ad Avellino, nel corso di un incontro svoltosi al circolo della stampa.

Dalla ricca disanima dei dati e delle vicende storiche italiane, l’autore estrae due punti cruciali. Il primo è la constatazione che appena prima dell’unificazione italiana con la spedizione dei Mille, il Pil pro capite del Mezzogiorno non era molto distante dall’analogo dato delle regioni a Nord. Diversa la composizione strutturale della popolazione, le aspettative di vita, il grado di scolarità: elementi che peseranno nei decenni successivi, fino a rendere permanente il divario tra Sud e Nord e a rendere inefficaci tutte le politiche statuali ed europee messe in campo per colmarlo.

Un altro punto fondamentale del saggio di Felice riguarda la “borghesia abortita”, i tentativi degli embrioni di borghesia meridionale di innovare, se non fondare, uno Stato nuovo, a partire dal Regno delle Due Sicilie. I tentativi riformatori, debitori inizialmente della Francia, sono poi stroncati dagli interessi austro-ungarici (i moti irpini del 1820) e dalla restaurazione, fino ai moti liberali del 1848. Se pure vi sono riforme nell’apparato statuale, queste in periferia restano nominali; non intaccano le strutture di potere baronale e latifondiste, anzi danno l’avvio alla crescita di potenti strutture criminali quali mafia, ‘ndrangheta e camorra.

Attraverso alterne vicende, dall’andamento carsico, nel corso di un secolo e mezzo, classe dirigente meridionale e strutture criminali locali stabiliscono proficui patti ancora oggi vigenti. L’estrazione di risorse e la costruzione del consenso elettorale ingabbiano il Mezzogiorno e deviano di senso i flussi di risorse pubbliche, nazionali e comunitarie.

Emanuele Felice è storico economico, non analista politica. Il suo compito è diagnosticare il presente alla luce del passato; prefigurare il futuro non è nell’ambito della disciplina scientifica scelta. L’autore si ferma sulla soglia dei possibili esiti, non adopera il punto interrogativo ed  auspica solo l’affermarsi nel Sud di quella che chiama la “fiducia informale”, variante lessicale di quel capitale sociale che Putnam ha rinvenuto nella storia delle regioni del Centro-Nord.

Il dibattito è stato introdotto dagli interventi di Michele Candela, Paolo Mascilli Migliorini e Amalio Santoro.

 

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